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La ’Nadragheta e rischi di infiltrazioni anche in Trentino

Ne hanno parlato il questore Giuseppe Garramone, il procuratore della Repubblica Sandro Raimondi, il procuratore antimafia Roberto Pennisi – Di Nadia Clementi

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Si è svolto a Trento, venerdì scorso presso l’Auditorium Prodi del Dipartimento d Lettere e Filosofia il convegno dal titolo «’Ndrangheta e rischi di infiltrazioni nelle economie», realizzato dalla Questura e patrocinato dalla Provincia autonoma di Trento, dal Comune e dall’Università di Trento.
Al convegno hanno partecipato oltre cento persone tra rappresentanti delle massime istituzioni, forze dell’ordine, magistrati, amministratori, dirigenti, funzionari e professionisti interessati al tema.
È iniziato con i saluti istituzionali del padrone di casa, il rettore dell’Università di Trento Paolo Collini, seguito dall’assessore del Comune di Trento con delega per le materie della cultura, biblioteche, politiche ambientali e pari opportunità, Corrado Bungaro, e dal Consigliere Provinciale e Regionale Claudio Cia, in rappresentanza del Presidente della Provincia Autonoma di Trento M. Fugatti.
 
Il Questore Giuseppe Garramone ha aperto i lavori del convegno, partendo dal significato del termine di ’Ndràngheta «con il quale – ha spiegato – si indica la criminalità organizzata calabrese, cioè la più forte e pericolosa organizzazione criminale in Italia con diffusione in tutto il mondo.
«La pericolosità della 'Ndrangheta è fondata sulla forza delle armi, sugli enormi guadagni derivanti dal traffico internazionale di stupefacenti, il cui riciclaggio in attività economiche permette di controllare ampi settori imprenditoriali, dall’industria al commercio e all'agricoltura, con una forte connivenza della pubblica amministrazione.»
Secondo il rapporto Eurispes la ’Ndrangheta ha un giro d'affari annui di 44 miliardi di euro. Inoltre, a differenza di Cosa Nostra, la struttura interna di ogni cosca poggia sui membri di un nucleo familiare legati tra loro da vincoli di sangue, fattori che rendono il fenomeno mafioso difficile da combattere e da arginare.
Ogni famiglia ha pieni poteri oltre che il controllo sulla zona e sul territorio che le appartiene, in cui opera con la massima tranquillità e gestisce il monopolio di ogni sua attività lecita o illecita che sia.
 
A tal proposito Garramone ha dichiarato: «Il tema, pur con i doverosi tratti distintivi in relazione alla particolare situazione storica e sociale attuale, risulta quanto mai grave e imprescindibile per garantire uno sviluppo realmente sostenibile per il nostro territorio, non solo da un punto di vista economico ma anche e soprattutto umano e sociale.
«Cosa sono le mafie, come operano e come le si combattono, partendo dal presupposto, certificato anche dalle cronache più recenti, che nessun territorio e nessun contesto sociale può ritenersi al riparo dal rischio di esserne coinvolto.
«La criminalità organizzata non ha confini: è globale, – ha continuato Garramone. – La si deve combattere attraverso iniziative finalizzate a intervenire sia sul piano culturale che su quello pratico, dalla formazione di chi lo deve contrastare, come le Polizie Municipali e gli Amministratori pubblici.
«Lo scopo sarà anche quello di individuare i cosiddetti uomini-cerniera, persone legate in affari, direttamente o indirettamente, con mafiosi o loro prestanome, che conservano contemporaneamente rapporti istituzionali o di partito con leader politici locali e nazionali consentendo alle mafie di controllare e orientare a proprio vantaggio le scelte delle istituzioni.»
 
