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Allarme tossicodipendenze in Trentino – Di Nadia Clementi

Ne parliamo con la dott.ssa Roberta Ferrucci, responsabile del «Ser.D», il servizio per le dipendenze dell’Azienda Sanitaria

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L’allarme è stato lanciato dal Ser.D qualche tempo fa: solo nei primi tre mesi del 2018 il Servizio per le Dipendenze dell’APSS ha registrato 14 nuovi casi di minorenni che si sono rivolti al servizio, uno di questi è già tossicodipendente.
Gli altri fanno uso o abuso di sostanze stupefacenti, non solo cannabinoidi (le classiche «canne») ma anche droghe pesanti. Altro dato preoccupante è l’abbassamento dell’età nella quale i ragazzi trentini iniziano ad usare sostanze: oggi si comincia anche a 13 o 11 anni».
Roberta Ferrucci, responsabile del Ser.D, il servizio per le dipendenze dell’Azienda Sanitaria di Trento, conferma dalle pagine del quotidiano Trentino, la gravità della situazione.
Oggi il mondo delle dipendenze è sempre più complesso e sfaccettato, accanto all’aumento dell’abuso di sostanze da parte dei giovanissimi si amplia anche la definizione di dipendenza: infatti lo stesso Servizio per le Dipendenze ha cambiato nome (prima era Sert e quindi trattava esplicitamente le «tossicodipendenze») ampliando il raggio d’azione anche a comportamenti come gioco d’azzardo, shopping compulsivo, disturbi alimentari e dipendenza da internet.
 
I dipendenti del Ser.D dunque non solo ora si trovano ad affrontare un’utenza più giovane, ma anche più variegata: accanto alle persone dipendenti da sostanze, spesso ai margini della società o dalla vita travagliata, accorrono in via Gocciadoro anche casalinghe, anziani, uomini e donne in carriera scivolati nel baratro di un comportamento ossessivo, che limita la libertà, condiziona le giornate e piano piano li isola dagli affetti.
Il Ser.D assiste circa 1.300 tossicodipendenti in Trentino e ha quasi 2mila posizioni aperte, comprese le famiglie e i malati di gioco d’azzardo.
Adesso l’emergenza è però proprio quella della droga tra i giovanissimi. Una situazione che sta peggiorando velocemente: durante tutto il 2017, infatti, il Ser.D ha seguito in tutto 27 minori, quest’anno in tre mesi ci sono già 14 nuovi casi.
Si tratta di numeri molto preoccupanti e che ovviamente non coinvolgono solo il ragazzo ma anche i familiari, gli amici e gli insegnanti.
I ragazzi arrivano infatti a rivolgersi all’Azienda Sanitaria perché spinti dai genitori che si rendono conto di qualcosa che non va o mandati dal Commissariato del Governo al quale vengono segnalati direttamente dalle forze dell’ordine.
 
L’equipe della dottoressa Ferrucci si è vista dunque costretta a sviluppare nuove strategie proprio considerando l’età sempre più bassa degli utenti.
A caratterizzare questo nuovo approccio è la personalizzazione del percorso di uscita dalla dipendenza: basarsi sugli interessi dei singoli ragazzi, pensare ad una comunicazione più coinvolgente, proveniente da persone che i ragazzi ascoltino e prendano in considerazione.
E proprio da quest’ultima esigenza nasce la piattaforma «Tra di noi» dove ragazzi e ragazze tra i 18 e 30 anni si mettono a disposizione dei propri coetanei per rispondere a dubbi e domande (non solo sulle droghe, ma anche su depressione, ansia e problemi sessuali) o semplicemente per ascoltare e lasciar sfogare i giovani in difficoltà.
Per farci spiegare meglio le trasformazioni in atto nella lotta alle dipendenze abbiamo intervistato proprio la dottoressa Roberta Ferrucci.
 
