Home | Rubriche | Letteratura di genere | Storie di donne, letteratura di genere/ 175 – Di Luciana Grillo

Storie di donne, letteratura di genere/ 175 – Di Luciana Grillo

Carmen Pellegrino, «Se mi tornassi questa sera accanto» – Un romanzo veramente struggente che fa nascere il desiderio di fermarsi sulla riva di un fiume e meditare...

image

Titolo: Se mi tornassi questa sera accanto
Autrice: Carmen Pellegrino
 
Editore: Giunti Editore 2017
Collana: Scrittori Giunti
 
Pagine: 240, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
 
Un verso di una bellissima poesia di Alfonso Gatto dà il titolo al secondo romanzo di Carmen Pellegrino, autrice giovane, già pluripremiata con il suo primo romanzo, capace di dare alle parole una straordinaria musicalità, di raccontare fatti e persone secondo il ritmo di una melodia interiore, di farci entrare in un mondo arcano fatto di ideali, illusioni e delusioni.
Il protagonista è il padre, Giosué, uomo di paese, dalle solide tradizioni, eppure sognatore, a suo modo un patriarca che si assume responsabilità e scelte – anche non sue, anche quelle della figlia Lulù, alla quale scrive lettere che affiderà al fiume e che forse nessuno leggerà.
 
Lulù, «che si era ritrovata, con ripetitività ciclica, a essere madre, padre, figura accudente», è andata via, Lulù ha abbandonato Giosuè («Sono andata via e questa volta è una mia scelta. Non cercarmi») e Nora per vivere finalmente la sua vita, senza quei condizionamenti che l’hanno portata su strade che non avrebbe voluto mai percorrere.
Giosuè le scrive, le racconta storie di famiglia e di paese, il suo amore per Nora, la sua fede politica, gli amici.
Le ricorda l’importanza della cultura, con parole semplici: «La differenza fra chi comanda e chi è sotto è anche nel numero delle parole che l’uno conosce e l’altro no».
E la invita a «non divenire avida di futuro, senza più ricordare… vorrei solo che sapessi che all’origine dei miei modi aspri c’erano le privazioni che mi hanno per sempre segnato… Sembra che a un certo punto i ruoli s’invertano ed eccomi alla tua porta, a cercare comprensione, un po’ di calore».
 
La Pellegrino, nel far scorrere sotto i nostri occhi le vite dei suoi protagonisti – e scorrere non è un verbo usato a caso, in questo romanzo scorrono storie, pensieri, fiumi… – crea legami con la realtà, come quando ricorda il terribile terremoto che nel 1980 «durò novanta secondi e fece uno squarcio nella terra, una spaccatura lunga migliaia di vite umane… Videro i cimiteri riempirsi di bare improvvisate… Il pianto faceva un suono antico», o rivive il crollo del Partito Socialista e la delusione amara di suo padre.
Giosuè vorrebbe rivederla, abbracciarla, dimostrarle anche con i gesti il suo affetto che per tanti anni ha burberamente nascosto, («…mi chiedo cosa per me sarebbe peggio della morte, se venisse ora senza che io t’abbia una volta abbracciata. Riconosco di non averlo mai fatto: forse per pudore – da queste parti ci si abbraccia solamente nei lutti – o forse perché certi gesti mi sembravano da donna…»), sentire il calore di una famiglia che non c’è più: «Fuori c’è attesa di veglia natalizia, di luci e tavole imbandite…In questa casa c’è solo il soffio freddo delle cose per sempre perdute…perdute per sempre le parole non dette».
 
La Pellegrino penetra nell’animo dei suoi protagonisti, Giosuè diventa una «corteccia d’uomo che… ha finalmente imparato che si può fallire… Quando accade non è necessario ritirarsi in un luogo dove nessun fallimento, nessun tradimento sembra possibile», Lulù rivede la sua adolescenza, ricorda che «le sarebbe piaciuto studiare i lirici greci e in generale i poeti… aveva scoperto una poetessa che diceva di essere stanca di grandi stelle disumane… Si chiamava Nedda Falzolgher e aveva vissuto la sua breve vita in una casa sul fiume, a Trento», ma sa che «non era venuta al mondo per rivoltarsi contro decisioni che, sebbene determinate da una volontà di controllo ottusa e tanto più minacciosa, erano necessarie al mantenimento della serenità domestica».
 
Già, la casa, la famiglia, la madre fredda e lontana, assente, che nascondeva piccoli scritti inquietanti, che non sorrideva, non abbracciava la figlia, viveva chiusa in un mondo tutto suo, vegliava defunti estranei e partecipava ai loro funerali, e taceva, taceva.
«Tu sola, ora che Nora non ha più parole, potresti raccontarmi chi sono stato… – scrive implorando Giosuè – Ma fino a quando un padre può invocare la salvezza da un figlio e pretendere, con astiosa tenerezza, di addossargli i suoi pesi?».
 
L’altro uomo del romanzo è Andreone, a cui «non era mai riuscito di darsi una regolata, di imporsi un minimo d’ordine… Fuori posto. Era sempre stato così, come un pesce strascicone capitato in un branco di lestissimi marlin». Vive in una casa galleggiante, su un fiume – e sempre il fiume e il suo scorrere ritornano nella vita di Lulù – dove la ragazza si ripara, e diventa «la occupante dal volto di cera» che Andreone non mette alla porta.
Anzi, lascia che dorma nel suo letto, mentre lui si adatta a dormire in uno «stanzino…dove la luce veniva soltanto da una lampadina nuda con il filo tremolante».
 
In questa situazione sicuramente non comune, Andreone e Lulù trovano un pacato modus vivendi, rispettoso e amichevole, parlano, si raccontano le loro storie, ridono.
«Lulù pensò a quanto sia complicata la vita per i figli dell’uomo, che cercano il perdono definitivo per quello che fanno, ma non perdonano mai se stessi per quello che non hanno fatto».
L’ultimo atto di Lulù è scrivere finalmente una lettera a Giosuè e Nora, suoi genitori, per recidere forse l’ultimo legame che ancora la imprigionava e l’ancorava a tempi lontani: «Di quel tempo non ho memoria di abbracci, di un amore onnipotente. La mano amorevole che avrei dovuto trovare per patto di nascita era mano chiusa».
E come suo padre, anche lei affida la sua lettera alla piena, «nella tipica bottiglia dei messaggi importanti».
 
È veramente struggente questo romanzo che fa nascere in lettori e lettrici il desiderio di fermarsi sulla riva di un fiume, di meditare sulla propria vita, sulle scelte, sugli affetti e di affidare all’acqua che scorre il passato e, perché no?, anche le speranze per il futuro.
 
Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Precedenti recensioni)

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande