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Storie di donne, letteratura di genere/ 125 – Di Luciana Grillo

Wu Ming 5/Francesca Tosarelli, Ms Kalashnikov – Una testimonianza forte e appassionata che dà nuove speranze di vita a chi verrà dopo di loro

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Titolo: Ms Kalashnikov
Autrice: Wu Ming 5; Tosarelli Francesca
 
Genere; Narrativa
Editore: Chiarelettere, 2016
 
Pagine: 222, brossura
Prezzo di copertina: € 16,00
 
In una rubrica che ospita autrici può sembrare che il gruppo Wu Ming 5 - collettivo di autori - sia un intruso… invece Riccardo Pedrini, membro fondatore del collettivo e musicista, accompagna, incoraggia, sostiene Francesca Tosarelli, giovane fotogiornalista indipendente e coraggiosa che vuole conoscere le donne che vivono in Paesi poveri, dimenticati e sfruttati, spesso in guerra.
Francesca viaggia e racconta in presa diretta ciò che vive in prima persona, ciò che vede con i suoi occhi e attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, senza nulla aggiungere alla realtà cruda di luoghi che perdono la loro identità, come l’arcipelago di Capo Verde, dove una politica dissennata, volta solo al profitto di pochi, estrae sabbia e cancella le spiagge, o come il Libano, il Congo, ecc.
Riccardo interviene con brevi pagine di diario, riflessioni che ci aiutano a capire e condividere.
 
A Ribeira de Barca, sull’isola capoverdiana di Santiago, Francesca approda per girare un documentario e qui conosce Ja: «Stare con Ja e le altre fu da subito una questione mia, personale, un’attitudine comunitaria, il desiderio di condividere la realtà di altre donne».
Francesca vuole capire l’isola e i suoi abitanti che pescano gli squali solo per vendere in Oriente le loro pinne, depauperando così il mare dei pesci abituali; agli altri abitanti non resta che sopravvivere «vendendo la sabbia, estraendola dal mare…» e così facendo filtrare nelle falde di acqua dolce quella salata, per cui «le colture si impoveriscono, l’agricoltura tradizionale crolla».
Ja vorrebbe andar via, ma ogni suo tentativo è bloccato da una burocrazia ottusa e costosa.
 
Ciò nonostante, «Ja ha una forza interiore molto grande: è lo spazio interiore del pensiero posso cambiare che è una cosa enorme».
La Tosarelli si lega a queste donne come Ja, «guerriere, combattive e desiderose di un cambiamento. Ma senza effettive possibilità di riscatto».
Poi, è la volta dell’Africa, e Riccardo pensa a quanto sia radicata fra noi bianchi e civili «l’idea che l’Africa appartenga a un mondo naturale toccato dalla storia solo a partire dalle nostre scoperte e successive invasioni… Prima di noi, solo deserto, savana, foresta e uomini fermi al neolitico. Moltissimi razzisti amano quell’Africa. Il mal d’Africa, in molte sue accezioni, è razzista. Il male dell’Africa siamo noi».
 
Francesca è pragmatica, se è in autobus, in Italia, e vede una donna straniera («i lineamenti potrebbero essere congolesi»), si chiede subito «come sarebbe se ogni italiana o italiano potessero vivere almeno una volta lo spaesamento e le difficoltà di trovarsi in un paese straniero».
Queste sono riflessioni che tutte e tutti dovremmo fare, quando incontriamo i migranti e pensiamo che vengano a occupare il nostro territorio.
Altro Paese, altra esperienza è in Libano, a Tripoli, dove si «replica all’interno della città il conflitto che si è scatenato in Siria tra la classe dirigente alawita di Assad e tutti gli altri». E’ una Tripoli diversa da quella cantata agli inizi del secolo scorso… Ora in città «circola un fiume di armi» e Francesca è ospitata nella casa di Rami, il traduttore che accompagna lei e il suo collega Alfredo.
Insieme, sull’ambulanza della Mezzaluna rossa, vanno «in una zona molto vicina al fronte, a giudicare dagli spari» e intervistano i combattenti in un condominio sventrato, percorrendo corridoi stretti e bui, poi «abbastanza schiacciati dall’esperienza, facciamo il viaggio di ritorno in silenzio».
 
Ma Francesca sente che in lei qualcosa è cambiato: «ora incomincio a capire: sono consapevole della fascinazione, del potenziale di dipendenza che certe situazioni di conflitto portano con sé. Alcuni reporter sviluppano una vera e propria addiction per l’adrenalina e le emozioni intense del conflitto».
Così accade che tornata dal Libano, Francesca senta «la spinta interiore che la vuole fotografa di guerra».
È cosa ben diversa dal fotografare per mestiere, per vendere. Eppure Francesca sa che «attraverso me, quella sofferenza entra nelle news, diventa una merce… Vende solo la sofferenza eclatante, nuova, vende il sangue fresco, mentre ad esempio le ferite in via di guarigione non interessano molto, quasi per nient».
E pensa alle donne, a quelle che «hanno scelto di non essere più vittime e provano a prendere in mano la propria vita, o ciò che ne rimane. E combattere», e tentare di capovolgere gli stereotipi secondo i quali le donne fragili, deboli, devono essere protette.
«Poiché è la prima vittima della guerra, dovrà essere lei a impegnarsi per costruire la pace…anche con le armi in mano».
 
Francesca è in Congo, intervista Fanette Umuraza, Queen 1, Gruppo ribelle M23 e poi va nel territorio dove opera Mai Mai Shetani, a Nyamilina: lì trova le guerrigliere in tuta mimetica che «puliscono armi, cucinano... Unghie dipinte. Cellulari. Occhi» e tanta tensione: «L’emozione che ho provato a contatto con quelle donne è stata intensa, dura, erano tutte più giovani di me, avrebbero potuto essere mie sorelle minori».
Tra loro, miss Kalashnikov: «unghie laccate oro, un cellulare sempre con sé, una parrucca di capelli scuri e corti, lisci, occhi tagliati a mandorla. E’ davvero bella…».
In realtà, queste giovani donne, molte delle quali già madri, sono diventate guerrigliere dopo aver subito violenze, dopo aver perduto familiari… «non avevo altra scelta…».
Il mondo delle guerrigliere è per certi versi confrontabile con quello delle partigiane italiane, delle anarchiche spagnole, che hanno avuto il compito di «rompere gli schemi, con tutte le lacerazioni che comporta… questo nulla toglie all’immenso coraggio e alla determinazione di intere generazioni di donne guerriere dopo le partigiane, che hanno portato avanti lotte incredibili».
 
Così si conclude questa testimonianza forte e appassionata, che svela a noi lettrici/lettori occidentali, moderni, appagati (?), un mondo lontano in cui uomini e donne si impegnano come possono per dare nuove speranze di vita a chi verrà dopo di loro.
 
Luciana Grillo
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