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Storie di donne, letteratura di genere/ 229 – Di Luciana Grillo

Luciana Castellina, «Amori comunisti» – Un testo vivo e vibrante che racconta amori e lotte, fede nell’ideologia e capacità di mantenersi ad essa fedeli

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Titolo: Amori comunisti
Autrice: Luciana Castellina
 
Editore: Nottetempo 2018
Collana: Cronache
 
Pagine: 266, illustrate, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
 
Luciana Castellina è una giornalista, scrittrice e politica militante. Forse proprio a causa della militanza che l’ha vista iscritta al PCI nel 1947, espulsa e successivamente fondatrice del “Manifesto”, in questa pubblicazione troviamo tre importanti storie di vita in cui all’impegno politico si sovrappone una storia d’amore, come a dimostrare che il privato si incardina nel pubblico in modo quasi inestricabile.
La prima storia inizia in una Turchia che stava nascendo sulle ceneri di un mondo ormai finito per sempre, con la scomparsa del Kaiser Guglielmo di Prussia, dell’imperatore Carlo di Austria e Ungheria e la fine, un anno prima, dell’Impero russo.
 
Il protagonista è il grande poeta Nazim Hikmet, di cui l’autrice presenta gli antenati, di origine nordeuropea e i genitori, figli di illustri persone, che danno al giovane Nazim Hikmet caratteri del mondo turco, come l’ostinazione e l’orgoglio, e del mondo europeo, come la naturale inclinazione al romanticismo.
Altro aspetto assai influente sul giovane, giunto a Istanbul da Salonicco diventata ormai greca, è la multiculturalità e la multietnicità della bella capitale, dove convivono venti di rivoluzione, nobili signore greche che, in francese, disprezzano i poveri anatolici e truppe di occupazione.
È in questa città complessa e incantevole, dove si afferma il potere di Ataturk, che Nazim scrive i suoi primi versi; poi, affascinato dal carismatico nuovo leader, mentre viaggia verso Ankara, in uno sperduto villaggio anatolico, conosce Marx e il comunismo.
 
Da qui al viaggio a Mosca il passo è breve. Nazim è giovane, si innamora ma l’amore finisce in un nulla.
Ritorna a Istanbul ed è costretto dagli eventi a fuggire ancora a Mosca, dove «non è più un viaggiatore, è un rifugiato, al suo primo periodo di esilio», incontra Lena e la sposa, ma sembra che il destino si accanisca contro i due giovani: Nazim può rientrare in Turchia, dove viene arrestato; Lena vorrebbe raggiungerlo da Odessa, ma scompare nel nulla.
La vita, la poesia, l’impegno politico e le donne che incontra e che ama rendono la vita di Nazim estremamente difficile: «Gli pesano gli anni di reclusione, ormai tantissimi, i malanni fisici, la monotonia della vita carceraria che uccide anche la creatività».
 
Eppure riesce ancora a innamorarsi, quando è recluso da più di dieci anni, della bellissima cugina Munevver: «Si perde subito nei suoi occhi verdi… Lei è come paralizzata, il cuore le batte in gola. Non si dicono una parola… Quando debbono lasciarsi, sono - tutti e due - sopraffatti più dall’emozione che dalla tristezza della condizione in cui si trovano… Munevver è stato l’ultimo ramo a cui ho cercato di aggrapparmi…».
Nazim ha davanti ancora sedici anni da scontare; per lui si mobilitano intellettuali turchi, francesi, americani, da Sartre a Picasso, «ma il clima di viscerale anticomunismo è fortissimo… il leader dell’Associazione degli Studenti di Istanbul viene aggredito, mentre parla in sostegno del possibile decreto di amnistia, al grido “Vattene a Mosca”» fin quando il governo di Menderes, che vuole lanciare segnali positivi verso l’occidente, non lo libera il 18 luglio 1950, dopo tredici anni di detenzione.
 
