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Associazione Castelli del Trentino – Di Daniela Larentis

La prof. Paola Maria Filippi parlerà di un traduttore sconosciuto di Dante, Bartolomeo de Carneri, nell’incontro online del 17 febbraio 2021 – L’intervista

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Bartolomeo de Carneri.
 
Il ciclo di eventi culturali organizzati dall’Associazione Castelli del Trentino intitolato Gli incontri del giovedì, curato dal presidente dell’associazione Bruno Kaisermann e dal vicepresidente Pietro Marsilli, a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 sta proseguendo con successo in modalità online.
Gli interventi di quest’anno si coordinano attorno ad un unico tema: Dante Alighieri, specificatamente nei suoi rapporti con il Trentino.
Gli incontri per il momento non si tengono più il terzo giovedì di ciascun mese nella Sala Spaur di p.zza Erbe a Mezzolombardo, bensì il mercoledì precedente alle 17.00, tramite il collegamento in video-conferenza garantito dall’app Zoom, grazie anche alla amicale disponibilità dell’Associazione Rosmini di Trento che utilizza la sala virtuale messa a disposizione dalla Fondazione Cassa Risparmio di Trento e Rovereto. Durante i singoli incontri è possibile interagire con il relatore.
 
Protagonista del prossimo appuntamento online, fissato per mercoledì 17 febbraio alle 17.00, la prof. Paola Maria Filippi, già docente di Letteratura tedesca e traduzione letteraria all’Università di Bologna.
Rettore della Classe di Lettere e Arti nell’Accademia Roveretana degli Agiati.
Ha tradotto con Claudio Groff «l’Epistolario» di Rainer Maria Rilke e Lou Andreas Salomè.
Ha pubblicato numerosi lavori di storia e teoria della traduzione e di critica letteraria.
Sta attualmente lavorando a una bio-bibliografia del traduttore Vincenzo Errante. Ha tradotto opere, fra gli altri, di Klinger, Rilke, Schnitzler, Hesse, Musil.
 
È lei che mercoledì prossimo parlerà di un traduttore sconosciuto di Dante: Bartolomeo de Carneri.
Nato a Trento nel 1821 e morto a Maribor nel 1909, scrittore e letterato, filosofo e politico illuminato, è una figura illustre ma poco nota.
Segnaliamo il link per accedere alla stanza virtuale, peraltro indicato nel sito dell’Associazione (si consiglia di collegarsi un quarto d’ora prima): https://us02web.zoom.us/j/88137052457
La registrazione sarà disponibile, sempre sul sito, a pochi giorni dall’evento. Da oltre trent’anni l’associazione è attiva nell’ambito culturale provinciale soprattutto attraverso pubblicazioni, convegni e cicli di conferenze su tematiche storiche e storico-artistiche che vengono seguiti con attenzione dal pubblico e dalla stampa.

A riprova della stima di cui è circondata, le iniziative godono del patrocinio, fra gli altri, della PAT, dell’Accademia roveretana degli Agiati e della Società di Studi trentini di Scienze storiche e sono riconosciute valide ai fini dell’aggiornamento del personale docente da parte dell’Iprase.
Abbiamo il piacere di rivolgere alla prof. Filippi alcune domande.
 

Paola Maria Filippi, Rettore della Classe di Lettere e Arti Accademia Roveretana degli Agiati.
 
Dal punto di vista dell’inquadramento storico del personaggio, Bartolomeo de Carneri che legami aveva con la Val di Non? Potrebbe condividere qualche informazione sulla sua famiglia?
«La famiglia di Bartolomeo de Carneri era originaria della Val di Non. Lui faceva parte del cosiddetto ramo austriaco, poi estinto con la sua ultima figlia, in linea diretta non ha avuto discendenti, sebbene il suo sia un cognome ancora diffuso, con solide radici in valle.
«Attraverso le mie ricerche ho scoperto che una sua sorellastra, nata da un primo matrimonio del padre, si era sposata in Val di Non, in seconde nozze, con un conte Thun del ramo di Castel Thun; di nuovo, quindi, si ricongiungono queste radici familiari.
«Per quanto riguarda una persistenza nel tempo, lui sicuramente mantenne legami con la sua terra d’origine, ci sono anche giornalisti che nel parlare della sua vita ricordano che lui ebbe di fatto due culle, ovvero quella italiana e quella austriaca, anche perché la madre era veronese, una contessa Giuliari di Verona, il palazzo della sede del Rettorato dell’Università di Verona apparteneva all’illustre famiglia della madre.»
 