Dottoressa Ferrucci, ci racconti come sono cambiate le dipendenze tra i giovani.
«Anzitutto occorre chiarire che non sempre l’uso di sostanze nei giovani si configura come dipendenza, ma spesso si tratta di pattern di uso molto diversificati che vanno dall’assunzione sperimentale e sporadica ad una assunzione problematica fino alla dipendenza vera e propria.
«Nei minorenni spesso l’uso di sostanze non è ancora definibile sotto il profilo diagnostico come una condizione di tossicodipendenza mentre sempre più frequentemente emerge un disagio che eccede quello dovuto all’età.
«Questi ragazzi presentano molto frequentemente un'ampia gamma di sintomi indicativi di una profonda sofferenza psichica come attestano i comportamenti rischiosi, talvolta illegali e l’incapacità di raggiungere gli obiettivi evolutivi. In alcuni di questi casi talvolta coesistono o sono riferiti preesistenti disturbi psicopatologici per esempio autolesionismo, un alterato rapporto con il cibo, a cui si aggiungono l’uso di alcool e droghe.
«Da una parte c’è la necessità di proteggere il ragazzo da un uso di sostanze che proprio per non essere ancora consolidato li espone al rischio di sovradosaggio oltre che allo sviluppo quasi inevitabile di una condizione di dipendenza, dall’altra il rischio di cristallizzare nell’immagine del tossicodipendente quella ricerca di un’identità che per l’età ma soprattutto per il grave impasse del processo di individuazione è ben lungi da assumere anche solo dei contorni.
«Tutto questo comporta confronti, scontri e talvolta la necessità di una supervisione: un lavoro estenuante che spesso vede i suoi frutti solo a grande distanza di tempo. L’esordio precoce della tossicodipendenza quasi sempre sottende un breakdown evolutivo o uno stallo del processo di crescita.
«Pertanto gli obiettivi dei percorsi terapeutici che vengono proposti sono sempre orientati verso misure protettive atte a contenere l’escalation sintomatica e contestualmente a sostenere la ripresa del percorso evolutivo, ma al tempo stesso anche ad evitare, per quanto possibile, il rischio del consolidamento di un’identità tossicomaniaca.
«Contemporaneamente si propone il coinvolgimento della famiglia in interventi volti a rielaborare e condividere i significati psico-relazionali della tossicodipendenza e a riattivare e sostenere le funzioni genitoriali.»
 
Quali sono le sostanze più pericolose? Con quali conseguenze?
«Non esiste una graduatoria della pericolosità delle sostanze. Come per ogni farmaco ce ne sono di più o meno maneggevoli, quelli da vendersi sotto controllo medico, solitamente, hanno un range di efficacia molto ristretto superato il quale si passa agli effetti tossici, tuttavia anche un aspirina può provocare la morte in determinate circostanze, allora direi l’eroina è pericolosa per la grave dipendenza che tende a determinare, la cocaina per i gravi effetti psicopatologici e per gli infarti cardiaci ma in un ragazzo predisposto anche la cannabis può slatentizzare un quadro psicotico.
«Le sostanze di abuso sono peraltro moltissime e chi le usa compra a scatola chiusa. E’ paradossale ma oggi si è sempre più attenti alla qualità del cibo che mangiamo, all’aria che respiriamo ed i giovani spesso sensibili alla causa ambientale, accettano di inquinarsi il cervello con qualsiasi cosa sia a loro proposta.»
 
