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Il delicato tema della genitorialità – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con Beatrice Tauro, autrice del romanzo «Madri a rendere»

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Quattro donne, quattro vite diverse ma accomunate da una giovinezza trascorsa insieme, da sogni nati negli anni spensierati dell’università e poi perduti, divisi, allontanati dall’inesorabilità della vita; una di loro sparisce, senza spiegazioni, mettendo nei guai le sue amiche ventenni con cui viveva in una casa per studenti, per poi ricomparire, dopo quasi vent’anni, con una proposta che metterà in discussione le loro certezze.
È questa la storia di «Madri a rendere», Edizioni Cinquemarzo, il primo romanzo della blogger Beatrice Tauro, abruzzese ma che vive a Roma dove lavora e scrive per un sito dedicato alla cultura dei paesi arabi e islamici.
Beatrice Tauro ha voluto raccontare la storia di quattro amiche, Anna, Cecilia, Francesca e soprattutto l’esuberante e misteriosa Elena, che fa capolino nella vita adulta delle sue ex compagne di appartamento proponendo una vacanza «in memoria dei vecchi tempi».
 
Nel corso del fine settimana che le vede di nuovo tutte insieme, le quattro donne si raccontano, confrontando i reciproci vissuti, la diversa quotidianità che le contraddistingue.
In un crescendo di condivisione che supera l’iniziale diffidenza, le quattro donne si renderanno protagoniste di scelte di vita davvero rivoluzionarie per le loro esistenze, su un percorso trasgressivo e profondamente umanitario insieme, lanciando una sfida a viso aperto alle convenzioni e agli stereotipi della società tradizionale, valorizzando un concetto di famiglia insolito ma che finalmente potrà soddisfare i desideri di tutte loro.
 
La vita delle quattro protagoniste viene presentata subito, nei primi capitoli del libro, ed inizia con le telefonate di Elena che le invita a passare un weekend insieme fuori Roma; la chiamata irrita, stupisce, preoccupa, Elena è sparita da tempo, sono passati tanti anni e le loro vite sono diverse.
Attraverso la presentazione delle quattro donne Beatrice Tauro mette in scena quattro diverse declinazioni della vita al femminile, tirando in ballo tematiche forti ed urgenti: la maternità in primis, tratteggiata in modo non scontato, c’è chi ha già due figli ma è single, chi un bambino lo vorrebbe ma viene abbandonata dal marito, chi di figli non ne ha e va bene così.
C’è poi il grande tema dell’amicizia al femminile, un’amicizia che si consolida in un’ambientazione moderna e comune a tante ragazze, quella degli appartamenti da «fuori-sede».
 
Le serate, le cene, le stanze condivise, ma anche i sentimenti, le delusioni d’amore, i momenti di gioia e fiducia nel futuro che solo a vent’anni si possono avere; c’era tutto questo nelle vite di Elena, Cecilia, Anna e Francesca, una storia che le accomuna a tante ragazze, ed ex-ragazze, che hanno debuttato nella vita adulta proprio andando a studiare all’università e imparando a condividere spazi, vita, pacchetti di caffè, notti insonni e frigoriferi vuoti.
Il mondo raccontato da Beatrice Tauro è quello moderno, è quello delle donne raccontate in un’ottica di genere, senza aver paura di questa parola, ma è anche quello delle famiglie, declinate al plurale, secondo un’eccezione che ancora oggi è così difficile da affermare.
E invece le famiglie sono tante e in questo libro si parte da un assioma semplice eppure tanto contestato: famiglia è dove c’è amore e condivisione e la maternità, il grande tema che tiene insieme tutto il romanzo, non è indispensabile, può essere una scelta personale ma anche un dono da condividere tra affetti molteplici. In questo dono, tutt’altro che divino, e in questa consapevolezza, si snoda la sottile differenza tra una madre a perdere e una madre a rendere

Titolo: Madri a rendere
Autrice: Beatrice Tauro
 
Editore: Cinquemarzo 2016
Collana: Erato
 
Pagine: 112, brossura
Prezzo di copertina: € 12

Beatrice Tauro, il suo libro tratta in modo delicato temi di straordinaria attualità e di cui si parla poco: com’è nata l’idea del romanzo?
«Inizialmente l’idea era quella di raccontare il vissuto di quattro amiche ai tempi dell’università ed era per me un esercizio di memoria, avendo fatto l’esperienza della studentessa fuori sede. Quindi lo spunto autobiografico è senz’altro presente nel romanzo. Poi però la storia ha preso una piega diversa, più complessa che probabilmente avevo dentro e dovevo in qualche modo tirare fuori.
«Consideri poi che mentre scrivevo era molto vivo in Paese nell’opinione pubblica il dibattito sulla legge Cirinnà sulle unioni civili e sull’allargamento dei diritti alle coppie di fatto.
«Bene, questo dibattito mi ha molto ispirata nel costruire l’evoluzione forte e non convenzionale della storia narrata.»
 
