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Storie di donne, letteratura di genere/ 312 – Di Luciana Grillo

Rosanna Oliva de Conciliis: «Quando il Vesuvio aveva il pennacchio - Vi racconto la mia Napoli» – Un Amarcord napoletano che lascia un po' di nostalgia

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Titolo: Quando il Vesuvio aveva il pennacchio.
            Vi racconto la mia Napoli

Autrice: Rosanna Oliva de Conciliis
Editore: Guida 2019
 
Pagine: 156, illustrato, Brossura
Prezzo di copertina: € 18
 
Rosanna Oliva de Conciliis è una persona speciale, capace – con un ricorso alla Corte Costituzionale – di permettere alle donne di accedere a carriere nella Pubblica Amministrazione, cosa vietata fino al 1960.
Ne ha parlato e ne ha scritto, consapevole di aver contribuito ad eliminare una grave discriminazione nei confronti del mondo femminile.
I suoi testi sono stati recensiti in questa rubrica, sia il primo, che evidenzia l’iter del ricorso (scritto insieme alla professoressa Anna Maria Isastia – Vedi),
sia il secondo che racconta la sua avventura alla nipotina Irene (vedi).
 
Con «Quando il Vesuvio aveva il pennacchio», Oliva de Conciliis ci sorprende e ci affascina, perché racconta, con il garbo di una signora matura e con la leggerezza di una ragazza, la sua vita in una famiglia numerosa, benestante, affiatata, in cui ritroviamo l’atmosfera di tempi diversi da questo che viviamo, la presenza di nonni, zii, cugini, amici e vicini di casa.
Ricordando le storie e le filastrocche che le raccontavano i genitori e la nonna materna Maria, l’autrice confessa che «Avrei volentieri raccontato a mia volta a voce le storie familiari ai miei figli e nipoti, aggiungendovi i miei ricordi personali, seguendo il filo rosso della napolitudine, ma le abitudini e i ritmi di vita cambiati me l’hanno impedito».
 
E dunque scrive, perché non si perdano storie e ricordi…e inizia ogni capitolo con una favola, da Biancaneve a Pollicino, ecc. ecc. fino a Pulcinella che «urla davanti a un piatto di carne cruda: la stava stordendo a suo modo» semplicemente per portare a metà cottura una fetta di carne (la carne stordita).
In realtà, da questi capitoli, non emerge soltanto la vita di una famiglia, le case abitate, le vacanze a Marianella o a Capri, ma anche la storia di una città e gli eventi che l’hanno attraversata.
Non a caso, Oliva premette: «Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori ed omissioni: ho scritto i miei ricordi e non un libro di storia».
 
Tra le sue considerazioni, mi piace trascrivere il suo sentirsi fortunata per avere tanti cugini: «La fortunata circostanza di essere la prima figlia della prima di quattro sorelle e dell’ultimo figlio di sette fra fratelli e sorelle mi ha dato tanti cugini di tutte le età…. In un mondo di famiglie mononucleari e di figli unici qual è quello verso il quale ci stiamo avviando mancano sempre più le occasioni per vivere, con la gradualità che ci consente di assimilarli senza eccessivi traumi, eventi familiari come la nascita e la morte…».
Rosanna è stata una bambina circondata da tanto affetto, forse anche un po’ viziata. Racconta che una volta un “cattivo” dottore le procurava dolore mentre la medicava.
Le zie «mi suggerirono di dargli un pugno, cosa che eseguii facilmente la volta successiva non appena, mentre ero in braccio a mio padre, la sua testa priva di capelli si trovò alla mia portata».
 
Sempre con un tocco di ironia, e con una garbata critica all’operato della mamma, ricorda che, «nel fare un passo indietro, finii in una tinozza d’acqua e mia madre, nonostante fossimo in piena estate, preoccupata che prendessi un raffreddore, mi passò un ferro caldo sulla schiena provocandomi una leggera scottatura».
In realtà, «i miei rapporti con mia madre, che ciclicamente era alle prese con la sua depressione, erano molto conflittuali… ogni volta che ero libera dagli impegni dello studio mi rifugiavo da mia nonna Maria e da zia Marta… le mie due altre mamme».
 
Negli anni, Rosanna Oliva si è trasferita a Roma, i rapporti con Napoli si sono un po’ diradati, ma in questo delicato amarcord non possono mancare né i riferimenti alle superstizioni familiari («Portano bene: Il gobbetto, il corno, specie se rosso e regalato, il corallo./Tagliare le unghie di lunedì assicura lunga vita/Far bere alla puerpera il brodo di un pollo che il marito deve mangiare per intero, per far venire il latte»), né le ricette tradizionali di pietanze immancabili in certi giorni, come il sartù di riso, il gattò di patate, la parmigiana di melanzane al cioccolato e altre.
 
In chiusura, gli alberi genealogici delle due famiglie di origine, per capire meglio nomi e parentele.
A fine lettura, rimane un po’ di nostalgia.
 
Luciana Grilllo – l.grillo@ladigetto.it
(Recensioni precedenti)

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