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Storie di donne, letteratura di genere/ 128 – Di Luciana Grillo

Erika Maderna, «Le mani degli dèi» – Un libro che può piacere alle persone colte, a quelle semplici e alle giovani generazioni affascinate dai miti e dalle leggende

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Titolo: Le mani degli dei. Mitologie e simboli delle piante 
            officinali nel mito greco

 
Autrice: Maderna Erika
Editore: Aboca Edizioni 2016
 
Pagine: Brossura illustrata
Prezzo di copertina: € 19,50

Dopo «Le Medichesse», saggio recensito in questa rubrica (vedi), la Maderna si cimenta con il mito greco, prendendo in esame le erbe officinali - «quando le erbe erano dèi», - la loro capacità di risanare l’animo, le storie di metamorfosi, le dominae herbarum - Afrodite, Mirra, Artemide, Persefone - e infine le erbe del sole e quelle capaci di guarire.
La lettura di questo testo, arricchito da un pregevole apparato iconografico, ci trasporta fra leggende, superstizioni, testimonianze riprese da poeti come Omero, Esiodo, Ovidio, da studiosi come Plinio il Vecchio, da filosofi come Pitagora che, «convinto che i frutti della terra contenessero in sé i nutritivi necessari al sostentamento e alla salute, biasimava la presenza degli animali sulle mense, ritenendo che la loro carne fosse motivo di contaminazione per il corpo».
Concetti particolarmente attuali oggi, nel nostro mondo in cui abbondano vegetariani e vegani!
 
E’ evidente che «la vis medicinale di fiori ed erbe era fonte di grande ammirazione, ed era diffusa la convinzione che non vi fosse nessuna malattia che non potesse essere curata con l’utilizzo delle piante».
Particolarmente interessanti sono le pagine legate alle metamorfosi, da quella di Dafne, amata da Apollo e trasformata in lauro («pianta importantissima nella celebrazione dei riti religiosi e civili… simbolo di vittoria… utile e versatile nella somministrazione terapeutica… ornamento di divinità mediche quali Igea, Asclepio ed Eracle»), a quella di Attis dal cui sangue nasce la viola, da quella di Adone che si trasforma in anemone a quella di Glauco che, nato mortale, «aveva inconsapevolmente acquisito l’immortalità assaggiando un’erba sconosciuta».
Né può mancare un capitolo dedicato all’hortus conclusus, celebrato nel «Cantico dei Cantici», in cui si ritrovano «gli aromi più rari, dal grande valore simbolico e religioso» ma già presente nell’Odissea, quando il re Alcinoo accoglie il naufrago Odisseo.
 
La Maderna si sofferma anche sull’erba misteriosa, moly, che il dio Ermes, protettore dei viaggi, «messaggero, (colui che) varca con sicurezza i confini» consegna ad Ulisse perché sfugga ai poteri della maga Circe: forse «dal sangue del gigante sparso sulla terra germogliò il moly… il suo fiore, dal biancore abbagliante come quello del latte…» è affidato «a ogni uomo o donna, in bilico tra le seduzioni di Circe e la chiamata di Ermes» e diventa quindi simbolo di libertà di scelta.
In contrapposizione al moly, l’autrice descrive la mandragora, detta «erba di Circe… ammantata di una storia simbolica ricchissima che la lega alla maga per il potere afrodisiaco, e non solo», sicuramente erba tossica dal potere allucinogeno, difficile da estirpare, «addirittura si ritira quando mani inesperte la avvicinano».
Un’altra protagonista dei poemi omerici è Elena, la più bella donna del mondo, sposa di Menelao, amata da Paride: anche Elena è un’esperta di piante, la leggenda racconta che le fosse sacro il platano, che dalle sue lacrime fosse nato l’elenio, pianta erbacea, veicolo di virtù cosmetiche, e che insieme al vino la bellissima donna offrisse agli ospiti «il farmaco che spazza via il dolore», una pianta detta nepente.
 

