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Pino Loperfido, «La manutenzione dell’universo» – Di D. Larentis

Il libro, frutto di una ricerca durata oltre 20 anni, narra il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri, vissuta a Capriana nella prima metà dell’Ottocento – L’intervista

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Nella prima metà dell’Ottocento, nel paese di Capriana, in Trentino, visse una donna che fu al centro di fatti tanto straordinari quanto misteriosi, raccolti in un volume intitolato «La manutenzione dell’universo – Il curioso caso di Maria Domenica Lazzeri» di Pino Loperfido (Edizioni Curcu Genovese, 2020).
Con questo libro l’autore porta a compimento una ricerca durata oltre vent’anni, offrendo un racconto in cui letteratura, storia e scienza si intrecciano mirabilmente con memorie personali, in particolare con il commovente ricordo di Teresa, la madre scomparsa nel 2008.
 
Gli eventi narrati ruotano attorno alla figura di una donna fuori dal comune, nata il 16 marzo del 1815 e morta nel 1848; secondo quanto riportato dalle cronache, dopo la morte del padre, un trauma che la segna profondamente, Maria Domenica Lazzeri diventa protagonista di una sorta di morte apparente, ogni venerdì riceve le stimmate alle mani, ai piedi e al costato, rivivendo la Passione di Gesù e restando in vita senza nutrirsi per 14 anni. Una giovane donna che, come scrive Loperfido nel prologo, «si fa portavoce di qualcosa di insondabile.
Sul suo letto viene effettuata una sorta di «manutenzione dell’universo», ovvero l’universo - mediante lei - si analizza.
 
Nonostante la grandissima popolarità (all’epoca dei fatti la stanza in cui giace è continua meta di pellegrinaggi, vanno a trovarla professori, medici, nobili, la sua storia gira l’Europa intera), molti sono ancora i misteri che avvolgono la sua esistenza, a partire dall’atteggiamento della Chiesa nei confronti dell’intera vicenda, su cui cade un silenzio a dir poco imbarazzante.
Pino Loperfido conta al suo attivo numerose pubblicazioni. Nel 2001 pubblica «Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis» (Premio Chianciano, Premio Bolzano Teatro, Premio CoFas, Targa il Molinello), monologo, andato in scena con grande successo nei teatri italiani. Nel 2004, è la volta di «Caro Alcide», biografia romanzata di Alcide Degasperi.

Seguono i due romanzi, «Teroldego» (2005) e «Le meccaniche dell’infelicità» (2009, Premio Città di Messina, Premio Città di Cava de’ Tirreni).
Del 2014 è la raccolta di racconti «La Guerra Bambina». Tutti per Curcu Genovese.
Tra i più importanti lavori teatrali, «Il cuoco di Mozart», «La scelta di Cesare» e «Viva Rota… Viva Fellini».
È ideatore del Trentino Book Festival, che ha diretto fino al 2019.
 
«La manutenzione dell’universo» è un racconto sorprendente, dai diversi registri letterari: romanzo storico, cronaca giornalistica e moderno memoir, ma anche un libro del lutto e non solo. È molto interessante (per quello che l’autore scrive e per come lo scrive), un bel libro che si presta a molteplici letture.
Tuttavia, quando si dice che un libro è bello si crede di dire molto e invece non si sta dicendo niente.
Niente di davvero utile. Siamo convinti, infatti, che i libri non devono essere letti per interposta persona, soprattutto alcuni, in questo caso tentare di riassumere un volume così complesso vorrebbe dire in un certo senso svilirlo, ridurne la potenza comunicativa, per questo occorre leggerlo.
 
Il nostro intento è unicamente quello di indirizzare lo sguardo verso una vicenda spirituale e umana straordinaria che, sebbene a tratti possa apparire del tutto inspiegabile, viene percepita come un qualcosa di autentico, perlomeno qualcosa che può rientrare nella sfera delle possibilità.
Qualcosa che vale la pena indagare anche se non possiamo afferrarne la portata.
Il volume accompagna il lettore in un profondo viaggio esistenziale; uno dei suoi meriti è quello di sollevare interrogativi: chi era davvero Maria Domenica Lazzeri? Come può essere letta con gli strumenti di cui disponiamo la sua storia di sofferenza?

Un’altra domanda che sorge spontanea, pensando alla sua vita, riguarda la preghiera. Che importanza può assumere il pregare per gli altri, il dedicare le proprie sofferenze agli altri nel mondo contemporaneo? Quanto può valere consacrare la propria vita pregando e soffrendo per i propri simili?
La materia e lo spirito sono davvero separati o possono essere intesi e pensati come configurazioni diverse dell’energia? Se così fosse, come possono essere spiegati i fatti avvenuti a Capriana? Sono davvero razionalmente così inaccettabili? O sarà invece che, come sempre accade quando non si sa spiegare qualcosa, la si rifiuta a priori, bollandola come fantasiosa?
Curiosi di saperne di più, abbiamo il piacere di porgere a Pino Loperfido alcune domande.
 

