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Ce ne parla don Sergio Nicolli – Di Nadia Clementi

Dalla festa pagana di Halloween alla celebrazione cristiana di Ognissanti a Rovereto

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Il 1° novembre si celebra la giornata di Ognissanti, festività cristiana che rende omaggio a tutti i santi e si colloca esattamente a metà tra il 31 ottobre, in cui si festeggia Halloween, la notte dei morti viventi, e il 2 novembre, giornata dedicata al culto dei defunti.
Halloween, Ognissanti e Commemorazione Defunti dividono da sempre il mondo tra ciò che è sacro e ciò che è profano, tra religione cristiana e mondo pagano, tra tradizioni italiane e tradizioni straniere e tra momenti di preghiera e occasioni di festa.
 
Di certo Halloween non è una cultura che ci appartiene, ma da anni è parte integrante della nostra società: una moda, una festa, una nuova consuetudine che si è imposta sempre di più grazie anche alla persuasività di cinema e televisione.
Con il tempo ha acquisito una tale forza economica di merchandising da arrivare a riempire le vetrine dei negozi di giocattoli e le cartolerie di divertenti e simpatici simboli come streghe, teschi, ragni, fantasmi, zucche e gatti per la felicità di grandi e piccini.
 
Sicuramente la festa di Halloween è molto più divertente e attraente di una visita al cimitero o una messa per Santi della Chiesa Cattolica, anche se non deve essere un pretesto per contrapporre cultura e fede.
L’origine di Halloween è molto antica, risale ai tempi antecedenti al dominio dell’Impero Romano, in cui i Celti abitavano le isole britanniche.
L'anno nuovo cominciava a metà autunno in occasione della conclusione dei lavori dei campi, quando i contadini potevano riposare e godersi il frutto del loro lavoro.
 
Essi ritenevano che quella notte dell’anno fosse un momento di passaggio tra il vecchio e il nuovo e si aprissero le porte che dividono il mondo degli spiriti dal mondo dei vivi.
I contadini per non farsi riconoscere dalle creature ultraterrene si travestivano da folletti, angeli, diavoli e streghe. Per mandare via la paura organizzavano dei balli intorno ai falò e costruivano lanterne svuotando grosse zucche.
Gli irlandesi ereditarono dagli antichi Celti la tradizione di Halloween e nei secoli scorsi la importarono nel Nord America dove, con il tempo, divenne la più popolare celebrazione per bambini dopo il Natale.
 

 
Nonostante oggi Halloween abbia uno stile poco religioso e molto commerciale, forse non tutti sanno che le sue origini vanno a braccetto con il giorno di Ognissanti.
A riguardo vi sono delle interpretazioni molto controverse sul perché si sia scelto proprio tale giorno per commemorare tutti i santi della cristianità.
Alcuni studi antropologici recenti fanno notare una certa continuità temporale con la festa celtica di «Samhain», da cui ha avuto origine Halloween.
Samhain è il capodanno celtico e secondo le credenze di questo popolo, durante la notte a cavallo fra il 31 ottobre e il 1° novembre, i defunti tornano dall'oltretomba e camminano sulla terra, fra i viventi.
 
Molto probabilmente, la Chiesa cristiana aveva bisogno di rendere meno pagana l'usanza di festeggiare il ritorno dei defunti dall'oltretomba che vigeva soprattutto nelle terre del nord Europa.
Per far ciò, si decise di celebrare Ognissanti proprio il primo giorno del mese di novembre.
Per i celti, invece, il 2 di novembre coincideva con il primo giorno d’inverno, in cui la notte era più lunga del giorno.
Proprio per questo motivo, secondo alcune credenze era possibile partecipare alle tenebre, richiamando a sé tutti gli spiriti e riuscendo a passare da un mondo all’altro.
 
Ma, al di là di come lo si vuole interpretare, il motivo per il quale oggi è importante ricordare i morti è quello di riportare la morte ad una concreta dimensione individuale.
E solo ripensando al proprio legame con i defunti sarà possibile tornare a rendere giustizia ai morti.
Andare al cimitero per riproporre a se stessi il ricordo intenso di un genitore, di un parente, di un amico stretto, significa mantenere in vita la relazione che si aveva con quelle persone, ovvero, ciò che le ha rese così importanti.
Il legame che si è andato a costruire nel passato si ripresenta nel ricordo con tutte le virtù e le problematiche in esso contenuto ed offre l’occasione di poterne individuare gli insegnamenti utili e i valori che in precedenza non si erano colti.
 
 
 
Il 1° novembre di ogni anno, quindi, si commemora il ricordo delle loro vite e dei loro martirii, ovvero si ricorda quanto importanti siano stati i loro sacrifici e i loro gesti per la storia cristiana.
La festa di Ognissanti è diventata parte del calendario cattolico e di quello civile per opera di papa Gregorio IV che nell’anno 835 dopo Cristo chiese al re dei Franchi Ludovico I di fissarla come festa di precetto il 1° novembre di ogni anno.
Si tratta di una festa che affonda le sue origini nell’era paleo-cristiana, anche se a quell’epoca questo giorno ricorreva in primavera e non in autunno, come accade oggi.
 
In tutte le nostre chiese viene celebrata la Solennità di Ognissanti, una festa nella quale si invocano e si chiede l’intercessione di tutti i santi.
La particolarità di questo giorno è che si ricordano non solo le donne e gli uomini canonizzati dalla Chiesa Cattolica, ma anche coloro che non lo sono, i quali però hanno vissuto in santità e giustizia tutti i giorni della loro vita.
Per capire meglio cosa rappresenta per noi cristiani questo giorno solenne in cui la Chiesa celebra insieme la gloria e l’onore di tutti i Santi riportiamo di seguito l’omelia che ci ha inviato don Sergio Nicolli, parroco di San Marco e vicario della zona pastorale Vallagarina.


