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Ne parliamo col dott. Filippo Cramerotti – Di Nadia Clementi

L’importanza della diagnosi precoce nella malattia di Alzheimer

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Tra le forme di demenza, la malattia di Alzheimer è senz’altro la più nota e la più frequente. Secondo l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), ne soffrono circa 36 milioni di persone al mondo; tra questi almeno il 60% è affetto da malattia di Alzheimer.
È facile immaginare l’impatto sanitario ed economico della patologia i cui costi sociali, assai elevati, pesano soprattutto ancora oggi sui familiari di questi malati davvero complessi da seguire.
 
La malattia colpisce maggiormente il sesso femminile e spesso l’esordio sintomatologico della malattia di Alzheimer coincide con apatia, perdita d’interesse, calo dell’umore o con la comparsa di una sintomatologia ansiosa che non ha una causa apparente.
Ecco quindi perché sono ormai numerosi gli studi che hanno combinato tra loro diverse metodiche al fine di evidenziare possibili fattori predittivi di malattia; un attento screening neuropsicologico. Le neuroimmagini, unitamente alle alterazioni cliniche, possono esser utilizzate a tale fine.
 
Alla luce dei fatti risulta così evidente l’importanza di una valutazione specialistica accurata, in grado di rilevare i primi segni di cambiamento, non appena questi diventino manifesti al paziente o ai suoi familiari, allo scopo di seguirli ed eventualmente porre il sospetto diagnostico di una demenza di Alzheimer in fase iniziale.
Ma sono moltissime le ricerche che si stanno concentrando su questa patologia, noi per saperne di più ci siamo rivolti al dott. Filippo Cramerotti psicologo, psicoterapeuta, docente e formatore che opera presso lo studio in via Santa Maria 52 a Rovereto, il CST Centro Sanitario Trento in Via Trener 2/2 a Trento e lo Studio Slop Verona in Via Cà di Cozzi 12 a Verona.
 

 
Dottor Cramerotti ci parli dei suoi studi e del perché ha dedicato un suo particolare interesse alla valutazione delle demenze.
«Mi sono laureato in Psicologia Clinica all’Università di Padova e successivamente ho acquisito il titolo di Psicoterapeuta presso la SLOP (Scuola Lombarda di Psicoterapia Cognitivo-Neuropsciologica).
«Ho lavorato, come collaboratore nella valutazione delle demenze, presso il reparto di Neurologia dell’ospedale Santa Maria del Carmine di Rovereto. Ho aperto lo Studio Kairos a Rovereto, nel quale si svolge attività clinica di psicologia e psicoterapia. Ho acquisito un master in Neuropsicologia Clinica presso il Mical di Milano.
«Tutt’ora lavoro come docente e formatore presso la SLOP e ho un contratto come docente presso il Master di Neuropsicologia Clinica di Milano. Nella mia carriera ho dedicato una fetta importante della mia formazione alla valutazione delle demenze e ho partecipato, come relatore, a numerosi convegni su questo tema.»
 
Dottor Cramerotti, prima di tutto cos’è l’Alzheimer? Quali sono le caratteristiche dell’Alzheimer? Qual è la causa che scatena l’Alzheimer?
«L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa a prognosi infausta con esordio, in generale, dopo i 65 anni di età. Colpisce il sistema nervoso centrale ed in particolare il cervello. Si tratta di una delle più comuni forme di demenza e porta ad una perdita progressiva di tutte le funzioni cognitive e dell’autonomia.
«Le caratteristiche fondamentali sono: perdita di memoria, disorientamento spazio temporale, difficoltà di linguaggio ed attenzione, perdita delle capacità di svolgere attività semplici o complesse (es. preparare il caffè), perdita delle funzioni comunicative e sensoriali.
«Nelle fasi finali della malattia si assiste ad una riduzione totale dell’autonomia e del movimento.
«La perdita delle capacità cognitive e funzionali è causata da una progressiva atrofia della corteccia cerebrale (la parte del cervello deputata alle funzioni cognitive superiori come il linguaggio, l’attenzione, la memoria ecc.), la quale sembrerebbe causata, a sua volta, dallo sviluppo di placche amiloidi e matasse neurofibrillari.
«Queste formazioni possiamo immaginarle come delle vere e proprie matasse di filamenti che avvolgono i neuroni del cervello e ne bloccano la funzionalità e lo sviluppo, conducendo lentamente i neuroni alla morte.»
 
