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Bruno Lucchi, arte al tempo del Covid-19 – Di Daniela Larentis

L’artista trentino sta lavorando da qualche mese a un memoriale delle vittime del coronavirus, un gruppo scultoreo a ricordo delle vittime della pandemia – L’intervista

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Bruno Lucchi nel suo studio di Levico Terme, Trento.

L’uomo è un animale sociale, come ricordava Aristotele, legato da rapporti di interdipendenza, è un essere relazionale, perciò è facile intuire la disperazione e il grande senso di abbandono provato da tutti quegli anziani che, quest’anno, si sono ritrovati completamente soli dentro un ospedale a lottare per la sopravvivenza, senza il conforto dei loro familiari, separati dal resto del mondo per le limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria.
Ad esprimere questo concetto attraverso la bellezza e la spiritualità delle sue opere è Bruno Lucchi, un artista che non ha certo bisogno di presentazioni, titolare peraltro per la nostra testata della seguitissima rubrica intitolata Cartoline, il quale da mesi sta lavorando a uno straordinario gruppo scultoreo per ricordare le persone morte durante la pandemia.
 
Come abbiamo più volte sottolineato, le sue sculture invitano con forza ad aprirsi a una dimensione dell’ascolto interiore, diventano mezzo di ricerca spirituale, queste in particolare rimandano al tema della morte e della sofferenza al tempo del coronavirus, esortando a una profonda riflessione che ci coinvolge tutti.
Il lockdown imposto durante la prima fase dell’emergenza, per quanto ritenuto necessario, ha avuto delle ricadute pesanti non solo in termini economici, facendo emergere un senso di straniamento che ha riguardato soprattutto le fasce deboli della popolazione, i bambini e gli anziani.
Nell’era della globalizzazione, della rete, della connessione facile, l’uomo non si è mai percepito così separato dagli altri, privo di riferimenti: confinato prima dentro le pareti della propria abitazione, poi obbligato a mantenere le distanze per sfuggire al contagio, non si è mai sentito così alienato, costretto a subire un pesante isolamento fisico ma soprattutto mentale.
 
Pare ci sia un timbro di fondo nelle sculture di Lucchi, il rinvio costante ai problemi del mondo, all’uomo, alla sua forza e alla sua fragilità, al suo patire e alla sua redenzione.
Veniamo travolti dalla potenza espressiva delle opere a cui sta lavorando, un gruppo scultoreo che si presta a più letture: le ombre che si intravedono attraverso l’opacità del vetro potrebbero anche suggerire la condizione che gli uomini si trovano a vivere fra sofferenze d’ogni sorta, quell’essere già ombre in vita, rinviando al pensiero di Pindaro e a quel «Sogno di un’ombra l’uomo» dell’VIII Pitica.
Abbiamo avuto il piacere di raggiungerlo in studio per porgergli alcune domande.
 

 
È da mesi che stai lavorando a un gruppo di statue in memoria delle vittime della pandemia. Il progetto è nato con che proposito?
«Il progetto è nato con il proposito di realizzare un memoriale delle vittime del coronavirus. Sto lavorando a un gruppo di statue in bronzo per stimolare una riflessione su quanto è accaduto durante la pandemia, ricordando il dramma di chi è morto in solitudine, dentro gli ospedali, soprattutto anziani.»
 
La pandemia è stata pesantissima anche a livello emotivo soprattutto per loro…
«È terribile quello che è accaduto, moltissimi sono morti senza il conforto dei familiari, in pieno isolamento fisico ed emotivo. Ho voluto esprimere attraverso la mia arte la tragedia vissuta, la loro è stata la generazione che ha permesso il nostro benessere, è come se si fossero sacrificati una seconda volta per noi.»
 

 
C’è una scultura, in particolare, che rimanda al «Cristo velato» di Sanmartino a Napoli. Di che opera si tratta?
«Il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, custodito nella Cappella Sansevero a Napoli, è un’opera straordinaria da cui ho tratto ispirazione; nella mia scultura è raffigurata al posto del letto una lettiga d’ospedale, ho quindi cercato di rappresentare simbolicamente l’idea della morte e al contempo della vita, quest’ultima incarnata dalla maternità che si intravede al di là del vetro: il bambino in braccio alla madre simbolicamente rappresenta il futuro. A dividerli una lastra vetrata che protegge dal contagio ma che separa dagli affetti più cari…»
 
Che significato possiamo attribuire alla barriera che separa i tre elementi dalla maternità: il morto adagiato sulla barella, l’uomo in carrozzina e il pensatore?
«Quel vetro rappresenta il dramma della separazione ai tempi del coronavirus: divide la malattia e la morte dalla la vita, è un muro che diventa una protezione ma anche una separazione, una barriera che invita a una profonda riflessione sulla condizione dell’uomo.
«Ho creato diversi elementi che concorrono ad esprimere il concetto: da una parte c’è la vita, la madre creatrice del futuro, simboleggiato dal bambino che porta in braccio; dall’altra, c’è la profonda tristezza di chi è entrato solo all’ospedale ad affrontare l’incognita di una malattia di cui si sa poco e la tragedia di chi è morto lontano dai propri cari, rispettivamente simboleggiate dall’uomo seduto in carrozzina e dal corpo esanime adagiato sulla lettiga; la figura del pensatore, chiaro riferimento alla celebre opera di Rodin, è un po’ l’emblema dell’umanità divisa, è solo, impegnato in una profonda riflessione su ciò che è accaduto e sta accadendo.»
 

 
Hai in previsione delle esposizioni?
«Dopo il lockdown causato dall’emergenza coronavirus, riapre dall’11 luglio al 30 agosto a Clusone (Bg), alla galleria d’arte contemporanea di Franca Pezzoli, la personale Sculture, progetti, disegni, dove sono esposti lavori degli ultimi anni, fra cui le nuovissime perle, sculture in bronzo a cera persa, i custodi dei sogni, sculture in acciaio corten, creazioni in terracotta e i disegni preparatori.
«La collettiva dell’UCAI Silenzo, inaugurata a Trento lo scorso 24 giugno, sarà visitabile fino al 31 agosto 2020. A Portogruaro (Venezia), da metà luglio fino a ottobre 2020 ci sarà una mostra en plein air con opere di vari artisti esposte in diversi punti della città, io sarò presente con l’opera in bronzo Contemplazione
 
Progetti futuri?
«Mi piacerebbe ultimare il restauro del Molo 51, il luogo dove vengono depositate le mie sculture di grande formato al rientro o in partenza per nuove mostre, capannoni in parte ancora in fase di restauro; l’idea sarebbe quella di farlo diventare studio, laboratorio, sala espositiva e uno spazio dove poter dare vita a eventi culturali, concerti, letture, presentazioni ecc.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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