 
 SOLENNITÀ DI TUTTI I SANTI 2019 
Omelia di don Sergio Nicolli.
Percorrendo le strade della vita, noi spesso diventiamo prigionieri del presente e viaggiamo con lo sguardo fisso a terra, per vedere il terreno che calpestano i nostri piedi… e allora la vita può diventare talvolta esaltante, talvolta pesante e faticosa, talvolta monotona.
La solennità di tutti i Santi ci fa alzare lo sguardo dalla terra nella quale viviamo e camminiamo e ci fa guardare alla realtà invisibile che ci avvolge e verso la quale siamo incamminati per abitarla un giorno per sempre.
Di questa realtà invisibile ai nostri occhi – ma che siamo capaci di intuire con il cuore se non viviamo superficialmente – fanno parte «coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione», cioè la vita. La vita con i suoi progetti, le sue gioie, le sue fatiche e le sue tribolazioni.
 
Di questa realtà invisibile, ma presente e attenta alle nostre vicende umane, fanno parte i Santi: oggi è la solennità di tutti i Santi, che celebriamo in un’unica festa.
E chi sono i Santi? Noi pensiamo subito ai tanti nomi che leggiamo sul calendario o di cui sentiamo fare memoria nelle liturgie. Certamente questi sono considerati santi con un particolare procedimento della Chiesa che ha verificato la qualità della loro vita cristiana: cioè del loro amore e della loro fedeltà al Vangelo.
Ma i santi non sono soltanto quelli del calendario. Papa Francesco, in occasione dell’Angelus del 1° novembre dell’anno scorso, lo ha detto esplicitamente: «Oggi noi siamo uniti a tutti i santi: non solo a quelli più noti, del calendario, ma anche a quelli “della porta accanto”, ai nostri familiari e conoscenti che ora fanno parte di quella moltitudine immensa (di cui parla oggi l’Apocalisse).
«Oggi allora è festa di famiglia, – prosegue il Papa – I santi sono vicini a noi, anzi sono i nostri fratelli e sorelle più veri. Ci capiscono, ci vogliono bene, sanno qual è il nostro vero bene, ci aiutano e ci attendono. Sono felici e ci vogliono felici.»
 
Parole stupende e consolanti, che ci consentono di dire che noi non ci troviamo in un luogo di morti, ma nel luogo che ci richiama a fratelli e sorelle viventi e felici, che sono passati attraverso la grande avventura della vita e ora abitano quella Gerusalemme celeste dove non si trovano più né lutto, né morte, né pianto, né tristezza alcuna, «perché le cose di prima sono passate», come dice ancora l’Apocalisse.
Quale è stata la regola di vita dei Santi, il criterio di vita che ha guidato anche molti di coloro che ci sono stati cari e che sentiamo particolarmente vicini venendo a visitare il luogo dove riposa il loro corpo?
È il criterio che abbiamo sentito descrivere nelle Beatitudini. «Beati i poveri di spirito, beati i puri di cuore, beati i miti…».
 
Ma come? La mentalità del mondo dice: beati i ricchi, beati i gaudenti, beati i prepotenti che sanno farsi strada…
Ce lo dice in fondo anche la nostra esperienza, ma lo conferma il Vangelo: non è il denaro che può saziare la nostra fame di felicità, non sono le gioie passeggere che possono riempire la nostra sete di bellezza e di verità, non è la prepotenza che può renderci davvero grandi.
Solo l’amore può riempire in modo autentico la nostra vita, le relazioni fraterne, la gioia di stare insieme nella semplicità, la soddisfazione di sentirci utili per qualcuno.
I santi sono coloro che hanno creduto all’amore e hanno cercato di vivere con amore.
Sono coloro che risvegliano continuamente dentro di noi il desiderio prepotente di un tutt'altro modo di essere uomini e donne, il sogno di un mondo fatto di pace, di sincerità, di giustizia.
 
Guardandoci intorno in questo camposanto, noi vediamo le tombe di tanti nostri fratelli, persone che abbiamo amato e che ci hanno amato, uomini e donne che hanno lasciato un segno profondo nella nostra vita, persone di cui avvertiamo con dolore – magari anche dopo tanti anni dalla morte – la mancanza: sono rimasti tanti buchi neri nella nostra esistenza, ci sono tanti vuoti incolmabili di persone care che ci hanno lasciati.
Qui, cari fratelli e sorelle, c’è solo la fede che ci può togliere dalla solitudine e dalla disperazione prodotta da questi vuoti. È la fede che ci fa guardare in alto, che ci fa vedere oltre l’orizzonte della nostra vita; la fede che ci fa scoprire che “la vita non è tolta, ma trasformata” (prefazio dei defunti).
È la fede che ci fa intuire che oltre il tempo e oltre lo spazio angusto del nostro universo terreno c’è un’abitazione eterna, nei cieli, dove i nostri morti vivono.
Il loro corpo è stato la tenda nella quale loro hanno abitato durante il breve o lungo pellegrinaggio terreno, ma loro sono vivi, sono nella gioia di Dio, e ci aspettano, ci accompagnano con il loro affetto e la loro preghiera.

Nadia Clementi – n.clementi@ladigetto.it
Don Sergio Nicolli - sergionicolli@gmail.com


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