Può essere genetica?
«L’Alzheimer è una malattia a causa multifattoriale.
«Indubbiamente c’è un fattore genetico nella predisposizione allo sviluppo di questa malattia. È stato studiato il ruolo di alcuni geni che, mutando, aumentano esponenzialmente il rischio di esordio dell’Alzheimer.
«Naturalmente la familiarità in sé non determina la certezza di malattia ma, fornisce una base su cui ulteriori fattori (ambiente, stile di vita, alimentazione) vanno ad incidere e conseguentemente ad aumentarne il rischio di sviluppo.
«Solo una percentuale bassissima (1-3%) di pazienti, sviluppa forme di Alzheimer precoce (sotto i 60 anni), che sembrerebbero collegate esclusivamente a fattori genetici.»
 
In cosa consiste la diagnosi?
«Nella malattia di Alzheimer non è possibile fare una diagnosi certa fintanto che la persona è in vita: la conferma assoluta della diagnosi si può ottenere solo post mortem dai referti autoptici.
«Si possono, invece, formulare diagnosi possibili o probabili di malattia di Alzheimer.
«Qual è la differenza? Una diagnosi di possibile malattia di Alzheimer è basata sull'osservazione di sintomi clinici e sul deterioramento di due o più funzioni cognitive (per es. memoria, linguaggio o pensiero) in presenza di una seconda malattia che non è considerata la causa della demenza, ma che rende comunque la diagnosi di malattia di Alzheimer meno sicura.
«La diagnosi si qualifica come probabile sulla base degli stessi concetti detti sopra, ma in assenza di una seconda malattia.»
 

 
Come ci si arriva?
«Gli strumenti per fare diagnosi sono:
Anamnesi e visita neuropsicologica
Può darsi che ci venga chiesto di fornire informazioni sul comportamento del nostro congiunto; se ha difficoltà a vestirsi, lavarsi, gestire il danaro, mantenere gli appuntamenti, viaggiare da solo, fare il proprio lavoro e usare gli elettrodomestici. Il malato sarà probabilmente sottoposto ad una visita neuropsicologica, per valutare eventuali problemi di memoria, linguaggio, attenzione. Spesso viene impiegato un esame chiamato Mini-Mental State Examination (MMSE), che consiste nel sottoporre il malato a domande del tipo: Che giorno è? In che città ci troviamo? Come si chiama questo? (mostrando un orologio). Un'altra parte del test consiste nel far eseguire una serie di operazioni in base ad istruzioni semplici.
Esami di laboratorio
Può essere opportuno effettuare una serie di esami di laboratorio (per es. esame del sangue e delle urine) per escludere l'esistenza di altre malattie che potrebbero spiegare la demenza, o di malattie che potrebbero aggravare una pre-esistente malattia di Alzheimer. Inoltre, sono stati sviluppati negli ultimi anni diversi strumenti per osservare l'encefalo, che permettono di fornire immagini del cervello in vivo, rivelando eventuali differenze tra il cervello delle persone sane e quello dei malati di Alzheimer. Questi strumenti permettono di esaminare in modo indolore e sostanzialmente innocuo il cervello di una persona in vita. Per quanto non garantiscano una diagnosi certa di malattia di Alzheimer, queste tecniche permettono di dare maggior peso a una diagnosi di possibile o probabile malattia.
Esami strumentali
- Risonanza magnetica
Questo esame consente di ottenere un'immagine della struttura del cervello molto particolareggiata. Sovrapponendo un'immagine ad un'altra eseguita ad alcuni mesi di distanza,è possibile riscontrare i cambiamenti di una determinata parte del cervello.
- TAC (Tomografia assiale computerizzata)
Questo esame misura lo spessore di una parte del cervello, che rapidamente si assottiglia nei pazienti affetti da Alzheimer.
- SPECT (tomografia computerizzata ad emissione di fotone singolo)
Questo esame può essere eseguito per misurare il flusso del sangue nel cervello; si è riscontrato che tale flusso è ridotto nei malati di Alzheimer, per effetto di una diminuita attività delle cellule nervose.
- PET (tomografia a emissione di positroni)
«L'uso di questa tecnica è limitato ai centri di ricerca. Può evidenziare cambiamenti nel funzionamento del cervello del malato di Alzheimer; ad esempio un utilizzo anormale del glucosio da parte del cervello.
«È possibile, inoltre, fare la ricerca di specifici biomarcatori, per mezzo del prelievo di liquido spinale dalla colonna vertebrale.»
 
