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Cosa si sa della carne di laboratorio – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con Stefano Biressi, professore di biologia cellulare al CIBIO di Trento

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I professori Luciano Conti e Stefano Biressi.
 
Numerose Aziende e start up, presenti in tutto il mondo, stanno portando avanti progetti ambiziosi con l’obiettivo di sposare innovazione e patrimonio nella produzione di proteine animali in vitro.
L’obiettivo è quello di coltivare in laboratorio cellule di razze animali per produrre tagli interi di carne che sia sostenibile, senza macellazione, rispettosa dell’ambiente, priva di antibiotici e agenti patogeni, prodotta coltivando cellule muscolari e di grasso al posto degli animali.
 
Entro i prossimi due anni verranno introdotti sul mercato degli Stati Uniti: pollo, manzo e pesce; il caviale invece richiederà più tempo.
La Fda (Food and drug administration) ha iniziato il processo di approvazione e il via libera per il commercio negli Stati Uniti, che saranno i primi dopo Singapore.
A seguire dovrebbero essere il Regno Unito e l’Europa, dove ne stanno ancora discutendo.
La carne realizzata in laboratorio è carne che dovrebbe, secondo i ricercatori, garantire un minor impatto ambientale e un maggior benessere per gli animali.
 
Nel merito abbiamo provato ad approfondire la questione intervistando Stefano Biressi, professore di biologia molecolare del dipartimento di biologia cellulare, computazionale ed integrata CIBIO, che assieme a Luciano Conti, professore di biologia applicata, e ad un team di giovani ricercatori e ricercatrici stanno portando avanti la ricerca in questo ambito.

Il Centro di ricerca CIBIO dell’Università di Trento con sede a Povo integra al suo interno ricercatori anche di livello internazionale e negli ultimi anni si è reso protagonista di innumerevoli prodezze nell’ambito delle biotecnologie per la salute umana: dallo sviluppo di un bisturi genomico per intervenire sul DNA malato, allo studio sul microbioma minacciato dallo stile di vita occidentale, dalla lotta alla fibrosi cistica fino allo studio di farmaci per malattie rare e poco conosciute in aggiunta ad altri importanti progetti.
Per approfondimenti aprire questo link.




Il professor Stefano Augusto Maria Biressi è un Professore associato del Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata - CIBIO

Il curriculum del professore è leggibile a qeusto link.

Professor Biressi che cos’è la carne in vitro, è carne a tutti gli effetti?
«La carne coltivata in vitro è carne prodotta a partire da cellule staminali prelevate dagli animali, esattamente come la carne tradizionale.
«La differenza principale e che la moltiplicazione delle cellule e la loro maturazione non avviene nei muscoli dell’animale vivo, ma al di fuori dell’organismo senza dover quindi macellare gli animali.
«Attualmente non si riesce a produrre ancora carne esattamente uguale a quella tradizionale. Ma quello è l’obiettivo ultimo a cui le ricerche in questo ambito puntano e a cui stanno man mano avvicinandosi.»
 
Come si produce? Per stimolare la crescita vengono usati ormoni, altre sostanze chimiche e naturali, o entrambe?
«Il processo inizia con una piccola biopsia dell’animale da cui si estraggono le cellule staminali. Queste vengono moltiplicate in bioreattori simili a quelli usati per la produzione della birra o dello yogurt.
«Poi le cellule vengono fatte maturare fino a formare le componenti della carne, come le fibre muscolari e il grasso.
«Questi processi ricapitolano ciò che avviene fisiologicamente durante lo sviluppo dei muscoli. Gli ormoni e altri fattori controllano la crescita muscolare durante lo sviluppo fisiologico degli animali.
«Queste sostanze che promuovono la crescita muscolare vengono anche usate in molti processi di produzione della carne coltivata.
«Questo non deve spaventare poiché va a mirare processi naturali che avvengono anche normalmente nei nostri muscoli quando cresciamo.»
 

Hamburger vegetale con sapore di carne in vendita nei supermercati di Amsterdam.
 
Ha già avuto modo di assaggiare la carne in vitro?
«Purtroppo no, ma spero presto di averne l’opportunità.»
 
Il consumo di carne coltivata non rappresenta un rischio per la salute umana?
«Allo stato attuale delle conoscenze, la carne coltivata non ha rischi per la salute che non siano presenti in altri cibi, inclusa la carne tradizionale.
«Lo conferma un report della FAO e OMS rilasciato lo scorso marzo. Inoltre ne abbiamo l’approvazione da parte di Enti deputati a valutare la sicurezza di paesi come Singapore e Stati Uniti.
«Agli stessi si aggiunge il fatto che a Singapore sia già stata consumata senza creare effetti indesiderati in chi se ne è cibato.»
 