Sono più a rischio i maschi o le femmine? Di quale età?
«A questo proposito è interessante notare per esempio come la contiguità con le sostanze di abuso, mostri una differenza man mano crescente tra genere maschile e genere femminile con un gradiente che sembra seguire la percezione di pericolosità o di trasgressione legata alle diverse sostanze: da differenze nulle o irrisorie tra maschi e femmine relativamente alla nicotina e all’alcool a differenze via via crescenti per la cannabis e molto marcate per cocaina, eroina, allucinogeni e psicostimolanti.
«La percentuale di chi sviluppa un rapporto problematico con l’eroina con passaggio dall’uso più o meno saltuario all’abuso, che determina dei danni in senso lato (fisici, relazionali…) fino allo sviluppo di una condizione di tossicodipendenza, mostra coerentemente un rapporto tra genere femminile e genere maschile assolutamente diverso: circa una donna ogni sei uomini a livello nazionale, rapporto un po’ inferiore nelle regioni del nord e con una netta tendenza ad un ulteriore processo di parificazione tra i giovanissimi assuntori di eroina.
«Sempre tenendo ben distinte le due categorie di uso ed uso problematico, le motivazioni che inducono all’uso nei due generi non sono a mio giudizio significativamente diverse e sembrano genericamente legate ad un atteggiamento di sostanziale conformità all’immagine socioculturale dominante.
«Si tratta in ogni caso di un uso connotato non come trasgressivo nel senso di legato ad atteggiamento critico rispetto alle norme sociali ma che si iscrive piuttosto nella logica dell’aggregazione, dell’imperativo a distrarsi al conformarsi alle regole del gruppo.
«Relativamente al differente atteggiamento nei due generi rispetto all’approccio con le sostanze ritenute più pericolose ed alla modalità di uso sottolineata prima, mi sembra di poter leggere un’adesione agli stereotipi, che vogliono ancora gli uomini più capaci di confrontarsi con il pericolo e le donne aderenti all’immagine mediatica che enfatizza soprattutto gli ideali di bellezza. E’ peraltro nota a questo riguardo, la nettissima prevalenza femminile dei disturbi del comportamento alimentare.
«Quando invece si passa alla sfera della problematicità nel rapporto con la sostanza mi sembra di cogliere delle differenze significative tra uomini e donne relativamente al tipo di sofferenza psichica che sottende un uso di sostanze ormai patologico.
In particolare nella mia ormai ventennale esperienza di lavoro al Ser.t, ho notato condizioni di sofferenza psichica sempre molto evidenti nelle donne che sviluppano una dipendenza. Una sofferenza che molto spesso si esprime in sintomi che coinvolgono anche il rapporto con il cibo, molto frequentemente disturbato nelle nostre pazienti, così come sono frequenti storie di traumi precoci o non, sindromi depressive, e molto frequentemente disturbi della personalità. Si parla in gergo di doppia diagnosi anche se è lo stesso nucleo di sofferenza sottostante che di volta in volta prende una forma di espressione diversa.
«Inoltre vorrei sottolineare la potenziale dannosità di tutte le sostanze di abuso durante la gestazione, sostanze diverse possono essere responsabili di danni diversi, in particolare molte donne non sono a conoscenza dei possibili danni al normale sviluppo embrionale che possono causare anche le cosiddette droghe leggere: i derivati della canapa indiana, hashish e marijuana.
«I più recenti dati scientifici evidenziano possibili anomalie del processo di sviluppo neuronale con evidenze di disturbi dell’apprendimento in età scolare nei figli le cui madri hanno assunto la sostanza durante la gestazione.»
 
In che modo i genitori dovrebbero reagire alla scoperta che il proprio figlio fa uso di sostanze?
«Premetto che sono anche madre e da genitore so che è relativamente facile dare consigli ed essere lucidi quando si tratta di figli altrui. Oggi noi adulti abbiamo perso prima che l’autorevolezza il senso di autoefficacia, di fiducia nelle proprie capacità. Scatta allora il meccanismo della delega: dai genitori alla scuola e dagli insegnanti agli specialisti, mentre invece ogni adulto deve dar prova della sua responsabilità facendo la sua parte che non vuol dire non chiedere aiuto ma stare al fianco degli insegnanti, dei terapeuti.»
 
 Ecco un decalogo 
•    Non parlare di lui ma a lui
•    Non pensare al posto di lui
•    Non far credere che alcune decisioni sono prese per lui o lei mentre sono prese per me
•    Evitare prediche e lamentele ripetute
•    Evitare ricatti morali
•    Enfatizzare le risorse e le possibilità
•    Restituire competenza e responsabilità
•    Evitare i sensi di colpa
•    Mantenere un approccio positivo
•    Comunicazione franca
•    Controllo delle attività extradomestiche dei figli.
 
