Home | Rubriche | Pensieri, parole, arte | Maurizio Panizza, «Trentino da raccontare» – Di Daniela Larentis

Maurizio Panizza, «Trentino da raccontare» – Di Daniela Larentis

Attraverso le avvincenti pagine del suo ultimo libro, l’autore presenta cronache di fatti e personaggi da una terra di confine – L’intervista

image

>
«Trentino da raccontare. Cronache di fatti e personaggi da una terra di confine» è l’ultimo libro scritto dal giornalista Maurizio Panizza, autore di numerose pubblicazioni, nonché titolare per la nostra testata di una rubrica molto seguita intitolata «Da una foto una storia».
Uscito nel 2020 per Curcu Genovese, ha già raccolto il consenso del pubblico attraverso le sue interessantissime inchieste, storie sconosciute portate alla luce a seguito di lunghe e complicate ricerche.
Da molti anni Maurizio Panizza ama scavare in vicende incredibili e sconosciute del Trentino-Sud Tirolo degli ultimi 150 anni, offrendo ai lettori pagine intrise di umanità e di storia.
 
Leggendo il volume fresco di stampa, si potranno scoprire fatti inediti e drammatici, come quelli di un giovane e feroce assassino di inizio Novecento, ma anche il racconto di un amore nato nella Belle Epoque grazie una ferrovia, oltre a quello, più provocante, riferito all’epopea delle case chiuse in Trentino, per citare solo alcune indagini fra le trentuno proposte.
Impreziosito da splendide fotografie che documentano gli eventi, il libro tocca varie tematiche, rinviando fra l’altro al fenomeno dell’emigrazione nella prima metà del secolo scorso, alla situazione lavorativa nel Trentino nel 1963 e a molto altro ancora.
Alcune note biografiche prima di passare all’intervista, anche se Maurizio Panizza non ha certo bisogno di presentazioni.
 
Giornalista fin dal 1992,  ha collaborato in passato con diversi quotidiani occupandosi di attualità e di politica. Da una decina d’anni sta investigando con fortunati riscontri un campo poco esplorato della storia locale, i cui focus sono essenzialmente vicende umane di vario genere scoperte grazie a lunghe ricerche d’archivio o attraverso testimonianze dirette. In tal senso, si è specializzato nell’indagare fatti del passato riportando alla luce storie sconosciute poi riproposte sui giornali, ma anche in teatro, in radio e in tv in collaborazione con la Rai o con altre emittenti locali.

Sempre per lo stesso filone d’indagine, in anni più recenti si è dedicato alla documentaristica in collaborazione col regista Federico Maraner, come autore del docufilm “Come uccelli d’argento” che racconta del primo e più tragico bombardamento su Rovereto della Seconda Guerra Mondiale, dando voce ai sopravvissuti e svelando retroscena finora inediti. Analogamente, nello scorso settembre è stato presentato al Muse di Trento, nel contesto di Trento Film Festival, il suo secondo documentario, dal titolo “Occhi di Guerra”, che affronta il tema delle vittime civili, in particolare i bambini, nella Trento del 1943-1944.   

Divulgatore ormai popolare, insegue radici di piccole storie in grandi eventi, cercando di affascinare attraverso un linguaggio chiaro e lineare, sempre teso anche a un altro fine: quello di far comprendere che la Storia è appassionante se non si limita alla fredda e noiosa elencazione di date, di note, di cifre e di personaggi.
Altre pubblicazioni: Eroe plebeo, Edizioni Stella, Rovereto, 2003; Missione compiuta, Edizioni Osiride, Rovereto, 2009; Antiche strade, Edizioni Osiride, Rovereto, 2011; Diario familiare, Curcu Genovese, Trento, 2018.
 
Abbiamo il piacere di porgergli alcune domande.
 
Il libro raccoglie più di 30 inchieste: di che storie si tratta e come nascono?
«Premetto che non sono uno storico in senso stretto, ma piuttosto, come piace definirmi, un cronista della storia. Da giornalista generalista, infatti, sono passato da alcuni anni ad indagare su vicende del passato che possono raccontarci qualcosa di interessante per scoprire il Trentino di una volta.
«Sono inchieste che nascono spesso per caso, da un sentito dire, oppure da una segnalazione di chi sa delle mie inchieste. In altri casi, invece, è successo che mentre indagavo all’Archivio di Stato, in qualche biblioteca o in un archivio di tribunale, da una vicenda ne sia poi uscita un’altra, collegata a sorpresa.
«Si tratta di fatti di cronaca, talvolta violenti, ma a volte anche di storie curiose, di strane coincidenze, di amori nati grazie ad una ferrovia, oppure di solidarietà tradite. «C’è anche un’inchiesta sulle Case chiuse fra Trento e Rovereto. Tutte storie interessanti e intriganti se guardiamo al favore espresso dagli ascoltatori di Rai Radio Uno nel corso di una decina di puntate in cui sono state presentate recentemente alcune di queste mie indagini.»
 