La maternità è certamente il tema centrale, le sue protagoniste la affrontano in modi diversi e poi c’è Elena che mette in campo una «proposta indecente».
Si tratta di un argomento secondo Lei ancora troppo poco affrontato? In Italia esistono ancora pregiudizi sul modo in cui una donna affronta, o non affronta, l’essere madre?
«Credo che quello della maternità sia uno dei temi più controversi nel nostro paese. L’Italia è il paese delle mamme, e anche degli eterni figli. La figura materna è quasi un’icona di questo paese eppure il tema della maternità, se affrontato al di fuori dei canoni convenzionali, diventa quasi un tabù.
«Nel mio romanzo ho voluto sottolineare proprio la diversità di visione che oggi, nella poliedrica società in cui viviamo, permette di declinare questo tema che, a mio avviso, si trasforma in genitorialità più che maternità.
«Ho sempre creduto nell’autodeterminazione delle donne nel gestire questa sfera così privata della propria esistenza e ritengo che solo alle donne spetti la decisione finale se avere o meno un figlio, senza condizionamenti familiari o sociali.»

L’amicizia femminile è spesso vittima di stereotipi e troppe volte utilizzata in modo sbagliato, Lei parla giustamente di «sorellanza», ci può spiegare meglio?
«Sorellanza è un bel termine, peccato che si usi poco, ma forse non a caso. Quello dei rapporti fra donne è un capitolo parecchio complicato. Le donne sanno essere tanto solidali quanto ostili le une con le altre.
«A me piace però credere che la sorellanza prevalga nei rapporti, almeno quelli più intimi e profondi. E la storia che ho narrato ce lo dice: queste donne si alleano per la vita.
«Al riguardo mi piace citare una frase che mi ha scritto una lettrice dopo aver letto Madri a rendere, la quale, parlando di solidarietà femminile, mi ha scritto che le donne alla fine si salvano sempre. E io in questo ci credo molto.»

La vita in comune ha caratterizzato gli anni di formazione delle protagoniste di «Madri a rendere», è stato così anche per Lei?
Le ragazze che convivono con altre donne riescono a conoscersi meglio ed instaurare poi relazioni più significative?
«Come dicevo all’inizio anch’io sono stata una studentessa fuori sede e anch’io, come le protagoniste del mio romanzo, ho condiviso la mia vita con altre ragazze negli anni dell’università.
«Per me sono stati anni fondamentali, una palestra di vita, e non solo perché vivendo lontana dalla famiglia dovevo in qualche modo imparare a cavarmela da sola, ma soprattutto perché ho imparato le regole della convivenza, il rispetto degli spazi reciproci, l’aiuto in caso di bisogno, la tolleranza di chi non è abituato a fare le cose come le facciamo noi, insomma a misurarsi con gli altri.
«Uscire dal guscio protettivo della famiglia e iniziare a navigare nel mare aperto dell’autonomia. E’ stato questo per me il periodo universitario. E di sicuro la convivenza aiuta a conoscersi più a fondo, anche se non possiamo dire che ci si conosca fino in fondo, mai!»
 
La fecondazione assistita è un altro tema che caratterizza il suo romanzo, tema controverso e spesso trattato in modo sbagliato e ignorante. Qual è la sua opinione a riguardo?
«Nel corso della scrittura mi sono documentata sugli aspetti che caratterizzano la fecondazione assistita e le forme di maternità surrogata. Attraverso le voci delle protagoniste ho di fatto espresso il mio parere in merito.
«Ritengo che la fecondazione assistita sia una conquista che può donare alle persone che ne sentono il bisogno il regalo di un figlio altrimenti negato.
«Naturalmente occorre una dose elevata di autodeterminazione e si deve essere pronte alle delusioni, agli insuccessi che nell’uso di queste tecniche non mancano.
«Per quanto riguarda invece la maternità surrogata, o utero in affitto, è una pratica che non condivido, pur riconoscendo libertà di autodeterminazione a quelle donne che decidono di usare il proprio corpo per questi fini.
«Credo comunque che il desiderio di maternità non debba diventare un’ossessione che finisce per andare a detrimento della dignità altrui.»
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
 
Beatrice Tauro - tauro.bea@gmail.com

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