Ebbe una vita segnata dalla sofferenza fisica…
«I suoi problemi fisici si manifestarono da subito, la sua nascita fu molto travagliata, lui ebbe anche una sorella gemella, questo parto gemellare molto difficoltoso costò la vita alla madre, la quale morì una quindicina di giorni dopo. Ci sono poche tracce della sorella gemella, con fatica ho reperito qualche informazione; pare abbia seguito il resto della famiglia nei vari trasferimenti, a un certo punto sembra che si sia sposata con un nobile e che si sia trasferita oltre mare, probabilmente in Egitto.
«Sono informazioni ancora tutte da verificare, è molto difficile trovare documenti a tale riguardo. Lui era molto legato a lei, entrambi furono allevati in casa da una sorellastra. Il padre Francesco Saverio nel primo matrimonio aveva avuto due figlie: la prima, che ho citato nella precedente risposta, sposò il Conte Thun, l’altra visse con loro, li seguì a Vienna e poi a Maribor, dove è sepolta nella cappella dei de Carneri.
«Sono riuscita a reperire le fotografie delle lastre tombali di questa cappella, dove sono sepolti de Carneri stesso, la moglie, il figlio e la sorellastra.
«Lui ebbe una vita segnata dal dolore, tuttavia visse in maniera piena, degna. Era parzialmente paralizzato, non utilizzava il braccio destro, lavorava con quello sinistro, aveva però un’enorme forza d’animo. Riuscì sempre a conservare una grande forza di volontà da una parte e un grande equilibrio dall’altra. Aveva consapevolezza di vivere una vita segnata dai dolori ma era anche convinto che gli avesse donato molto, era una persona incredibile.»
 
Fra le amicizie importanti, quella con la scrittrice austriaca Bertha von Suttner, premio Nobel per la pace, con la quale intrattenne costanti rapporti epistolari su tematiche scientifiche e filosofiche. Cosa li accomunava?
«Lei ne parla molto nelle sue memorie, hanno avuto un carteggio molto intenso non ancora pubblicato integralmente. Lui era più anziano di lei e aveva un atteggiamento molto paterno nei suoi confronti, entrambi convinti pacifisti, convinti che l’attività bellica fosse del tutto inutile al fine della risoluzione dei problemi, oltre ad essere crudele, una dissipazione da ogni punto di vista: gli uomini avrebbero dovuto in un ordine superiore cercare di comporre i propri dissidi in altra forma, ovvero servendosi del dialogo, servendosi degli incontri personali.
«Lei era una grandissima idealista, era convintissima che questa sua libertà di parola e di penna, perché molto scrisse, potesse portare a dei risultati; de Carneri, anche e soprattutto per la sua attività politica, nonché per le sue riflessioni di studioso, era molto più realista, da un certo punto di vista.
«Si spendeva per questo ma nello stesso tempo era consapevole della difficoltà, della quasi impossibilità, se vogliamo, di raggiungere una pacificazione a livello anche europeo, proprio per le tensioni e le correnti che percorrevano i rapporti fra gli stati, fra le singole regioni.
«Vivendo in una regione, che oggi definiremmo di confine, era consapevole di quanto le tensioni etniche e linguistiche incidessero e fossero difficilmente superabili. Da bambino, da Trento passò poi a Vienna, si trasferì a un certo punto della sua esistenza nella Stiria inferiore, a Maribor, ora la seconda città della Slovenia; una città dove c’era una prevalenza dell’elemento tedesco, ma in tutte le campagne prevaleva l’elemento sloveno, naturalmente.
«Non è un caso che dopo la fine della prima guerra mondiale la porzione di questo territorio venisse staccata dall’Austria e confluisse poi nel Regno di Serbia, che si costituì con i territori croati, serbi e sloveni. Quindi, lui viveva queste tensioni, le portava in Parlamento. Andò in Parlamento a Vienna come rappresentante di grandi proprietari terrieri, all’epoca queste erano le modalità di elezione, era ben consapevole di quali fossero le dinamiche politiche in atto. Bertha von Suttner lavorava all’esterno di queste istituzioni e quindi aveva conservato un idealismo più marcato. Erano comunque due aspetti della stessa aspirazione.»
 