 
 
Successivamente è intervenuto il Procuratore Capo della Repubblica di Trento Sandro Raimondi il quale, dopo aver sottolineato quanto sia importante conoscere il fenomeno delle infiltrazioni mafiose nell’economia per prevenirlo e contrastarlo, ha dichiarato quanto segue.
«La criminalità organizzata al Nord si presenta sotto altre vesti rispetto al Sud. Non facciamo l’errore di pensare che non esiste solo perché è più difficile riconoscerla. Territori ricchi come il Trentino stanno diventando sempre più appetibili per le mafie; per questo dobbiamo tenere sempre alto il livello di guardia, contrastare l’evasione fiscale ed essere consapevoli che la ricerca del profitto a qualsiasi costo può generare problemi sui territori.
«L’allarme era già stato annunciato nella relazione della Commissione antimafia presentata nel 2018 che parlava di presenza di gruppi criminali, in particolar modo la ’ndrangheta, che mantengono un basso profilo per non attirare l’attenzione e per investire capitali. Gruppi che si avvalgono di persone in relazione con cosche che commettono reati economico-finanziari, come la bancarotta fraudolenta nei settori dell’edilizia e dello sfruttamento delle cave di porfido
 
A seguire, l’intervento del Sostituto Procuratore della Direzione Nazionale Antimafia Roberto Pennisi che da 35 anni lotta contro ’Ndrangheta.
Nel suo discorso non parla mai di mafia, parla di criminalità organizzata mafiosa citando l’articolo 416 bis del codice penale che porta ad utilizzare tale termine per definire l’esistenza di questo gruppo al fine di riconoscere il fenomeno per sconfiggerlo.
«Niente è più forte dello Stato se decide di esercitare i poteri di cui dispone, – afferma Pennisi. – In Italia siamo costretti a soffrire, visto che abbiamo sostituito l’economia con la finanza, con un sistema parassitario che usa il frutto del lavoro di altro, come del resto fanno le organizzazioni mafiose, ma soprattutto entrambe hanno lo stesso tipo di baluardo: l’omertà, per la mafia, e il segreto bancario, per la finanza, ma il segreto bancario altro non è che un tipo di omertà.
«Un domani la mafia verrà chiamata triangolo, poiché la sua struttura si basa su corruzione, riciclaggio e omertà. Citando una frase di Giovanni Facolone La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni
 
Nell’intervento Fiammetta Fanizza, docente presso l’Università di Foggia e responsabile scientifica del progetto in agromafia, la professoressa ha illustrato il risultati della sua ricerca portata avanti da una squadra di docenti e ricercatori della sua Università che è riuscita a misurare gli effetti economici della presenza di imprese mafiose nei mercati agronomi del Centro-Nord Italia.
«La massa di dati che abbiamo raccolto – spiega – riassume il un fenomeno ancora vivo e che trova sponda anche nelle nostre terre; lo sfruttamento del lavoro, lo stretto legame tra globalizzazione delle campagne e mercati agroalimentari europei, i legami che le organizzazioni criminali controllano e condizionano in pratica il caporalato controlla le aziende agricole e coordina la grande distribuzione.»
 

 
A chiudere il convegno gli interventi dell’avvocato G. Saccomano e dell’avvocato Antonio Mazzone, che hanno messo in luce le lacune del 416 bis nell’individuare i fenomeni mafiosi, e quello del dott. Marco Martino, dirigente della Squadra mobile di Torino che nel corso delle sue indagini ha posto in evidenza come la criminalità sia in possesso di mezzi di comunicazione particolarmente sofisticati.
Un problema che richiede una sempre più forte integrazione delle varie forze di polizia e nuovi strumenti giuridici a livello internazionale.
Oramai anche i mafiosi si muovono nel mondo globale a grande velocità e sono sempre i più svelti ad adattarsi alle novità.
 
Di mafia occorre parlare. Perché la mafia nasce, si nutre e cresce con il silenzio e con la solitudine delle vittime.
È un'organizzazione criminale che controlla il territorio servendosi dell'intimidazione e che ambisce a crearsi spazi illeciti nel tessuto sociale.
Ma la mafia oggi tende a controllare anche fette di mercato che producono introiti leciti, attraverso appalti e attività economiche.
A moderare l’incontro il giornalista Alberto Faustini
 
Nadia Clementi - n.clementi@ladigetto.it

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