Come riconoscere un principio di Alzheimer in un proprio familiare? Nel qual caso, come comportarsi?
«I primi campanelli d’allarme della malattia sono legati alla perdita di memoria a breve termine. Si tendono a dimenticare prevalentemente gli eventi accaduti di recente: la memoria remota viene mantenuta fino a fasi avanzate della patologia.
«Essendo l’Alzheimer una patologia subdola e ingravescente, è utile valutare le modificazioni nel tempo dei sintomi.
«Il disorientamento spazio-temporale (non so più in che anno sono o riconosco poco i luoghi) è un altro campanello di allarme che non va assolutamente trascurato.»
 
Esistono delle differenze tra i sintomi del normale invecchiamento e i sintomi dell’Alzheimer?
«Indubbiamente, nelle prime fasi della malattia le differenze sono minime. L’invecchiamento normale, infatti, prevede una perdita progressiva, ma di lieve entità, delle performance cognitive.
«Nell’Alzheimer si assiste, però, ad un peggioramento costante di una funzione sulle altre (come sopra detto, la memoria). È di fondamentale importanza, qualora si presentassero delle difficoltà mnemoniche, contattare un professionista del settore e monitorare la situazione nel tempo.»
 
L’Alzheimer è una malattia che colpisce non solo in età avanzata…?
«Come sopra esposto, l’esordio della malattia avviene oltre i 65 anni anche se, non di rado, si verificano casi anche nella decade precedente.
«Ricordiamo che la prima paziente del Dott. Alois Alzheimer, alla quale fu diagnosticata la malattia di Alzheimer, aveva 50 anni.»
 

 
È vero che la depressione può favorire l’insorgenza della malattia?
«Non ci sono studi che correlano la depressione all’insorgenza della malattia. Tuttavia, lo stress, la depressione e le condizioni psicologiche sfavorevoli, possono portare ad uno stile di vita meno attivo e stimolante e contribuire alla riduzione delle attività cognitive.
«È invece spesso possibile che forme depressive vengano scambiate per demenza. In questi casi la migliore cosa da fare è affidarsi ad un professionista competente che sappia porre adeguata diagnosi differenziale.»
 
Come evolve la demenza? Con quali i sintomi?
«La demenza esordisce con sintomi sfumati legati alla memoria e al disorientamento spazio temporale, per poi coinvolgere le funzioni linguistiche (difficoltà a ricordarsi i nomi di cose e persone, difficoltà nella comunicazione e nella comprensione), l’attenzione, la prassi (capacità di utilizzo delle cose), le funzioni visuo spaziali e, con il progredire della malattia, si manifestano allucinazioni, disturbi d’ansia, aggressività.
«La persona, in questo stato, necessita sempre di più di assistenza e contenimento in un ambiente-mondo che fatica a riconoscere, con evidenti problematiche di gestione della rabbia e frustrazione per tutti i problemi sopra esposti.»
 
Nella ricerca sull’Alzheimer oggi si parla sempre più di diagnosi precoce: come funziona e quali sono i risultati ottenuti?
«La diagnosi precoce è tutt’ora in sperimentazione. Degli studi incoraggianti hanno evidenziato la presenza di biomarcatori nel sangue, anche parecchi anni prima dell’esordio della malattia.
«Uno di questi biomarcatori è la proteina P-tau217, la quale sembra presente in quantità massicce nei pazienti affetti da Alzheimer. Purtroppo la diagnosi precoce non può aiutare nella cura della malattia, ma solo nella sua prevenzione.»
 
È possibile prevenire l’Alzheimer? Se sì, in che modo?
«La prevenzione, allo stato attuale, è basata su buone pratiche di vita ed alimentari. La presenza di una dieta ricca e varia, una buona e costante idratazione quotidiana, lo svolgimento di una regolare attività fisica tutti i giorni e una stimolazione cognitiva diversificata (parole crociate, imparare nuove cose, tenersi attivi con attività di vario genere) possono ridurre o ritardare l’insorgenza e lo sviluppo della malattia.»
 