Teresa Squicciarini, 1938-2008.
 
Quello a cui ha dato vita è un libro dai diversi registri letterari. Come è nata l’idea di scriverlo?
«Come descrivo nel prologo, l’interesse è nato un po’in maniera casuale, assistendo a Rimini, nel 1998, alla presentazione di un libro sulla mistica. Storie simili ce ne sono diverse, sia nella storia occidentale che orientale, quello che mi ha colpito è stato proprio la quantità e l’attendibilità delle testimonianze, il fatto che a fronte di ciò questa storia fosse misconosciuta.
«Da poco risiedevo in Trentino, ad attirare la mia attenzione anche il fatto che si trattava di una vicenda trentina. Dopo aver letto il volume ho incubato la storia per un lungo periodo, ogni tanto tornava fuori, è diventata una di quelle storie che spesso accompagnano le vite delle persone, in maniera misteriosa, fino a quando, appunto, due o tre anni fa ho deciso che era giunto il momento di scriverla.»
 
Potrebbe a grandi linee delineare la figura di Maria Domenica Lazzeri?
«Quella che ho deciso di raccontare è la storia di una ragazza nata nell’Ottocento, in uno dei paesi più poveri della valle di Fiemme e del Tirolo italiano, contadina, figlia di mugnai, che perde il padre in tenera età; questo episodio, la morte del padre, scatena in lei una reazione e una sorta di morbo che la costringe a letto, segnando l’inizio di tutta una serie di fenomeni particolari descritti nel libro, raccontati dai testimoni, che culmineranno nella comparsa delle stimmate alle mani, ai piedi e al costato, accompagnate, a quanto ci dicono le cronache, dalla mancanza di nutrimento e di sonno per 14 anni.»
 
Lei desidera solo patire, vuole farlo per un motivo preciso, per Gesù Cristo. Pare esserci un disegno sulla sua vita fina da ragazzina…
«Della sua storia da bambina non abbiamo grandi notizie, quello che sappiamo è riferito dal curato, il quale dice fra l’altro che assisteva alle sacre funzioni, era attaccatissima ai doveri della sua famiglia e desiderosa di assistere gli ammalati e i moribondi; a un certo punto, sembra che lei arrivi addirittura a mentire sulla sua età per poter fare la Prima Comunione.
«È un desiderio misterioso, poi dipende da come ci si pone rispetto a certe vicende. Se lo si fa in maniera scettica può far sorridere, se ci si pone predisponendosi alla fiducia allora, chiaramente, si può riflettere sulla questione. In merito al discorso del patire va di pari passo con un altro suo desiderio, che è quello di assistere le persone moribonde; lo fa con sua madre durante, guarda a caso, un’epidemia di influenza proveniente dalla Cina, che veniva chiamata in quella valle Grip, durante la quale pare che lei si contagi, questo è l’episodio che la mette a letto definitivamente. Per quanto riguarda la sofferenza, essa sarà la cifra rivelatrice dell’esistenza.
«Questo desiderio di soffrire così poco umano, per lo meno secondo i nostri canoni, le nostre convinzioni, mi ha fatto riflettere all’interno del libro, da persona che ha scritto questa storia, sul ruolo del dolore. Noi viviamo in un presente in cui la sofferenza e la morte si tenta di scacciarle, di occultarle, di nasconderle, si cerca di non parlarne, in realtà basterebbe guardare alla storia passata, non occorre andare troppo lontano… la sofferenza era intesa in maniera molto diversa; intanto era considerata come una componente come un’altra della vita umana, non tanto perché mancassero i farmaci, i lenitivi.
«Ovviamente, in questo caso è un mezzo di espiazione ed elevazione, ha un ruolo misterioso, oltre a questo non possiamo dire altro, non abbiamo gli strumenti per farlo, i nostri limiti umani non lo consentono.»
 