Quali sono le maggiori difficoltà nel condurre inchieste giornalistiche di questo tipo?
«La prima difficoltà è legata ovviamente al tempo trascorso dall’evento sul quale si sta indagando. In altre parole, più la vicenda è lontana nel tempo, più è difficile ricomporne le varie tessere del puzzle. Per questo amo in particolare il periodo storico che va dalla seconda metà dell’Ottocento in poi, perché è da lì in avanti che si possono trovare giornali e anche fotografie che possono raccontare - se si è fortunati - qualcosa di utile alla ricostruzione delle mie storie.
«Le altre fonti, come dicevo, sono gli archivi pubblici dove magari è possibile rintracciare documenti o carteggi. In qualche caso ho trovato ostacoli burocratici all’accesso, ma il più delle volte c’è stata ampia disponibilità da parte dei funzionari.»
 
Una delle vicende indagate riguarda un prete di origini trentine chiamato «il prete costruttore di ponti». Ce ne può parlare brevemente?
«Quella di Geno Baroni è la storia di un prete di origini trentine, Viceministro Usa nel governo Carter dal 1977 al 1981. È una di quelle storie per le quali del protagonista si è scritto più da morto che da vivo e, in questo caso, molto di più negli Usa che non in Italia e quasi per niente in Trentino dove ancora oggi, nonostante tutto, Baroni rimane un perfetto sconosciuto. La madre si chiamava Giuseppina Tranquillini ed era nativa di Arco, mentre il padre, Guido, veniva da Tenno e si era trasferito negli Usa per lavorare nelle miniere di carbone in Pennsylvania.
«Il giovane prete era arrivato a Washington per motivi di studio, ma poi, spinto dall’ansia di vivere il Vangelo fra la gente, aveva lasciato tutto per trovare ospitalità nella parrocchia di un quartiere nero fra i più poveri della capitale. Qui ben presto si era fatto conoscere e ben volere. Così, nel 1977, il Partito Democratico alle prese con i gravi problemi nelle periferie urbane, chiamò proprio lui ad affrontare la spinosa questione delle rivolte nei quartieri metropolitani degradati.
«Fu il presidente Jimmy Carter in persona a convincerlo e successivamente a nominarlo Sottosegretario per l’Edilizia Abitativa e lo Sviluppo Urbano. Purtroppo, appena concluso il suo mandato governativo, quando aveva superato da poco la soglia dei cinquant’anni e aveva ancora molti ponti sociali da costruire, Geno Baroni concluse a causa di un tumore la sua ultima battaglia il 27 agosto del 1984.»
 
Lei dedica due capitoli a un’indagine relativa all’affondamento di un piroscafo avvenuta al largo del Brasile nel 1927, a bordo del quale si trovavano, fra i passeggeri, un migliaio di emigranti italiani e un giovane ragazzo partito dal Trentino per coronare un sogno. Può descriverla, inquadrando la vicenda?
«Si trattava del Principessa Mafalda, una carretta del mare a bordo della quale c’era pure Isidoro Adami, di Volano, che stava raggiungendo i fratelli, trasferitisi in Uruguay da qualche anno. Era l’epoca delle grandi emigrazioni in cui un’Italia povera non riusciva a sfamare i propri figli. In media erano 400mila all’anno gli italiani che attraversavano l’Atlantico.
«Le navi traboccavano di passeggeri e quella rotta era fra le più richieste e redditizie per i ricchi armatori. Andata in avaria al largo del Brasile, la Principessa Mafalda in poco tempo colò a picco portando con sé un numero imprecisato di vittime variante dalle 314 ufficiali, a più di 600 secondo i giornali brasiliani.
«Isidoro, gettatosi in acqua, si salvò miracolosamente dagli attacchi dei pescecani e questo lui lo racconta in una lettera che ho pubblicato nel libro. È questo il destino curioso della storia: dopo quasi 100 anni la vicenda di Isidoro è simile per certi versi a tante altre che avvengono, oggi, quasi tutti i giorni, nel Mediterraneo.»
 
