Home | Rubriche | Parliamone | «Tutti abbiamo qualcosa nel nostro passato che vorremmo dimenticare...»

«Tutti abbiamo qualcosa nel nostro passato che vorremmo dimenticare...»

Intervista a Nicola Mezzetti fondatore e leader di United 4 change - Di Nadia Clementi

image

>
«Tutti abbiamo qualcosa nel nostro passato che vorremmo dimenticare. Vorrei che ci chiedessimo: Come sarebbe la mia vita se fossi conosciuto solo per la cosa peggiore che ho fatto?
«Mossi dall'empatia, dobbiamo riconoscere le persone per quello che sono oggi e non per gli errori che hanno fatto ieri. In questo modo milioni di persone con un passato nel crimine potrebbero sbloccare il loro potenziale.»
Queste sono le parole di Catherine Hoke, fondatrice dell’organizzazione no-profit americana Defy Ventures che dal 2010 si occupa dei problemi legati al mondo del carcere e in particolare rispetto alle opportunità di lavoro e professionalità degli ex-carcerati.
Le affermazioni di Hoke trovano piena conferma anche nel mondo carcerario italiano la dove c’è ancora molta strada da fare riguardo il reinserimento lavorativo degli ex-detenuti e la prevenzione della recidiva.
Le ultime riforme dell’istituto di detenzione si sono mosse in questa direzione ma gli strumenti messi a disposizione dallo Stato restano sottoutilizzati, come evidenzia il Rapporto Openpolis del 2016, complice anche un sistema penitenziario ancora legato ad una vecchia concezione del carcere che si traduce in numeri scoraggianti per quanto riguarda i detenuti che lavorano o frequentano corsi professionali: solo il 3,64% dei detenuti frequentano dei corsi con lo scopo di apprendere un lavoro, mentre il 4,38% degli oltre 54.000 detenuti in Italia è occupato con mansioni professionali.
 
I detenuti lavoratori sono in realtà il 28% del totale ma di questi la stragrande maggioranza è occupata in lavori di amministrazione penitenziaria; un bagaglio lavorativo che non è certo indifferente ma che difficilmente si potrà tradurre in un’occupazione una volta terminata la pena detentiva.
La maggior parte dei detenuti che lavorano si occupano di falegnameria, assemblaggio, sartoria e altri lavori di tipo manuale. La verità più scomoda che riguarda questo delicato tema è che nessuno se la sente di assumere un ex detenuto; questo assunto di base fa si che ci sia un alto numero di recidive, ovvero persone che una volta uscite dal carcere ricadano in poco tempo nel mondo criminale; i numeri nel nostro Paese sono impressionanti: ben il 68% dei detenuti torna a delinquere una volta uscito dal carcere e non si tratta solo di una sconfitta a livello umano e di rieducazione, bensì anche di un problema pratico visto che il costo medio per un detenuto è di 120 € al giorno.
C’è però un dato che fa ben sperare: l’81% dei detenuti affidati ai servizi sociali non è recidivo, un dato simbolico che deve far riflettere su una cosa: non è la persona ad essere intrinsecamente portata a delinquere, è il sistema intorno a lui che lo supporta o scoraggia nell’azione criminale, ed è un sistema integrato di rieducazione, cultura e approccio che portano a dare vere nuove opportunità ai detenuti.
 
Certo fino qui tutte belle parole; cambiare la cultura di un sistema complesso e obsoleto come il carcere sembra un’impresa titanica e quasi tutti i governi italiani che si sono succeduti hanno tentato in un modo o nell’altro di riformare questa gigantesca macchina al rischio del collasso.
Come in tante altre situazioni anche qui la verità sta nel mezzo: non possono essere le grandi manovre a cambiare la mentalità delle persone, bensì le piccole azioni quotidiane, la cultura e l’educazione.
A farlo sono tanti uomini e donne che ogni giorno fanno volontariato all’interno del carcere, insegnanti che prestano le proprie competenze a chi ha perso la speranza del futuro; ma ci sono poi realtà più strutturate, come associazioni e cooperative, ma anche |visionari» con un progetto in mente e basi solide da cui partire.
È il caso del progetto «United 4 Change», ideato da Nicola Mezzetti, esperto di formazione, di sviluppo d’impresa e di tecnologie digitali, e attuato da un gruppo di professionisti in diversi settori (dal coaching, alla psicologia passando per la giurisprudenza e il fundraising).
 