Qual è il modo migliore per rivolgersi a voi?
«Una telefonata, una semplice telefonata, non ci sono tempi di attesa, il servizio è gratuito, non occorre l’impegnativa da parte del medico di medicina generale che comunque ne garantisce l’anonimato, soprattutto per i minori ma anche per chi desideri una maggiore tutela della privacy è possibile attuare le prime visite presso un ambulatorio medico esterno al Ser.D.»
 
Qual è il percorso classico di una persona con tossicodipendenza?
«L’uso occasionale di una sostanza è una scelta più o meno condizionata dalla vulnerabilità individuale, dalla struttura di personalità, dalla disponibilità di sostanze nel territorio, dall’atteggiamento nei confronti dell’uso del gruppo dei pari.
Spesso si tratta di percorsi lunghi, fatti di alternanza di periodi buoni e di ricadute, di catene di interventi che talvolta portano ad insperati successi.
«Il processo di presa in carico prevede una fase di valutazione multidisciplinare a cui segue una proposta di programma terapeutico che può prevedere l’attivazione di una o più figure professionali, ed anche la collaborazione con altri servizi sia pubblici che appartenenti al cosiddetto terzo settore.
«Non si può prescindere dalla valutazione delle caratteristiche del soggetto che sviluppa la dipendenza per la rilevanza che assume rispetto alle scelte di trattamento. Per cui conseguentemente il modello di intervento sarà basato sulle competenze e sui problemi piuttosto che sulla titolarità del caso in relazione alla diagnosi formulata.
«Di particolare rilievo è la presenza tra le persone affette da disturbi da uso di sostanze di un grado di sofferenza psichica molto elevata che talvolta si manifesta con disturbi psichiatrici e molto più frequentemente con disturbi della personalità di grado anche grave con ricadute sulle capacità adattive e gravi problemi comportamentali.
«Questa tipologia di pazienti pone enormi problemi nella presa in carico in quanto molto spesso l’alleanza terapeutica diviene l’obiettivo piuttosto che il presupposto indispensabile al processo di presa in carico, sono pazienti che difficilmente pongono una domanda di aiuto coerente, interrompono frequentemente i trattamenti, si espongono a comportamenti a rischio per la loro salute e talvolta per la sopravvivenza stessa e richiedono frequentemente interventi sull’urgenza difficilmente programmabili. Questi pazienti necessitano ripetutamente di periodi di trattamento residenziale a fronte di periodi di perdita del controllo sull’uso di sostanze o di fasi di scompenso psichico.
«La caratteristica tendenzialmente recidivante delle dipendenze patologiche, determina anche la presenza di utenti il cui percorso nel servizio si dispiega nell’arco di uno o più decenni con prese in carico continuative o alternanti fasi di remissione a fasi di ricaduta.»
 
Qual è invece il percorso quello per una persona dipendente ad esempio da gioco d’azzardo oppure dallo shopping?
«Il processo di presa in carico prevede sempre una fase diagnostica e poi la proposta di un programma terapeutico il più possibile confezionato su misura.»
 
Quali sono le figure professionali all’interno del Ser.D?
«Medici psichiatri e tossicologi o internisti, infermieri, assistenti sociali, tecnici della riabilitazione psichiatrica, psicologi e personale amministrativo.»
 
Quale ruolo ha la scuola nel fornire un’educazione sulle sostanze stupefacenti?
«Il ruolo della scuola è importantissimo, perché è a scuola che il bambino prima il ragazzo poi, si cimenta con la sua immagine sociale Il ruolo della scuola è quello di scoprire e valorizzare i talenti di ognuno; l’insegnante ha il ruolo di testimone è importante che ami la sua materia , il suo lavoro: certamente occorre mettere gli insegnanti in condizione di farlo.
«Il silenzio quasi raggelante che molto frequentemente cala sulla domanda di rito, soprattutto per i più giovani: “Ma a parte la droga, cosa ti piace?” conferma la lettura di Massimo Recalcati sull’interpretazione di questa patologia nell’ambito di quella che efficacemente descrive come clinica del vuoto.
«Nella sua lettura la tossicodipendenza diviene una delle malattie simbolo di una società drogata dalla dissociazione del rapporto di priorità tra il desiderio ed il godimento che paradossalmente a fronte di un’apparente libertà di comportamenti sempre più spesso rendere schiavi dell’imperativo a godere.
«Una lettura che restituisce ad ogni adulto che abbia a che fare con minori, tutta la responsabilità di poter dare un esempio della possibile mediazione tra il desiderio e la legge.
«Il rischio che corriamo è di restare a nostra volta anestetizzati, indifferenti, come mette efficacemente in luce nel suo romanzo Devozione la giovane scrittrice Antonella Lattanzi:
«L'80 percento dei passeggeri era robbomane. Il 20 percento di vecchiette non ci faceva caso. Nemmeno a quel tossico che si faceva dentro l'autobus. Nemmeno a quello che cadeva per terra lungo lungo e tutti pensavano fosse andato in overdose ma nessuno diceva o faceva niente.»
 