Nel volume sono narrate anche storie di alcuni personaggi attuali che rappresentano, come viene evidenziato, una società trentina in evoluzione. Potrebbe condividere un pensiero a riguardo?
«Devo dire che prendendo spunto dalla metafora dei ponti, di cui accennavo a riguardo di mons. Baroni, ho pensato utile inserire anche dei profili di personaggi di oggi che come i protagonisti delle mie inchieste hanno pure loro qualcosa di importante e di unico da raccontare. Un ponte ideale fra passato e presente che dà al mio scritto uno sguardo di speranza verso il futuro.
«Fra queste, ad esempio, troveremo le storie di due donne eccezionali: la prima, venuta dal Senegal per amore e dopo numerose vicissitudini e difficoltà diventata con il tempo un’importante imprenditrice nel settore delle pulizie; la seconda, nata con una grave malattia genetica che, nonostante tutto, riesce a riscattarsi dal suo handicap fondando una cooperativa sociale e, cosa recente, a entrare come assessore alle politiche sociali nel suo comune sull’Altopiano di Piné.»
 
Chi è Fiorenzo Tovazzi?
«Fiorenzo è anche lui uno di questi personaggi di cui ho deciso di raccontare. Alla pari delle due donne citate poco fa, merita anche lui una menzione particolare per la sua tenacia e umiltà nel perseguire i propri sogni.
«Grande appassionato di Formula Uno, lui non si è accontentato di guardare la tv, ma ha deciso anni fa di costruirsi in proprio la sua formula. Nel capitolo a lui dedicato, racconto la genesi di questo suo progetto fantastico nato in cantina e la gioia nel poter cimentarsi con la sua creatura in un circuito vero.»
 
Il libro è impreziosito da fotografie d’epoca, molte delle quali inedite…
«È da molti anni che raccolgo fotografie in ogni luogo in cui mi capita di andare, proprio in previsione di utilizzarle per le mie indagini. Nel libro, è vero, ne ho pubblicate diverse di inedite.
«Ad esempio, ce ne sono alcune che immortalano il corteo funebre di Francesco II, re di Napoli in esilio, morto ad Arco nel 1894 e traslato in pompa magna a Trento nel 1917.
«Un’altra, del 1938, che descrive lo scambio di una strana ampolla fra un generale nazista e un ufficiale italiano che poi troverà la sua soluzione all’interno del capitolo.
«Ce n’è poi una che ha del clamoroso: l’arresto avvenuto nel 1900, a Bolzano, dell’assassino del preside del Liceo di Rovereto e di sua nipote. Anche questa inchiesta trova nel libro ampio spazio.»
 
Sono previste future presentazioni?
«Il periodo, come sappiamo, non è dei migliori. A dirle la verità non amo le presentazioni online perché non trasmettono ciò che dovrebbero, per cui credo che rimanderò eventuali futuri incontri a quando del Covid sarà rimasto solo un triste ricordo. Spero che questo succeda al più presto.»
 
A cosa sta lavorando/progetti futuri?
«Ho molti progetti in cantiere, alcuni già in corso, altri ancora in fase embrionale. Posso dirle che sto concludendo un libro scritto a due mani, molto diverso da tutto ciò di cui ho pubblicato finora.
«Si tratta di una storia (vera) di rinascita che racconta di un giovane trentino di vent’anni che rimane all’improvviso cieco, causa una grave malattia. Gli anni successivi saranno quelli del dramma, dei neri pensieri, del rifiuto totale dell’handicap. L’aiuto delle persone più vicine e un particolare della sua vita che ora non rivelo, saranno però quelli che con il tempo lo faranno uscire dal tunnel. Oggi quel ragazzo ha 43 anni, è sposato, ha due bambine e lavora come centralinista in una banca.
«Proseguendo con i progetti, ho poi un romanzo già pronto da alcuni anni e che attende solo un’ultima revisione del testo. E’ lì nel cassetto che mi aspetta paziente e fiducioso. Spero con il prossimo anno di riprenderlo in mano e di pubblicarlo.
«C’è poi il mio impegno nel campo della documentaristica storica e della trasposizione teatrale dei miei testi. Anche in questi casi sono già abbozzati dei progetti interessanti con i miei collaboratori, primo fra tutti il regista Federico Maraner. Staremo a vedere…»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande