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«Quattro conversazioni sull’Europa» – Di Daniela Larentis

Ricordiamo lo storico dell’arte Philippe Daverio, recentemente scomparso, attraverso le pagine del suo libro dedicato al vecchio continente

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Philippe Daverio, recentemente scomparso, ci parla attraverso le pagine di un suo libro che propone alcune riflessioni sul passato del vecchio continente e sulla sua eredità intellettuale.
L’autore di «Quattro conversazioni sull’Europa» (edito da Rizzoli, 2019), non ha certo bisogno di presentazioni.
Nato nel 1949 in Alsazia, ha vissuto a Milano fino al settembre scorso (è scomparso nel settembre 2020). È stato professore ordinario alla Facoltà di Architettura dell’Università di Palermo e fra l’altro autore e conduttore televisivo di «Passepartout», nonché direttore della rivista «Art e Dossier».
Numerosissime le pubblicazioni al suo attivo, ne citiamo alcune a titolo esemplificativo.
Per Rizzoli ha pubblicato diversi best seller fra cui la trilogia «Il Museo immaginato» (2011), «Il secolo lungo della modernità» (2012) e «Il secolo spezzato delle avanguardie» (2014); nel 2015 «Il gioco della pittura» e «La buona strada», nel 2016 «Le stanze dell’armonia», nel 2017 «Ho finalmente capito l’Italia» e nel 2018 «Grand Tour d’Italia a piccoli passi», nel 2019 «La mia Europa a piccoli passi»; è uscito quest’anno, edito da Solferino, «Racconto dell'arte occidentale dai Greci alla Pop Art» (2020).

Daverio in «Quattro conversazioni sull’Europa» parte da un presupposto, ovvero che l’Europa, la nostra casa comune, condivide lo stesso linguaggio artistico, musicale, architettonico.
Spiega il pensiero di alcuni grandi maestri dell’Ottocento e Novecento, tra cui Victor Hugo e Sir Winston Churchill, Altiero Spinelli e Paul Valéry, che hanno immaginato un’Europa unita, ponendo poi l’attenzione su periodi storici particolari, come il Rinascimento carolingio o le corti del Settecento, per indagare le differenze e le contaminazioni fra i vari Paesi.
Lancia provocatoriamente anche un’affermazione, dicendo che «il senso dell’Europa sta anche nei sensi: guardiamo, ascoltiamo, sentiamo, annusiamo, mangiamo in modo diverso dagli altri popoli e in questo stanno le nostre radici comuni.»
 
Per brevità, nel tentativo di offrire uno spunto di riflessione fra i tanti proposti, accenniamo alla prima conversazione, «Il sogno dell’Europa», nella quale Daverio sottolinea come la cultura sia il motore del cambiamento. Cita Goethe, dicendo che egli ci racconta di «questa inestimabile cultura europea che, nata da parecchie migliaia di anni, era cresciuta, s’era allargata, s’era messa a evaporare, era stata repressa, ma mai distrutta del tutto, si era risollevata, aveva trovato una nuova vita, e alla fine, piena delle sue energie, era andata avanti, aveva fatto propria un’altra visione, la quale indicava dove poteva andare l’umanità.»
Sottolinea a pag. 21: «La curiosità illuminista settecentesca con cui Goethe descrive la scoperta di sé del giovane in parallelo a quella dell’arte, dell’estetica, della letteratura è in fondo la prima grande dichiarazione di entusiasmo per il mondo europeo». Tale entusiasmo verrà ripreso negli anni seguenti tante volte. Verrà ripreso per esempio in modo straordinario da Victor Hugo, nel 1848, e dai migliori intellettuali del XX secolo.
Paul Valéry, grande poeta, critico e pensatore francese, scrive nel 1919 un libro molto importante, totalmente dimenticato, «La crise de l’esprit» («La crisi dello spirito»), dove si legge: «Il primo pensiero che appare, l’idea di cultura, di intelligenza, di opere magistrali, è per noi in una relazione molto antica, talmente antica che raramente torniamo a scoprirla. È in relazione con l’idea d’Europa».

E ancora: «Le altre parti del mondo hanno avuto civiltà ammirevoli, poeti di prim’ordine, costruttori ma anche sapienti. Ma nessuna parte del mondo ha posseduto questa singolare proprietà fisica, che è l’avere contemporaneamente un intenso potere di emissione e un intensissimo potere di assorbimento».
Questa è la definizione che lui dà dell’Europa: «Tout est venu à l’Europe et tout en est venu. Ou presque tout», «Dall’Europa è venuto tutto e tutto è venuto verso l’Europa. O quasi tutto». E poi si chiede: «Come andrà a finire, cosa diventerà l’Europa? La punta estrema occidentale del continente asiatico, oppure resterà quello che talvolta può apparire, cioè una parte preziosa dell’universo terrestre, la perla della sfera, il cervello di un grande corpo?».
È la domanda che ci poniamo ancor oggi. Cioè, «il mondo di domani sarà un mondo che si deve dibattere tra Putin, Trump, la Cina, l’India, i drammi africani e le complessità sudamericane, oppure troverà ancora nella nostra Europa attuale un punto di riferimento capace di generare comprensione? Risolvere tale enigma è compito delle prossime generazioni, e questo ci spinge a riflettere sull’argomento […]».

Osserva Daverio alla fine del capitolo: «In pieno Settecento, il grande filosofo tedesco Goffredo Leibniz scrive: Datemi in mano la formazione dei giovani e in un secolo vi trasformerò l’Europa. È proprio da lì che bisognerebbe avere il coraggio di ripartire, e immaginare che quello che ci manca è una formazione. Credo che varrebbe la pena di seguire l’indicazione di Leibniz nelle nostre scuole, cioè tentare di sapere, conoscere, a volte anche ricordarsi alcune date – adesso è piuttosto fuori moda ricordarsi le date, o è una mia impressione? Certo, oggi con gli smartphone non abbiamo bisogno più, come le generazioni precedenti, di sapere tutto a memoria, basta un click e ci viene ricordato, però abbiamo bisogno di qualcos’altro. Abbiamo bisogno di un po’ di orientamento. Il mondo dell’informazione multimediale è talmente ricco che dovremmo esserne felici, ma è una rivoluzione della cultura della quale fino ad oggi non avevamo ancora percepito appieno le insidie. Tuttavia, come diceva Montaigne: Mieux vaut une tête bien faite que bien pleine, Molto meglio una testa ben fatta che una testa ben piena. Una testa ben fatta è una testa che riesce a orientarsi anche nel marasma di informazioni offerte da internet, una testa ben piena ora non serve più […]»
Il volume è stato pubblicato nell’aprile del 2019, ben prima del diffondersi del coronavirus. Chissà cosa avrebbe potuto scrivere Daverio ora, in merito a ciò che sta succedendo nel mondo a causa della pandemia.
Non ci è dato saperlo, ci restano i sui scritti, ogni suo libro si presta a più letture, offrendo innumerevoli input e occasioni di approfondimento.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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