Come si cura, quali sono le terapie?
«Attualmente non c’è una cura per l’Alzheimer. Esistono dei farmaci che possono aiutare ad alleviare certi sintomi quali l'agitazione, l'ansia, la depressione, le allucinazioni, la confusione e l'insonnia. Sfortunatamente, questi farmaci tendono ad essere efficaci per un numero limitato di pazienti e per un periodo limitato nel tempo, e possono causare effetti collaterali indesiderati. Si consiglia perciò generalmente di limitare l'uso di tali farmaci ai casi di reale necessità.
«Sulla base del riscontro della riduzione dei livelli di acetilconlina (neurotrasmettitore responsabile della trasmissione di messaggi da una cellula all'altra) nei malati di Alzheimer, inoltre, sono stati recentemente introdotti dei farmaci che possono inibire l'enzima responsabile della distruzione dell’acetilcolina: tali farmaci migliorano la memoria e la concentrazione in taluni pazienti, rallentando temporaneamente la progressione dei sintomi.
«Tuttavia non esiste alcuna dimostrazione che questi farmaci inibitori fermino o facciano regredire il processo di deterioramento cellulare: sono terapie che curano i sintomi, ma non la malattia.»
 
Ci sono terapie alternative per gestire o curare un malato di Alzheimer?
«Per la gestione del malato di Alzheimer, la migliore cosa da fare è cercare di costruire un ambiente semplificato e di facile accessibilità per il paziente.
«In tal modo si possono evitare/ridurre gli episodi di aggressività ed agitazione.
«Assieme a questo è importante garantire sempre una comunicazione dai toni calmi, efficace e semplificata.»


 
A che punto sono le ricerche?
«Purtroppo la ricerca non ha prodotto buoni risultati negli ultimi anni. La malattia di Alzheimer risulta essere ancora una patologia ampiamente sconosciuta e dai caratteri patogenetici oscuri.
«Questo è dovuto al fatto che, come nel morbo di Parkinson, la patologia si sviluppa addirittura decenni prima delle manifestazioni cliniche che poi portano alla diagnosi.»
 
Perché, molto spesso, le persone affette da Alzheimer hanno un atteggiamento aggressivo?
«Proviamo a pensare di trovarci in un mondo nel quale tutto ciò che ci sta attorno, comprese le persone, sia sconosciuto e poco comprensibile (perché questi sono gli effetti della malattia nelle fasi avanzate).
«Come ci sentiremmo? Come potremmo comunicare il nostro disagio? Questa è la condizione del malato di Alzheimer, il quale poche volte riesce a comunicare i propri bisogni in maniera efficiente.
«Un semplice mal di denti diventa un disagio insopportabile e se non ben compreso dai caregiver (coloro che si prendono cura della persona) porta ad atteggiamenti di aggressività, agitazione e opposizione.»
 
Come si può tranquillizzare un malato di Alzheimer?
«La comunicazione verbale e fisica, l’ascolto attento e le modalità di accudimento adeguate possono ridurre gli episodi aggressivi e favorire il benessere del malato di Alzheimer.»
 
Qual è il ruolo del familiare che accudisce?
«Il familiare è, solitamente, il perno della gestione del malato. È sottoposto ad altissimi livelli di stress e fatica, senza escludere le componenti di carattere emotivo-affettive nella gestione del parente colpito dalla malattia. I familiari necessiterebbero di un supporto costante che molte volte non viene, purtroppo, offerto.»
 
È pericoloso tenere a casa una persona malata di Alzheimer?
«I sintomi psicologico-comportamentali dei malati di Alzheimer sono, alcune volte, di complessa gestione e richiedono, in alcuni casi, il supporto di strutture di sostegno che se ne occupino. Fra i problemi maggiormente impattanti ci sono: aggressività, rabbia, allucinazioni, comportamenti rischiosi (aprire il gas di notte, lasciare rubinetti aperti, ecc.), wandering (vagare senza meta e senza la percezione dei luoghi).»
 
Qual è il consiglio che dà alle famiglie?
«Affidarsi a professionisti e strutture che sappiano aiutarle nella gestione del malato ed alleviare il carico di lavoro e stress.»
 
Clementi - n.clementi@ladigetto.it
Dott. Filippo Cramerotti
Psicologo Psicoterapeuta - Specialista in Psicoterapia Cognitiva Neuropsicologica
Docente Formatore SLOP - Scuola Lombarda di Psicoterapia - (Pavia, Padova, Arezzo) - www.slop.it
Docente Master Neuropsicologia presso Mi.CAL - Milan Institute for Health Care and Advanced Learning
www.mical-milano.it
Libero professionista presso Studio Slop Verona-Via Cá di Cozzi 12, Verona,
Studio Kairos-Via Santa Maria 52, Rovereto e CST Trento- Via Trener 2/2, Trento
www.filippocramerotti.it/ - 348 5347882

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