Il Parlamento a Vienna, dove Bartolomeo de Carneri sedette dal 1870.
 
Tra le sue opere, la traduzione in tedesco della Divina Commedia. Quando viene pubblicata l’edizione integrale?
«L’edizione integrale esce nel 1901, preceduta dalla traduzione di 6 canti pubblicata nel 1896. Il mondo di lingua tedesca ha sempre avuto una predilezione grandissima per la Commedia di Dante, questa traduzione non è certo la prima, all’oggi sono oltre 50 le traduzioni integrali di questa grande opera letteraria.
«Quando Bartolomeo de Carneri la traduce sa benissimo che ce ne sono diverse in circolazione, anche molto valide, prende in considerazione questo aspetto e nella sua premessa anticipa eventuali interrogativi sul perché della traduzione. Avverte questa necessità di spiegazione, di giustificazione del suo operato. Lui quello che vuole è scrivere un libro che venga letto fino alla fine. Quindi tenere desta l’attenzione, fare in modo che la gente lo legga tutto.
«Il suo è un tributo personale alle sue origini e al contempo un’opera di divulgazione che vuole raggiungere ampi strati di lettori. Il suo obiettivo è quello di fare una traduzione, peraltro in versi, anche se non in rima, diretta a quante più persone possibile, per lui è molto importante non tanto la visione teologica ma la bellezza dell’opera letteraria in sé.
«La cosa interessante è che lui, quando la traduce, è già quasi completamente cieco. Dalle testimonianze che ho raccolto pare che lui ne conoscesse una larga parte a memoria già dalla gioventù, i canti che gli mancavano se li faceva leggere ad alta voce, imparandoli. Traduceva quindi attingendo dalla sua memoria, seguito da un’amica che viveva a Maribor, la quale trascriveva quello che lui dettava, aiutandolo poi nella revisione del testo nelle pubblicazioni. Questa donna è un personaggio di cui si trovano tracce nei giornali dell’epoca, nei necrologi. Lei ha legato il suo nome a questa grande impresa traduttiva come necessario supporto. A lei de Carneri dedica la Commedia.»
 
Cinquanta traduzioni differenti l’una dall’altra della Commedia è un numero davvero elevato. Perché un’ulteriore traduzione?
«Non esiste un’unica risposta a questa domanda. C’è una strategia che ciascun traduttore mette in atto, il traduttore è in primo luogo un lettore, de Carneri legge la Commedia e nota degli aspetti, ne dà un’interpretazione.
«Lui dà grandissima importanza, per esempio, a certe figure retoriche presenti nell’opera, cerca di riprodurle con mezzi non identici ma analoghi in tedesco per riuscire a trasferire quell’impressione che lui coglie leggendo l’originale.»
 
Il compito di un traduttore è molto delicato, le parole sono strumenti molto soggettivi. Ogni lingua ne ha a disposizione un certo numero, dentro ogni parola, cioè, ogni lingua raggruppa significati leggermente diversi. Estremizzando il concetto potremmo spingerci a dire che il traduttore può valorizzare o addirittura rovinare un’opera. Qual è il suo pensiero al riguardo?
«A questi livelli è difficile parlare di meglio o di peggio, di giusto o di sbagliato. Questi traduttori hanno una competenza grandissima naturalmente nella lingua italiana, la lingua da cui partono.
«Hanno una competenza massima nella lingua di arrivo, il tedesco, e quindi conoscono molto bene le opere che traducono e che interpretano. Lui stesso, a distanza di cinque anni dalla pubblicazione dei 6 canti del 1896 alla seconda edizione integrale della Commedia, ha introdotto delle differenze.
«Non sappiamo perché lo abbia fatto, probabilmente avrà voluto privilegiare prima un certo aspetto, in un altro momento privilegiarne un altro. C’è stato comunque un ripensamento, una limatura.»
 

Lastra tombale di Bartolomeo de Carneri nella cappella di famiglia.
 
