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Ne parliamo con Giovanni Cuccurullo – Di Nadia Clementi

Per dire no alla violenza, la prestigiosa rivista Time ha nominato come personalità dell'anno 2017 i «silence breakers», ovvero «coloro che hanno rotto il silenzio»

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Ogni anno la rivista statunitense Time nomina, nel numero di dicembre, la «Personalità dell’anno»: quell’individuo o gruppo di persone che, nel bene o nel male, hanno segnato l’opinione pubblica, smosso le coscienze e fatto parlare di sé.
Per il 2017 la prestigiosa rivista ha nominato i «silence breakers», ovvero coloro che hanno rotto il silenzio: in copertina vediamo diverse donne dello spettacolo che hanno aderito alla campagna virale che durante l’anno ha invitato le persone vittime di violenza sessuale a rompere il silenzio e gridare al mondo «anche a me è successo». 
 

 
Il 2017 infatti sarà ricordato come l’anno dello scandalo Weinstein, il produttore di Hollywood contro il quale si è scatenata una vera e propria bufera mediatica dopo le accuse di molestie da parte dei volti più noti del cinema internazionale, ma anche dell’hashtag #metoo, lanciato dall’attrice Alyssa Milano che ha invitato tutti a rompere il silenzio sulle molestie, le violenze, gli stupri a cui troppe donne sono sottomesse in silenzio.
Sulla copertina di Time ci sono volti famosi dello star system come, Taylor Swift e Ashley Judd, donne di potere come l’ingegnere informatico Susan Fowler e Adama Iwu, e poi, sulla destra, si scorge un gomito, si intuisce che c’è qualcun altro che ha subito violenza ma che non può o non vuole mostrare il suo volto.
 

 
Gli opinionisti e i media hanno definito proprio quel gomito come la parte più importante dell’intera copertina; rappresenta infatti tutte quelle persone che il silenzio non lo hanno rotto e sono purtroppo la maggior parte.
Lo stupro infatti è uno dei crimini meno denunciati in assoluto: si stima che solo il 10% delle molestie venga denunciato e di queste denunce appena la metà si conclude con un processo allo stupratore.
I motivi dietro questo silenzio assordante risiedono nella particolare dinamica del crimine stesso, infatti, le ragioni che spingono le vittime di violenza sessuale, e non solo, al silenzio sono molteplici: paura di ritorsioni, timore di non essere credute, il fatto che spesso chi perpetra la violenza è il padre dei propri figli o peggio un genitore o un amico fidato, ma forse la peggiore di tutte è lo stigma che per sempre si porterà dietro una donna che alza la voce. 
 

 
Basta vedere l’effetto che ha avuto il caso Weinstein su donne famose che si sono viste accusate di tutto in particolare di «essersela cercata», di «aver parlato troppo tardi», fino ad arrivare alle vere e proprie ingiurie e giudizi sulla condotta sessuale delle donne coinvolte nelle vicende.
E tutto questo è successo a persone famose, ricche, che possono affidarsi ad avvocati e psicologi eccellenti, con una rete di contatti molto forte e un supporto incondizionato. Provate ad immaginare come si deve sentire una donna «qualunque» che nonostante le botte, le violenze, la vergogna, il dolore, esce tutti i giorni di casa e conduce la sua vita normale, stando zitta e dandosi la colpa di quanto è successo.
 
 
 
Per meglio approfondire come questa realtà comprenda anche il nostro territorio abbiamo incontrato il tenente colonnello dei Carabinieri di Trento Giovanni Cuccurullo in occasione del convegno «Stalking, femminicidio e violenza sui minori» tenutosi a Riva del Garda il 2 dicembre scorso.
Cuccurullo, che da anni si occupa di violenza sui minori e sulle donne, durante il suo intervento ha parlato di violenza in tutte le sue forme: innanzitutto distinguendo tra violenza fisica e violenza psicologica e poi sottolineando uno degli aspetti più inquietanti, e che fa più rabbia, rispetto alla violenza su donne e minori.
Le statistiche infatti concordano tutte: la maggior parte delle violenze si svolge all’interno del nucleo familiare, e questo produce dei danni molto più gravi rispetto allo stupro attuato da uno sconosciuto. L’incapacità della vittima di parlare, la vergogna e il senso di colpa producono un clima di silenzio e di paura che può protrarsi per anni, se non addirittura per tutta la vita.
 
  
 
Tutto questo è reso ovviamente più sconcertante quando a subire la violenza è un bambino. Se le donne infatti faticano a denunciare soprattutto per paura, i bambini nemmeno riescono a comprendere quanto sia loro capitato, la sessualità, fino a quel momento sconosciuta, diventa qualcosa da temere, che fa male e paura; inoltre fortissimo è il senso di colpa che provano i bambini abusati, arrivando a credere di essere loro stessi a causare la molestia e giustificando fino al limite della sopportazione il proprio aguzzino.
Sono diversi gli indicatori caratteristici del bambino vittima di violenza, bambino che ovviamente cresce e diventa un adulto dall’equilibrio fragile, con una bassa autostima, comportamenti aggressivi o autolesionistici, fino a sfociare nell’abuso di alcool o droga e diventando a propria volta degli adulti violenti.
 

 
Il t.col. Cuccurullo in tanti anni di carriera è entrato in contatto con molti bambini vittime di violenza e con le loro famiglie, e la preoccupazione principale è ovviamente sulla prevenzione degli abusi o quanto meno sui metodi per capire se un bambino è stato vittima di violenza sessuale.
I consigli delle forze dell’ordine equivalgono molto spesso al buon senso: raccomandare ai bambini di non avere confidenza con gli sconosciuti, rifiutare richieste imbarazzanti o che spaventano, mostrare particolare attenzione ai piccoli segnali come cambi improvvisi di carattere, difficoltà a relazionarsi o silenzio insistente.
Forse la parte più difficile riguarda il momento in cui un bambino ci confida di aver subito un abuso: bisogna mostrare calma e disponibilità all’ascolto, senza giudicare o spaventare ulteriormente, senza forzare il racconto e rievocare particolari terribili. Il consiglio ultimo in questo caso è ovviamente quello di rivolgersi alle Forze di Polizia.
 

 
Questo viaggio nel terribile ed oscuro mondo della violenza difficilmente potrà risultare edificante. A molti avrà suscitato rabbia, senso di impotenza o paura.
Forse vi starete chiedendo come fare a spezzare questa catena di silenzio e vergogna che circonda la violenza sessuale.
Tornando all’inizio dell’articolo possiamo dire con sicurezza che ciò che conta è parlare, rompere il silenzio, esporsi.
È difficile e doloroso ma solo così si riesce a portare alla luce quanto successo, liberandosi da un enorme peso.
E tutti coloro che hanno la fortuna di non aver subito abusi ma ne ascoltano le vittime devono imparare a non giudicare e a tendere una mano di aiuto verso qualcuno che ha fatto un gesto di coraggio veramente ammirabile.
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it

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