La sua è una ricerca durata 20 anni. Dal punto di vista metodologico, come ha condotto lo studio delle fonti?
«Vent’anni non continuativi, ci sono stati lunghi periodi in cui non mi sono occupato di questa storia, rivolgendo la mia attenzione verso altre priorità. Ho esaminato diverse fonti, tutti i libri che sono stati scritti, non sono moltissimi, per la verità; gli autori che si sono interessati a questa vicenda si pongono in maniera molto differente, dal romanzesco al saggio teologico, sono libri completamente diversi, a volte contrastanti fra di loro su alcuni punti, questo mi ha sollecitato a mettermi all’opera, nel senso che avevo bisogno di leggere questa storia in maniera uniforme e coerente. È anche per questo che mi sono messo a scrivere. Poi c’è stata naturalmente l’analisi dei documenti che vengono citati nei libri.»
 
In breve, l’analisi di questi specifici documenti a quali risultati ha portato?
«I risultati sono quelli di aver dato coerenza a tutto il racconto, ci sono poi alcuni episodi inediti, uno di questi è quello che coinvolge Alessandro Manzoni; l’altra scoperta interessante è che questa storia è più conosciuta all’estero che in Italia, quindi in Trentino. Ciò è legato alla nazionalità dei visitatori: essendo dei professori, teologi e filosofi, evidentemente tornando in patria ne hanno parlato.
«C’è un episodio che non è riportato nel libro, la madre di uno dei visitatori, un marchese, ci ha lasciato una testimonianza molto significativa, in Francia è un’autrice di fiabe per bambini molto conosciuta, ho trovato recentemente una sua fiaba in cui si parla di una donna con dei poteri straordinari.
«Quello che deduco è che abbia tratto spunto dal racconto di suo figlio, perché i particolari coincidono. Nel futuro emergeranno sicuramente notizie, nuove informazioni.»
 
Quali sono state le sfide che ha dovuto affrontare nella stesura di un libro tanto interessante quanto complesso?
«La sfida è stata quella di dare al racconto uniformità, coerenza e attualità, per quanto possibile. I fatti misteriosi non si concludono con la morte di Maria Domenica Lazzeri, tutto sembra tendere ad occultare quello che è accaduto.
«Lo stesso fatto che in Trentino, anche tra gente di chiesa, questa storia sia praticamente misconosciuta, fa un po’ pensare. Pensiamo a don Mario Marinolli, quando negli anni Trenta sente parlare per la prima volta di questa donna, l’Addolorata di Capriana, è convinto che si tratti di una statua della Madre Dolorosa, che si trova appunto in quel paesino.
«È un po’ curioso che un docente del Seminario, un teologo, non ne abbia mai sentito parlare.»
 
Lei riferisce dell’incontro con don Giulio Viviani, vicepostulatore della Causa di Beatificazione.
«Il ruolo e la testimonianza di Mons. Giulio Viviani, vicepostulatore della Causa di Beatificazione, è stata importante. Lui mi ha fatto capire che questa storia si collega anche con il presente. Per 17 anni è stato in Vaticano al fianco di Papa Wojtyla, ancora oggi non si spiega per quale motivo non abbia preso in mano questa causa lui stesso.»
 
Come lei scrive, Papa Francesco ha aggiunto una nuova modalità per il riconoscimento della santità di un cristiano, l’offerta della vita. Maria Domenica Lazzeri sarà mai proclamata almeno beata? A che punto è il cammino di beatificazione?
«È da poco arrivata una raccolta di documenti, la cosiddetta Positio, la prima fase del cammino che porta alla beatificazione, un librone rilegato che raccoglie tutto il materiale, tutte le valutazioni dei padri teologi; adesso si è arrivati al punto in cui dovrebbe intervenire il miracolo.
«Però, alla luce della riforma di Papa Francesco, in teoria potrebbe bastare l’attività caritativa che ha svolto durante l’epidemia.
«Il fatto che poi si sia ammalata e che sostanzialmente abbia dato la vita per poter soccorrere le persone. Ad ostacolare il cammino della beatificazione, vi sono anche motivazioni di ordine economico. I parrocchiani certo non dispongono della cifra richiesta.
«Però, come sottolineo nel libro, alla fine cosa significherebbe questa sua beatificazione? Darebbe un po’ di notorietà in più.
«Quando vado a Capriana, dove peraltro ho presentato il libro, avverto un senso di tristezza, sembra quasi che non si possa pregarla senza essere tacciati di eresia, il diritto canonico lo vieterebbe.»
 
Nel libro riporta ciò che le ha riferito don Giulio Viviani sul fatto che il Trentino non sia mai stato un terreno fertile per le cause di beatificazione; lui cita anche il Vescovo Sartori…
«C’è un’altra cosa che ho scoperto nelle ricerche successive e che non ho inserito nel libro. Ha contato molto il ruolo del fratello del Vescovo Sartori, Padre Tito Sartori, ancora vivente peraltro, che ha praticamente bloccato ogni iniziativa del fratello. Faceva parte di quella compagine del clero trentino, che comprendeva anche Mons. Iginio Rogger, che tendeva a cancellare tutto ciò che era mistico e soprannaturale. Lui è incappato in questa corrente che c’era in quegli anni, ci sono state delle persone che hanno avversato queste figure.»
 
