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Storie di donne, letteratura di genere/ 289 – Di Luciana Grillo

Ersi Sotiropoulos, «Cosa resta della notte» – Un romanzo che ci fa scoprire un poeta, un uomo tormentato, figlio del suo tempo, con grandi versi e fantasie angosciose

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Titolo: Cosa resta della notte
Autrice: Ersi Sotiropoulos
 
Editore: Nottetempo 2019
Traduttore: Andrea Di Gregorio
 
Pagine: 307 p., Brossura
Prezzo di copertina: € 19,50
 
Costantino Kavafis è un importante poeta alessandrino di cui Ersi Sotiropoulos racconta gli ultimi tre giorni trascorsi a Parigi, prima di rientrare in patria, mentre imperversava l’«affaire Dreyfus».
Il traduttore, però, in una nota imperdibile, suggerisce alle lettrici e ai lettori di dedicarsi, prima che alla lettura di questo testo, alla scoperta delle poesie, perché soltanto così sentiranno «riecheggiare le parole del grande poeta in una fittissima rete di rimandi».
Io ho aderito all’invito e ho scelto, fra le altre, una poesia che parla di un viaggio – interiore o reale, come quello che Costantino ha fatto in Europa – che il poeta si augura lungo e ricco di esperienze:
 
Quando ti metterai in viaggio per Itaca
devi augurarti che a strada sia lunga,
fertile in avventure e in esperienze.
………………………………………
Devi augurarti che la strada sia lunga.
Che i mattini d’estate siano tanti
quando nei porti – finalmente e con che gioia –
toccherai terra tu per la prima volta.
………………………………………
Sempre devi avere in mente Itaca,
raggiungerla sia il pensiero costante.
Soprattutto, non affrettare il viaggio;
fa’ che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
metta piede sull’isola, tu, ricco
dei tesori accumulati per strada
senza aspettarti ricchezze da Itaca.
Itaca ti ha dato il bel viaggio,
senza di lei mai ti saresti messo
in viaggio: che cos’altro ti aspetti?
 
Cosa si aspettava Costantino dal suo viaggio? Forse voleva imparare ad amare senza riserve Alessandria, la sua città «che lo soffocava» con «quella vita provinciale… un paesaggio da decalcomania screpolata…», a cui dedica versi fluidi e limpidi: «La città, lei sì ti seguirà, e sempre per le stesse strade/ti aggirerai. E invecchierai in quelle stesse contrade», ma di cui ha paura, «Alessandria mi uccide…», «Se fosse vissuto a Parigi, le cose sarebbero state diverse», ma anche nostalgia: «Venerdì Santo ad Alessandria… O, mia dolce primavera…».
 
Quando si avvicina il momento del ritorno, pensa a «quella casa deprimente. Quella sala da pranzo come la scenografia di un dramma» e paragona Alessandria a Parigi, ma «Il paragone con Alessandria era più che ovvio. Completamente a sfavore di quest’ultima. Tutt’a un tratto sentì una gran fame di Parigi. Un desiderio irresistibile di luci, di boulevard… Chissà se sarei diventato un poeta migliore, vivendo qui», la città dove si incontrano Proust e Anatole France, Rimbaud, Balzac, Dumas, Guy de Maupassant, Verlaine, Zola, Baudelaire, Cézanne e Manet…
 
Insieme a questo logorante rapporto di amore-odio per Alessandria, l’autrice ci parla del complesso rapporto dei figli Costantino e Ioannis (detto John) con la madre, la Cicciona, che li assillava con «il suo bisogno continuo di essere rassicurata, le sue incessanti richieste di affetto», descrive la loro vita parigina in quegli ultimi giorni a disposizione, quando si vorrebbe fare di tutto e di più, ma soprattutto evidenzia l’ansia angosciosa di Costantino, il suo desiderio di essere ed essere considerato un grande poeta, le sue passioni, il suo stato di eccitazione e confusione, spesso sopra le righe, come per effetto di allucinogeni.
 
Insomma, questo romanzo-biografia ci aiuta a scoprire un figlio devoto ma succube, un fratello distratto e un po’ presuntuoso («Non c’è posto per due poeti nella stessa famiglia»), ma soprattutto un poeta, un uomo tormentato, figlio del suo tempo, capace di grandi versi e fantasie angosciose, «spesso era l’impazienza a divorarlo…».
 
Luciana Grillo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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