 
Da queste informazioni si deduce che gli uomini curassero le ferite di guerra, mentre le donne curavano le sofferenze psicologiche.
Spaziando nella mitologia più antica, l’autrice riesce ad accostare Gilgamesh ad Abramo, grazie alla presenza di un serpente che al primo rubò la pianta dell’immortalità e al secondo l’accesso alla salvezza.
A me, che da anni mi interesso del mondo femminile, è piaciuto molto il capitolo dedicato alle dominae herbarum: «le memorie più antiche raccontano di giardini primordiali appartenenti alle divinità femminili» e quindi leggiamo (attraverso Ovidio) di Flora, di Era, dal cui seno zampillò il latte che diede origine alla Galassia nel cielo e al giglio sulla terra, di Afrodite che, «quando posò per la prima volta il piede sulla terraferma, a Cipro» fece nascere l’erba e «perfino la sabbia diviene feconda».
 
Ma Afrodite, nata dal mare, provò vergogna della sua nudità e si nascose dietro un cespuglio di mirto, e da allora questa pianta che predilige i litorali marini è collegata alla dea.
Ma proprio questa stessa pianta, come riporta Pausania, fu tormentata dallo spillone che Fedra portava nei capelli, a causa di affanno d’amore.
Poi leggiamo la storia incestuosa di Mirra che partorì Adone trasformandosi in albero da cui, come lacrime, stilla la mirra e l’avventura degli Argonauti, in cui compaiono di nuovo un rettile - Ladone - che custodisce il vello d’oro, Medea con le sue stregonerie e Artemide/Ecate, divinità lunare, padrona delle erbe, fino al canto ipnotico di Orfeo.
Leggendo, ci si immerge in un mondo magico e lontano, si ritorna adolescenti, si ricordano storie imparate tanto tempo fa, come quella di Demetra e Kore/Persefone, che taglia gli steli sottili del narciso «che la Terra generò su richiesta di Zeus».
E dopo il narciso, arrivano il giacinto, il papavero, il cedro, la tuia, la menta, l’achillea e le loro storie, Calipso che mentre tesse custodisce la vite - e qui la Maderna la accosta a Siduri, la «fanciulla del vino» incontrata nella saga di Gilgamesh, - Medea e la ruta, indicata nell’erbario segreto, Clizia, anche lei «medium vegetale», e le folli figlie di Preto di cui ha parlato Esiodo, per arrivare alle erbe della resurrezione, e di nuovo compare il serpente, non a caso presente sul bastone di Asclepio.
 
L’ultimo breve capitolo è dedicato a Eracle, eroe solare (come Gilgamesh) che ha compiuto un viaggio iniziatico, ha superato prove e visitato l’oltretomba.
Le proverbiali fatiche sono dodici come i mesi dell’anno e alcune di esse «suggeriscono riferimenti, più o meno espliciti, alla medicina o alla farmacologia, e numerosissime sono le erbe medicinali che portano il suo nome… o rigano «heraclium», erba eraclea, ortica di Eracle, eraclea sideria… aconito…».
La preziosa ricerca di Erika Maderna si conclude proprio con Eracle: «nell’Odissea, Odisseo incontrerà il fantasma di Eracle nell’Ade, e questi gli confiderà di aver superato questa ultima impresa con l’aiuto di Ermes. Avrà inteso riferirsi proprio al dio portatore di quel moly miracoloso che allo stesso Odisseo aveva consentito di contrastare i poteri di Circe? Oppure alla forza delle doti dell’intelletto, della mente, della volontà, capaci di guidare l’anima verso la luce? Perché ciò che conta, per un eroe e per ogni essere umano, è ottenere la vittoria sulle forze invisibili.»
 
E così si conclude questo affascinante viaggio fra divinità, piante e profumi, a me tocca il compito di sottolineare anche la veste grafica originale e raffinata e il ricco apparato iconografico.
 
Luciana Grillo
(Precedenti recensioni)

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