Quale invece quello dei genitori? È giusto parlare di droga a casa?
«Sicuramente il dialogo, il confronto non deve mai cessare.»
 
L’idea di «Tra di noi» è quella della «peer education» ci può spiegare meglio di cosa si tratta?
«Il Ser.D collabora con il Dipartimento di Prevenzione con progetti rivolti alle scuole e progetti di comunità. In entrambe le tipologie di interventi l’informazione scientificamente corretta si intreccia ad azioni che vedono i partecipanti protagonisti; gli studenti infatti partecipano alla programmazione di progetti di educazione tra pari, mentre i docenti vengono coinvolti in corsi di formazione che forniscono loro gli strumenti per poter proseguire percorsi avviati dai professionisti del Ser.D.
«I progetti di peer education prevedono la selezione di un gruppo di peer leader che verrà formato sul tema degli stili di vita, sulle life skill in particolar modo la capacità critica e di scelta. I peer leader finito il percorso formativo porteranno a cascata nelle classi dei pari quanto appreso ed alcuni di loro potrebbero essere attivamente sostenuti nell’attività di prevenzione (Servizio Civile) anche fuori dalla scuola ad essere opinion leader in positivo nei gruppi giovanili. La peer education è l’unico progetto di prevenzione per il quale sono stati fatti degli studi di metanalisi per valutarne la validità.»
 
Ci può indicare quali sono le migliori azioni di prevenzione?
«Io credo nei progetti di prevenzione di comunità che vedono coinvolti gruppi di adulti rappresentativi di diverse categorie che a vario titolo entrano in contatto con la popolazione giovanile.
«Si tratta di un’azione in controtendenza con la logica del demandare all’esperto la soluzione di ogni problema specifico abdicando alla necessaria assunzione di responsabilità di cui ogni adulto dovrebbe dar prova.
«Si tratta di un’attività molto impegnativa perché consta di una prima fase di sensibilizzazione dei diversi gruppi di partecipanti a cui i professionisti del Ser.D offrono la possibilità di un confronto sul tema degli stili di vita compreso l’uso di sostanze, per poi stimolare le proposte di azioni concrete con l’obiettivo di aumentare le opportunità per i giovani di non ricorrere all’uso di sostanze come mezzo di integrazione sociale, come comportamento per rendersi visibili, come fuga da un mondo che sembra lasciare troppo poco spazio ai loro sogni o al contrario dall’impasse in cui si trovano di fronte alla difficoltà di corrispondere ai sogni dei genitori su di loro.»
 
Nadia Clementi – Email n.clementi@ladigetto.it
 
Dott.ssa Roberta Ferrucci - Email: serdtn@apss.tn.it
Per informazioni: https://www.apss.tn.it/serd
 
Indirizzo Ser.D. Trento: Via Gocciadoro 47/49 - 38122 - Trento
Indirizzo Ser.D Rovereto: Via Santa Croce - 38068 - Rovereto
Indirizzo Ser.D. Riva del Garda: Largo Marconi 2 - 38066 - Riva del Garda
Telefono Ser.D. Trento: 0461 904772
Telefono Ser.D. Rovereto: 0464 404980
Telefono Ser.D Riva del Garda: 0464 582704

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