L’idea di base del progetto è quella di puntare ad un percorso formativo che sviluppi imprenditorialità e resilienza permettendo ai detenuti non solo di apprendere delle competenze fondamentali per affrontare il mondo del lavoro, ma addirittura di sviluppare un piano di impresa, creare un bagaglio di soft skills per affrontare le difficoltà, imparare ad accedere ai servizi per ottenere il giusto supporto nel periodo di reinserimento: in poche parole creare la possibilità di costruirsi un futuro in autonomia, superando non solo lo scoglio di diffidenza da parte della società libera ma soprattuto ritornando a credere in sè stessi e nelle proprie capacità.
Facile a dirsi ma certamente complicato a farsi; per capire di più rispetto a questo ambizioso progetto abbiamo intervistato Nicola Mezzetti, fondatore e leader di United 4 Change.
 

 
Dottor Mezzetti, ci dia una overview generale del servizio: come ha avuto l’idea? Come si struttura il progetto?
«Il progetto nasce dalla considerazione che un ex detenuto, scontata la propria pena, tipicamente si ritrova a chiedere tanta fiducia in una volta sola: l’assunzione da parte di un’azienda. È naturale che questo tipo di richiesta possa trovare lo scoglio della diffidenza e, una volta persa la fiducia nelle proprie possibilità, la persona possa tornare a delinquere.
«L’alternativa che spesso trovano è quella di lavorare sottopagati per alcune realtà che approfitta della loro situazione di fragilità. Ma anche questa strada, alla lunga, diventa frustrante.
«L’intuizione alla base del progetto è quella di permettere ad un ex detenuto di riguadagnare la fiducia degli altri grazie ad un progetto di imprenditorialità, chiedendo alla società poca fiducia tante volte anziché molta in una volta sola. In questo modo la persona potrà ricostruire una reputazione positiva e un proprio ruolo sociale.
«Ho fiducia che questa semplice trasformazione possa portare un grande impatto. Per la prima sperimentazione presso la casa circondariale di Spini di Gardolo, abbiamo previsto un percorso formativo orientato allo sviluppo dell’imprenditorialità e di progettualità positive, compatibile e complementare rispetto alle altre attività svolte all’interno della struttura, costituito da 24 incontri da due ore che si sviluppano lungo 12 settimane.»
 
Come verranno selezionati i detenuti che vi prenderanno parte? Quali sono le «materie» che andrete a insegnare?
«Non è un percorso accessibile a tutti. I detenuti che vi parteciperanno sono selezionati dall’Amministrazione Penitenziaria, in relazione alla valutazione dello psicologo clinico che collabora con la struttura e alla compatibilità tra il tipo di reato commesso e l’avvio di un’attività imprenditoriale.
«Le attività formative si svolgeranno in modalità laboratoriale, intercalando momenti di spiegazione ed esercitazioni facilitate dal formatore.
«Lavoreremo sullo sviluppo di consapevolezza, autostima, capacità che sono alla base dell’imprenditorialità e sullo sviluppo delle competenze base per la realizzazione di un’idea di impresa: dalla comprensione di come creare valore usando le proprie capacità alla definizione di un modello di business e di un piano di progetto. Ogni discente terminerà il percorso con un proprio piano dettagliato di progettualità positiva.»
 

 
La formazione in aula non è certamente sufficiente per un progetto ambizioso come il vostro; è previsto un sistema di monitoraggio e valutazione dei risultati ottenuti?
«Il primo e più importante risultato oggettivo di questo progetto è che al termine del percorso ogni discente avrà prodotto un proprio piano di imprenditorialità, sviluppato sulla base delle proprie attitudini e competenze. Inoltre, a monte e a valle del percorso formativo, un team di psicologi professionisti e specializzati nella valutazione del potenziale individuale interverrà per valutare l’impatto del progetto sul potenziale e sulle capacità dell’individuo di crearsi un futuro positivo.»
 
