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Storie di donne, letteratura di genere/ 235 – Di Luciana Grillo

Yewande Omotoso, La signora della porta accanto – Una storia delicata sul diventare vecchie e sulla necessità di scoprire la gioia della solidarietà

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Titolo: La signora della porta accanto
Autrice: Yewande Omotoso
 
Traduttrice: Natalia Stabilini
Editore: 66th and 2nd 2018
 
Pagine: 249, Brossura
Prezzo di copertina: € 16
 
Una giovane scrittrice nata ai Caraibi e vissuta in Nigeria, che si è trasferita nel 1992 in Sudafrica dove lavora come architetta e designer, racconta con una saggia leggerezza il rapporto fra due benestanti signore più o meno coetanee, vedove, vicine di casa, decise a non diventare mai amiche: Marion è bianca e robusta, un po’ snob, titolare di uno studio di architettura che conta un gran numero di impiegati, ha figli che non sente da tempo e una nipotina abbastanza affettuosa, una domestica naturalmente di colore; Hortensia è una «guru del design», senza figli, con un marito bianco che l’ha amata e tradita.
 
È nera, minuta, scontrosa, forse allontana gli altri prima che essi stessi allontanino lei.
Ha sofferto, si è sentita isolata anche al Bailer’s Design College, dove «le era stato tolto ingiustamente un voto perché era nera e donna», in una sorta di «grande gelo.
Gli sguardi severi dei compagni e anche dei docenti; gli sguardi della gente che non guardava te, ma attraverso di te; sguardi il cui intento era farti scomparire; e sguardi a cui opponevi resistenza mostrandoti di pietra».
Sguardi che Hortensia ha sentito sulla sua pelle anche quando Peter, bianco, l’ha presentata ai suoi genitori, poco prima del matrimonio: «I genitori di Peter avevano un modo di guardarla che le ricordava chi era, qual era davvero il suo posto…».
 
Il problema è il colore della pelle: secondo Marion «i neri erano gente pericolosa…e stava creando disordini».
Quando Hortensia compra la casa che Marion anni prima aveva progettato e che sperava di poter abitare in seguito, per l’architetta bianca «era un insulto, all’improvviso una donna nera si insediava nella casa… una casa che era sua di diritto e che altri continuavano a portarle via».
 
Per vent’anni queste donne si sono scambiate occhiate malevole e poche parole, solo se strettamente necessario.
Un evento improvviso le costringe alla convivenza: Marion, che ha problemi economici, si trova a convivere nella casa di Hortensia, che è immobilizzata da una frattura.
Con prudenza, pur permanendo i pregiudizi di ciascuna, si studiano, si osservano, prendono qualche volta insieme il te, comprendono l’una i problemi dell’altra, si avvicinano, riescono persino a ridere, ma «si stupirono entrambe della risata che fecero. Sembravano meravigliate, come bambini appena nati…».
 
Insomma, con l’avanzare della vecchiaia, anche due anziane e assai diverse signore possono scoprire di avere molto in comune, possono confidarsi dolori e ricordi, in una sorta di semplice e complice sorellanza.
L’autrice è riuscita a raccontare, forse ispirandosi a vicende di nonne e zie, una storia delicata sul diventare vecchie e sulla necessità di scoprire – proprio quando si rimane sole – la gioia della solidarietà.
 
Mi permetto di aggiungere che questo libro, impreziosito da una copertina davvero deliziosa, appare a volte poco curato, a causa dei numerosi refusi (un’ingegnere, pre-amboli, compelto, ecc). La lettura rimane comunque assai gradevole.
 
Luciana Grillo - l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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