Lei nel prologo afferma che uno scrittore deve sempre dire la verità. Il suo libro offre al lettore uno studio rigoroso dei fatti, anche volendo è impossibile ignorare la portata di ciò che lei ha messo in luce, non si tratta certo di opinioni ma di fatti concreti documentati. Come mai, a suo avviso, la Chiesa, o parte di essa, si è comportata in modo da dare l’impressione di voler nascondere ciò che è accaduto? Come è possibile che nessuno abbia documentato la sua morte?
«Quando scrivo che lo scrittore è condannato a dire la verità, costi quel che costi, è una mia opinione personale, ci sono scrittori che non lo fanno. Questo perché comunque si corrono dei rischi a dire la verità, uno di questi è la banalizzazione, l’emarginazione artistica. In questo caso mi riferisco anche all’essermi messo a nudo anche a livello personale, parlando della mia famiglia, questo è un altro aspetto del libro.
«Per quanto riguarda la Chiesa, faccio delle ipotesi: come spiegare il silenzio legato a determinati periodi della vita di questa donna, in particolare il periodo della morte, della quale non abbiamo nessuna descrizione, nessuna relazione? È chiaro che mancano dei tasselli.
«La mia domanda è: dove sono questi tasselli? Ci sono dei documenti? E perché sono stati nascosti? Le ipotesi sono diverse, una di queste è che i fenomeni accaduti siano poco spiegabili anche dalla dottrina della Chiesa. Questo può essere inteso sia in termini negativi che positivi, legati cioè a un intervento del male o del bene.
«Noi non sappiamo cosa questa donna abbia fatto o detto durante l’agonia. Magari i fenomeni che sono successi potrebbero mettere in discussione verità acclamate per secoli.
«Nell’unico necrologio che ci è arrivato si parla di un notevole afflusso di popolo. Possibile che nessuno abbia scritto nulla, un diario o una lettera a un suo parente, a un suo conoscente? Anche sulla stessa data della morte non si sono certezze. Possiamo immaginare che la Chiesa possa essere in difficoltà e decida di non scostarsi troppo dal sentire comune.
«L’uomo moderno vive uno scetticismo tale per cui anche di fronte all’evidenza di certi fatti, di certe testimonianze, non crede. La teoria del complotto non riguarda solo l’uomo moderno, se dico che un medico nell’Ottocento per dieci anni ha seguito l’intera vicenda professandosi laico, assumendo una prospettiva complottista ciò che ha relazionato potrebbe suonare falso. In un mondo già insicuro l’uomo ha bisogno di sicurezze, queste cose sono tutto tranne che certe e spiegabili razionalmente.»
 
Perfino un personaggio illustre come Antonio Rosmini, come lei evidenzia nel libro, pur assistendo durante la sua seconda visita al sanguinamento delle piaghe e alla immensa sofferenza di Maria Domenica Lazzeri, non dedica a quanto ha visto che qualche riga scarna.
«Rosmini non è da citare solo in relazione alle sue visite. Questa è una storia quasi completamente rosminiana, nel senso che io ho individuato 13 personaggi chiave che sono legati al mondo rosminiano.
«Lo stesso Papa Gregorio XVI, che dà l’indulgenza plenaria nel 1838, è stato legatissimo a Rosmini, figura decisiva per il riconoscimento dell’Istituto di Carità di Antonio Rosmini; Don Paolo De Paoli, cappellano, è stato suo alunno al Seminario. Don Pietro Gilardi dice che Rosmini viene riconosciuto da Domenica, la quale risponde affermativamente alle sollecitazioni di don De Paoli.
«Anche i visitatori inglesi sono tutti legati a Rosmini, quando si dice che Rosmini ha scritto solo due righe sul suo diario di viaggio sembra davvero impossibile. Non è possibile, in quanto lui si occupava fra l’altro di soprannaturale.»
 