Quali sono i pro e i contro del consumo di questa carne?
«I pro sono diversi.
Innanzitutto, creandola in ambienti estremamente controllati, il profilo di sicurezza dovrebbe essere elevato e potenzialmente anche migliore rispetto alla carne tradizionale.
«Ad esempio, si potrebbero usare pochissimo gli antibiotici, ridurre il potere ossidante della carne tradizionale, si potrà modulare il quantitativo di grassi sulla base delle esigenze dei consumatori.
«Un altro ovvio vantaggio è il benessere animale. Infine le stime suggeriscono che l’uso di territorio sarebbe ridotto rispetto alla carne tradizionale con la conseguente riduzione del disboscamento. La maggior parte delle stime parlano anche di ridotto uso di acqua e promozione della biodiversità.
«C’è ancora dibattito sul consumo di energia. Ma è chiaro che in presenza di sorgenti decarbonizzate di energia l’impatto in termini di gas serra sarebbe minore per la carne coltivata rispetto a quella tradizionale.
«I contro sono questi.
«A mio avviso sarà necessaria ancora molta ricerca, prima di arrivare a produrre in modo economico ed efficiente carne coltivata che abbia le stesse sensazioni sensoriali e che sia del tutto simile alla carne tradizionale.
«Non siamo ancora arrivati a questo livello e lo possiamo constatare dall’immissione sul mercato dei primi prodotti a Singapore, che sono polpette composte in gran parte da componente vegetale.»
 
Nel futuro questi prodotti potrebbero sostituire i tradizionali del tutto o in parte e in che percentuale?
«È difficile a dirsi. È però immaginabile che in un Paese come il nostro che importa circa metà della carne bovina e suina che consumiamo, l’impatto sul mercato della carne tradizionale prodotta a livello nazionale sarà, almeno inizialmente veramente molto limitato.
«Penso che in Italia la carne coltivata non debba essere vista in contrapposizione a quella tradizionale ma semplicemente un’opzione di scelta per chi desidera provarla.»
 

Carne in vitro.
 
Lei confida che questi prodotti saranno prodotti su larga scala o prodotti di nicchia?
«Questa è la sfida dei prossimi anni per chi opera in questo settore. Attualmente i costi elevati e alcune limitazioni tecniche ancora presenti ne impediscano la produzione su larga scala. Bisognerà ottimizzare gli aspetti produttivi, altrimenti rimarrà un prodotto di nicchia.»
 
Secondo la Coldiretti la produzione di carne coltivata in laboratorio sarebbe dannosa per l’ambiente, rischiosa per la salute umana e favorirebbe il monopolio degli interessi di pochi. E, ovviamente, anche il Ministro della sovranità alimentare Lollobrigida è contrario. Lei cosa ne pensa?
«La tesi di Coldiretti riguarda la scarsa sostenibilità ambientale che si basa su un numero esiguo di pubblicazioni che contrastano con un gran numero di pubblicazioni scientifiche che sostengono la maggiore sostenibilità ambientale della carne coltivata.
«Anche dando pieno credito alle pubblicazioni recepite da Coldiretti, le criticità si potranno affrontare favorendo la ricerca di fonti di energia decarbonizzata e ottimizzando i processi di produzione di specifici ingredienti che sono attualmente energivori.
«Per alcuni di essi gli scienziati hanno, ad esempio, già trovato ingredienti alternativi di origine vegetale che sono a basso impatto ambientale.
«Come accennavo prima, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche, il profilo di sicurezza della carne coltivata sembra essere estremamente elevato e non dovrebbe destare particolari preoccupazioni.
«Riguardo alle congetture sul monopolio di pochi, posso rilevare che non sono diverse da quelle che si possono fare per migliaia di altri prodotti.
«Si potrebbe immaginare un’organizzazione in cui ciascuna macelleria abbia un piccolo bioreattore in cui produrre la propria carne coltivata, un po’ come si fa già ora con la birra e nei birrifici tradizionali.»
 
Lo studio in laboratorio della carne in vitro è vietato o è permesso?
«La ricerca è tutt’ora permessa, anche se il divieto di produzione ne mina le basi andando a interrompere il rapporto tra Accademia e Imprenditoria.
«Questo da un lato potrebbe ridurre sostanzialmente i finanziamenti necessari per la ricerca, dall’altro spingerebbe per forza verso l’estero lo sfruttamento di brevetti derivati da ricerche italiane e favorirebbe la fuga dei ricercatori formati nel nostro Paese.»
 
Lei che studi ha fatto in merito? Crede che potrà continuarli?
«Nel laboratorio che dirigo assieme al prof. Conti negli spazi del CIBIO presso l’università di Trento, stiamo cercando di ottimizzare alcuni aspetti cruciali del processo produttivo come l’efficienza della fase di moltiplicazione e di maturazione delle cellule a produrre fibre muscolari e grasso.
«Nel breve continueremo i nostri studi, nel lungo termine purtroppo non lo sappiamo perché potrebbero insorgere difficoltà nel reperire finanziamenti in tale ambito.»
 
Infine, un suo parere spassionato su questo tipo di carne.
«Penso rappresenti un’opportunità che vale la pena di cercare di perseguire e su cui bisognerebbe investire per il bene delle generazioni future.»

Nadia Clementi – n.clementi@ladigetto.it  
Prof. Stefano Biressi - stefano.biressi@unitn.it
 
Per ulteriori approfondimenti, video intervista di ECO&Brain: Il cibo del futuro è coltivato in laboratorio a questo link.
Department of Cellular, Computational and Integrative Biology – CIBIO
University - 38123 Povo, Trento, Italy.

Lab Web Site.

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