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Storie di donne, letteratura di genere/ 268 – Di Luciana Grillo

Nadja Spiegelman, «Dovrei proteggerti da tutto questo» – Il romanzo è coinvolgente, complesso, ricco di protagoniste e co-protagonisti

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Titolo: Dovrei proteggerti da tutto questo
Autrice: Nadja Spiegelman
 
Traduttore: T. Lo Porto
Editore: Edizioni Clichy 2017
 
Pagine: 432 p, Brossura
Prezzo di copertina: € 17
 
Nadja Spiegelman, autrice di questo romanzo, è figlia di Art Spiegelman e di Francoise Mouly, genitori noti per l’impegno culturale, fondatori della rivista di fumetti underground Raw, ma anche legato – il padre – all’esperienza dei genitori in campo di concentramento (su cui ha scritto un grafic novel che gli ha fatto vincere il Pulitzer) e la madre art director del New Yorker e creatrice di una casa editrice di comics dedicata ai bambini.
Nadja torna indietro nel tempo e tesse una tela al femminile in cui affiorano ben quattro generazioni: la mamma Francoise, la nonna Josée e la bisnonna Mina, insieme a lei, figlia nipote e bisnipote di donne diverse fra loro, ma ugualmente forti e incisive.
 
Della mamma ricorda un senso prepotente di sicurezza: «Io e mio fratello sapevamo che è solo la paura a generare il pericolo. Mia madre ci aveva racchiusi nella sua certezza che saremmo sempre stati al sicuro, e quest’ultima ci proteggeva come un campo magnetico…Mia madre non era perfetta. Mia madre era intensa».
Ed era imprevedibile, soprattutto durante l’adolescenza di Nadja, quando emerse «una nuova pericolosa tensione tra di noi… Per tutta la mia adolescenza, la realtà di mia madre ha minacciato di sopraffare la mia».
 
Quindi, l’autrice risale alla nonna, a Josée, la cui infanzia era stata «cupa e complicata, e i dettagli erano poco chiari alle figlie», alla mamma Francoise che aveva amato follemente sua madre, a cui si avvicinava aspettando – invano – un bacio, nel cui armadio si intrufolava «e si avvolgeva nei suoi abiti».
E Francoise, che non si era sentita amata dalla madre, così, pur convinta di aver «sempre amato i miei due figli nella stessa misura», mostrava una preferenza evidente per il figlio maschio.
Josée e Francoise, madre e figlia, nonna e madre di Nadja, si alternano raccontando storie del passato, mescolando tempi, nomi e fatti, qualche volta non concordanti.
 
Mina appare lontana e indecifrabile, Josée – arroccata nella sua casa galleggiante – sa manifestare tenerezza solo per Nadja, Francoise non dimentica che sua madre era stata «capace di dire cose talmente orrende da oscurare il sole. Nessuno amerà mai una come te… Come potrebbero amarti? Una ragazza sgradevole, insolente e odiosa come te? Le parole proiettavano tenebre nel futuro di Francoise e offuscavano ogni speranza».
Nadja vuole capire questo rapporto madre-figlia che si ripete anche per lei, ricorda il senso di colpa che l’affliggeva quando la rabbia di sua madre si scatenava, per gelosia: «Tra me e mio padre, l’intimità innocente che c’era sempre stata restava immutata».
 
Nei difficili rapporti familiari a volte entra prepotentemente la Storia: l’11 settembre Nadja era lì, a pochi passi dalle torri, a scuola.
Sente boati urla tremori, «le luci si sono spente e poi riaccese. Mi sono guardata le mani. Erano aggrappate al bordo del banco. Le nocche erano diventate bianche… Una nuvola bianca e gigantesca avanzava verso di noi. L’ho guardata mentre la scuola scompariva… Ero cresciuta in una città di grattacieli. Non erano fatti per crollare».
Poi Nadja riprende il suo lavoro di scavo nella memoria, sua madre si turba, vorrebbe essere evasiva, Nadja arriva anche a chiedersi: «Che diritto avevo di scavare così a fondo nel suo passato?».
 
Francoise le dice spesso che i suoi figli, Nadja e il fratello, sono presenti in tutti i suoi ricordi, eppure quando li racconta sono diversi da come la stessa Nadja li rivedeva.
Nel crescere, questa ragazza cambia, prima si manifesta ostile al fumo, ad esempio, poi fuma andando a scuola, «Tutte le cose che un tempo consideravo vietate sarebbero state spazzate via, una dopo l’altra?».
E quando la mamma le racconta episodi di violenza subita, Nadja si infuria, avrebbe forse preferito non sapere.
È allora che Francoise l’abbraccia, le confessa di essere dispiaciuta perché sa di farla soffrire, e conclude: «…sono tua madre. Dovrei proteggerti da tutto questo».
 
Intanto, prosegue il recupero dei ricordi: Francoise lascia la Francia per gli USA, nel tentativo di conquistare l’autonomia, si sposa.
Ha due figli, lavora, è bella ed elegante. Nadja, anni dopo, torna in Francia: «Per tutta la vita avevo vissuto in una città che come me si reinventava di continuo. New York era una macchia confusa di grattacieli svettanti e di vetrine in continua metamorfosi. Ma Parigi tratteneva il tempo immobile come un lago».
Vuole ricucire il rapporto con la nonna e spiegarsi certe incongruenze che viziavano i racconti materni.
Anche Josée però nicchia, risponde quando e come vuole, sembra nascondere certi periodi, le dice che «di tutte le cose io conservo solo i bei ricordi».
 
Un bel ricordo è sicuramente il nuovo appartamento in cui andò a vivere con sua madre Mina e il marito Beppo: «Finalmente Josée faceva parte di qualcosa che somigliava a una famiglia. C’era un papà che ogni sera tornava a casa, una madre che la mattina era sempre lì.»
E c’era anche la nonna Mélanie, cui la piccola spesso era stata affidata.
I ricordi si moltiplicano e sovrappongono, Francoise e Josée raccontano sapendo che le loro storie diventeranno un libro, Nadja ripete a se stessa che «avere uno scrittore in famiglia è come avere un assassino in famiglia»… e finalmente, «mia madre si è girata ad abbracciarmi, respirando tra i miei capelli».
 
È stato difficile scrivere questa recensione. Il romanzo è coinvolgente, complesso, ricco di protagoniste e co-protagonisti.
Comprende più o meno un secolo, ci riporta nella nostra storia, fra donne forti e fragili e uomini… così così.
 
Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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