Su quale aspetto focalizzerà maggiormente l’attenzione nell’incontro online di mercoledì 17 febbraio?
«Si sa poco di lui, per cui mi sembra necessario inquadrare l’argomento. Ciascuno dei grandi traduttori della Commedia ha alle spalle una vicenda personale che lo ha indotto a intraprendere questa impresa. C’è chi lo ha fatto perché era studioso, chi perché si era innamorato dell’Italia e così via.
«De Carneri avvertiva un forte legame con le sue origini, evidentemente era dalla sua parte una competenza massima in italiano, anche se lui non aveva frequentato scuole. Suppongo abbia avuto degli istitutori privati, maturando una competenza ad un livello tale da poter affrontare un lavoro così complesso.
«Lui attraverso quest’opera di divulgazione voleva raggiungere un gran numero di lettori, ciò aveva diverse implicazioni, sapeva benissimo che una maggiore conoscenza reciproca avrebbe potuto portare frutti anche a livello politico.
«Un aspetto senz’altro interessante di cui parlerò è anche la sua grande capacità oratoria, ovvero era una persona che aveva delle conoscenze, competenze e abilità linguistiche notevolissime e non solo evidentemente in tedesco. Sono famosi i suoi discorsi in Parlamento.»
 
Come mai si è interessata a Bartolomeo de Carneri?
«Mi è stato chiesto di occuparmene per l’Associazione Italia-Austria di cui faccio parte. Il momento in cui io ho incontrato il suo nome è stato quando ho organizzato un convegno su Bertha von Suttner, Parlare di pace in tempi di guerra, uno dei relatori, una mia carissima amica, mi ha proposto questo intervento su Bartolomeo de Carneri per dare conto della rete che la scrittrice austriaca fu in grado di tessere in tutta Europa, anche oltre oceano, proprio per perorare la sua causa pacifista.
«Lei indubbiamente era una donna eccezionale e l’impresa nella quale le riuscì di fare istituire un premio Nobel per la pace è senz’altro il lascito per il quale tutti oggi la ricordano, al di là dei suoi scritti e delle sue prese di posizione.
«Fu lei a convincere Alfred Nobel a istituire il premio Nobel per la pace, che non va dimenticato, venne istituito successivamente ai primi quattro premi Nobel. Ho incontrato la figura di quest’uomo e da lì ho incominciato a leggere, studiare, raccogliere materiale, scoprendo questa sua attività traduttiva molto particolare, lui non era un traduttore professionista, di lui d’altra parte si ricorda un’altra traduzione dal francese di canti popolari ungheresi, fatta diversi anni prima della Commedia.»
 


 
Scrittore e letterato, filosofo e politico illuminato. Come mai sembra non godere della stessa notorietà di altri personaggi illustri del panorama culturale trentino della sua epoca?
«È una domanda per la quale è difficile trovare una risposta. Molte volte la riscoperta di personaggi rimasti in ombra è dettata anche molto dalla casualità, ovvero occorre trovare qualcuno che si appassioni a loro.
«Questi personaggi che hanno tenuto interventi pubblici, che si sono spesi, lui per esempio si è occupato della riforma della scuola, che hanno portato un contributo fattivo a quello che era lo sviluppo nell’ambito dell’Impero austroungarico, hanno tutti qualche cosa di interessante che varrebbe la pena di indagare.»
 
A cosa sta lavorando, progetti futuri?
«I miei progetti durano sempre moltissimi anni. Sto ancora lavorando ad un altro traduttore del Novecento, Vincenzo Errante. Sto preparando un volume con molti scritti inediti suoi, sia traduzioni che lettere, testimonianze, per inquadrare una figura molto interessante; lui era traduttore dal tedesco, ma non solo, tradusse anche dall’inglese, è un personaggio che ha anche dei legami con il Trentino, è sepolto qui, ha vissuto moltissimi anni a Riva del Garda.
«È stato il primo a tradurre la gran parte dell’opera di Rilke, l’ha tradotta in una forma che da taluni è stata ritenuta in seguito poi superata, con tracce di quella che era la lingua dannunziana, ritengo che criticarlo oppure non considerarne il ruolo storico vada un po’ contro la storia. Perché chi ha letto Rilke dagli anni Trenta in poi in larga parte ha letto sulla sua versione.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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