Castellina inserisce nel suo racconto anche i versi meravigliosi di Hikmet («Ti sei svegliato./Dove?/A casa./Hai perso l’abitudine/di risvegliarti a casa tua./Questo è il segno preciso/di tredici anni/passati in galera./») e comincia a vivere accanto a Munevver.
Per poco, nuova separazione all’orizzonte… e nuovo amore. Castellina li ha conosciuti entrambi e con loro ha sofferto, partecipando al dolore di Munevver che «di tutto questo non mi dice una sola parola, né mi domanda nulla, ma è facile intuire i suoi pensieri, i suoi interrogativi… è una quarantenne bellissima, grandi occhi verdi su un volto sciupato, teso», ma comprendendo anche Nazim, «ormai un vecchio, sebbene non abbia ancora sessant’anni. Logorato dalla prigione e dalle malattie che gli ha procurato. Provo pena anche per lui».
 
Dopo la Turchia, è la volta di Creta, luogo di un altro grande amore, quello fra Nikos Kokovlìs e Arghirò Polichronaki, resistenti della guerra civile nel 1948: «Quando per caso i nostri sguardi s’incrociarono e ci trovammo vicini, ho sentito che qualcosa cambiava dentro di me: il cuore batteva più forte».
Alla loro grande storia d’amore si sovrappone le Storia del loro Paese, una guerra infinita e sfibrante. Soltanto nel 1963, dall’Unione Sovietica, potranno far sapere di vivere «come una coppia».
Della loro difficile e incredibile storia hanno parlato a lungo con l’autrice incontrandosi in un villaggio dell’isola, risalendo al 1941, alle migliaia di soldati tedeschi paracadutati sull’isola, alle rappresaglie contro i comunisti, alla scarsa fiducia che gli inglesi nutrivano negli isolani.
 
Castellina racconta che dei «dodici anni che hanno trascorso clandestini fra le grotte sul mare e i rifugi nella zona di La Canea, in città e nei dintorni – ho avuto un prezioso racconto visivo: un filmato girato da un giovane regista cretese, Stavros Psillakis, che sessant’anni più tardi ha rivisitato con i protagonisti tutti i luoghi in cui hanno abitato e operato».
E un testimone aggiunge: «Il popolo cretese ha una caratteristica unica: appoggia sempre chi è perseguitato, anche se non è d’accordo. Esistono pure i traditori, certo. Ma se un perseguitato arriva in una casa, gli danno pane e olio. Questa è Creta».
Credo che l’autrice con questi pensieri e queste parole voglia parlare a tutti noi, in tempi bui per quanto riguarda il senso dell’accoglienza e dell’ospitalità.
 
La terza storia d’amore si sviluppa negli Stati Uniti e Luciana Castellina ha avuto l’occasione di essere ospitata nella casa di Sylvia Thompson in concomitanza con la Socialist Scholars Conference, «tre intensi giorni di discussione a New York, quasi 4.000 partecipanti… vecchi prestigiosi… giovani rivoluzionari… nuove femministe e sindacalisti della tradizione».
Sylvia, di origine europea, comunista, ma con una severa formazione dovuta al padre rabbino, decise di lottare in difesa dei neri nello Stato dell’Alabama e fu quindi costretta a entrare in clandestinità per sei anni.
Alla morte del primo marito, tornò a New York, mentre Thompson, da comunista militante, subì persecuzioni e periodi di detenzione.
A lui Sylvia si interessò subito, perché era un bell’uomo, ma sicuramente perché rappresentava il comunista che aveva seguito le lotte operaie, le vicende spagnole, la guerra antifascista nel Pacifico.
 
Ed anche per Bob Thompson, l’interesse per questa giovane vedova che credeva nei suoi stessi ideali fu immediato.
Nel 1959 cominciò la loro relazione e subito per Bob una nuova condanna a tre anni di carcere. Ma, nel ’62, riescono a sposarsi, pensando che «ci si poteva illudere di avere un’aspettativa di vita comune» e viaggiano, arrivando anche a Trieste, dove ritrovano un vecchio compagno di lotta.
Nel 1965, mentre l’America democratica si ribellava alla guerra in Vietnam, Robert Thompson, a soli cinquant’anni, morì. E per Sylvia comincia una nuova lotta, perché vuole che il suo Bob sia sepolto fra gli eroi nel cimitero di Arlington.
E finalmente una vittoria.
Ora riposano insieme.
 
Questo testo, vivo e vibrante, racconta amori e lotte, fede nell’ideologia e capacità di mantenersi ad essa fedeli.
 
Luciana Grillo – l-grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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