Quando poi lei riferisce la sua ennesima visita all’Archivio Diocesano Tridentino, consultando nuovamente la documentazione relativa a Maria Domenica Lazzeri, estraendo il fascicolo relativo ad Antonio Rosmini non trova che una busta vuota...
«Quando ho trovato la busta vuota il bibliotecario mi ha fornito una spiegazione un po’ fumosa. Era l’unica busta vuota fra decine e decine di buste. Una coincidenza un po’ strana…»
 
Nel libro mette in relazione alcuni interessanti concetti, evidenziando il legame fra le manifestazioni del corpo umano e la misteriosa forza creatrice della Natura universale, «quella forza che», come lei scrive, «la religione cristiana indica da sempre con il termine Dio». Come può essere intesa la parola universo menzionata nel titolo?
«Io sono di formazione cattolica, sono anche sempre stato convinto che esiste un legame fra l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande e che il Cosmo e la religione, quindi tutte le religioni del mondo, sono state la reazione dell’uomo al mistero della grandezza del Cosmo, al mistero di questo mondo, un puntino perso nello sterminato universo.
«Non mi scandalizza dire che la parola universo indicata nel titolo può essere coniugata in diverse maniere. Si può intendere in diversi modi, è chiaro però che l’interpretazione, la spiegazione data dalla Chiesa cattolica, fondata sulla figura di Gesù Cristo, è parziale, di Gesù sappiamo quello che ci hanno riportato i Vangeli, sappiamo che è una figura esistita storicamente. Con questo non sto dicendo che non sia corretto quello che dice la Chiesa, dico solo che è parziale.
«Questa manutenzione può anche essere collegata a una frase di un astrofisico, di cui ho letto tempo fa. Gli ho chiesto cosa è l’uomo e lui mi ha risposto che secondo lui l’universo si serve dell’uomo per comprendere un po’ più di sé stesso. Anche la poesia di Luigi Di Ruscio, intitolata L’Iddio ridente, recita che l’universo cieco spasimava dalla voglia di vedersi, alla fine riuscì a creare l’occhio umano, poi dice che gli uomini crearono Iddio
 
Quindi la scienza paradossalmente è più spirituale di quello che si pensa…
«C’è molto di spirituale nella scienza. Lo capiremo nel futuro, lo capiranno le future generazioni. Ora come ora dobbiamo fare i conti con una società che fa di tutto per censurare il pensiero, siamo sottoposti inconsapevolmente a un controllo totale, noi dobbiamo consumare ma non dobbiamo pensare. La società come è strutturata adesso non è compatibile con accadimenti simili. Il mondo ha bisogno di ordine…»
 
Nel libro, in maniera davvero toccante, la storia di Maria Domenica Lazzeri si intreccia con il ricordo di sua madre. Come mai ha deciso di affiancare le vicende di queste due donne provenienti da epoche e situazioni diverse che, anche se in maniera del tutto differente, sono state e tuttora sono così importanti per lei?
«Sentir parlare della mia mamma può richiamare in ognuno i propri legami. Perché ho affiancato queste due figure? Perché il coinvolgimento in questo lavoro di raccolta delle notizie di questa vicenda era tale che mi ha spinto proprio a entrare in prima persona nel racconto e la figura di mia madre fa parte un po’ di tutto il percorso misterioso della creatività.
«Quando si scrive un libro si viene guidati, è come il pittore, fa degli schizzi, fa degli studi prima di fare un affresco, e mia madre era in uno di questi studi. Cosa lega queste due donne? Le lega sicuramente la subalternità, Maria Domenica è subalterna a questa richiesta, mia madre è subalterna alle limitazioni della sua epoca, delle sue origini, è una donna che non ha mai potuto esprimersi ed esprimere quello che aveva dentro.
«È anche per dire che si può essere, e questo è curioso utilizzando un gioco di parole, ordinari nella straordinarietà e straordinari nell’ordinarietà. Infatti, una era straordinaria in una vita tutto sommato ordinaria e l’altra il contrario.
«Ciò che colpisce della storia di Maria Domenica è anche questo senso di ordinarietà. Se si osserva l’atteggiamento della sorella lo si capisce, non vedeva nulla di straordinario in ciò che stava accadendo, era una delle componenti della sua vita, della sua giornata.
«Arrivava il visitatore e lei stava uscendo, così lo invitava ad aspettare perché doveva andare nel campo. Le persone accettavano il loro destino. Per comprendere una storia così occorre aprire la mente.»
 
A cosa sta lavorando attualmente? Progetti editoriali futuri?
«Sto lavorando al sequel di un romanzo di un autore italiano degli anni Cinquanta, un libro che ho sempre amato e che però mi è sempre sembrato senza finale. In realtà è senza finale e allora quasi per gioco ho incominciato l’anno scorso a scriverlo, sta prendendo una forma un po’ particolare.»
 
Un’ultima domanda: c’è una storia che non ha ancora iniziato ma che in futuro le piacerebbe raccontare?
«Sì, ho già raccolto parecchio materiale. È la storia dell’attentato di via Rasella.»

Daniela Larentis –d.larentis@ladigetto.it

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