Si parla sempre più di rete nel mondo del lavoro, in che modo il creare network è importante per questo servizio? Quali gli attori del mondo sociale coinvolti?
«Il network, ovvero le relazioni che ci legano alla società, sono il più grande e utile strumento che abbiamo per far fronte a situazioni di cambiamento o che da soli avremo difficoltà ad affrontare. Il network è quindi di fondamentale importanza sia per la realizzazione del nostro progetto sociale che per garantire un buon reintegro in società per i nostri futuri discenti.
«Gli attori del mondo sociale che sono al corrente di questa nostra iniziativa sono per il momento prevalentemente in Trentino, e fanno parte della costellazione della Cooperazione, fatta eccezione per alcune organizzazioni distribuite tra Lombardia ed Emilia-Romagna, regioni molto attive sulle attività di recupero e valorizzazione dei detenuti.»
 
Quali sono i vantaggi per un detenuto e per tutto il sistema nel seguire questo tipo di percorso?
«Il vantaggio per un detenuto è quello di disporre dell’aiuto di personale qualificato e di poter dedicare parte del periodo detentivo a concettualizzare e pianificare un progetto di reintegro positivo nella società. In questo modo, al termine della pena, egli non si sentirà disorientato e solo ma disporrà di un piano per costruire un proprio nuovo futuro nel rispetto della legalità e dei principi della convivenza, oltre ad un insieme di contatti che potranno agevolare la realizzazione di quel piano, garantendo servizi o supporto motivazionale.
«Si stima che la recidiva costi al sistema Italia ben 51 milioni di euro all’anno per punto percentuale, per un totale complessivo di quasi 3,5 miliardi di euro all’anno. Negli Stati Uniti, grazie a questo tipo di approccio, in uso da circa 10 anni, la recidiva sui casi trattati si è ridotta dal 65% al 3%. I vantaggi per lo Stato e la società intera sono chiari: minori costi, maggiore sicurezza e maggior benessere.»
 

 
Quali sono le novità e i fattori di originalità di United 4 Change rispetto agli altri percorsi educativi?
«Prima di essere un progetto formativo dedicato ai detenuti, United 4 Change è un progetto di impresa sociale, che nelle prossime settimane si costituirà in associazione di promozione sociale, specializzata nell’impiego della formazione all’imprenditorialità per generare e accelerare processi di inclusione sociale a beneficio delle categorie fragili.
«Che io sappia, in Italia - e forse anche in Europa - è il primo progetto di impresa con questa missione specifica.»
 
Come è composto il team di lavoro? Come sono stati selezionati i docenti?
«Il team di lavoro conta tre formatori esperti di imprenditorialità e creazione di impresa, uno psicologo clinico specializzato nella valutazione del potenziale individuale e di gruppo e un advisor legale. Il team è stato selezionato da me stesso, sulla base del mio network personale, privilegiando la motivazione verso la missione di United 4 Change e verso il progetto, oltre che le competenze specifiche e comprovate dall’esperienza chiaramente.»
 

 
Tutto questo avrà certamente un costo, in che modo si finanzia il progetto? Avete attivato anche un sistema di raccolta fondi?
«Mi sono attivato già dallo scorso febbraio per raccogliere i fondi necessari alla realizzazione di questo progetto. Finora ho ricevuto tante parole di incoraggiamento ma, concretamente, ancora nemmeno un euro; ho riscontrato molta curiosità rispetto alla proposta di progetto.
«Perciò ho riunito il team di lavoro proponendo di fare la prima sperimentazione a titolo di investimento, completamente a carico nostro. Il team, credendo fermamente nel potenziale dell’idea e nell’importanza di onorare tutte le parole e gli sforzi spesi finora, ha approvato all’unanimità questa opzione.
«A regime, l’associazione si adopererà per raccogliere fondi tramite la partecipazione a programmi di finanziamento europei o privati, affinché il servizio sia gratuito per le strutture e le persone destinatarie delle attività formative.»
 
Si tratta di un lavoro sperimentale solo sul carcere di Trento o verrà proposto anche ad altre realtà italiane?
«Certo che si, grazie all’associazione di imminente costituzione, abbiamo l’obiettivo di estendere l’offerta a molte altre strutture sul territorio nazionale, così come ad altre categorie di soggetti a rischio di esclusione sociale.»
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it
Nicola Mezzetti - nicola.mezzetti@gmail.com

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande