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Marco Berlanda, la passione di una vita – Di Daniela Larentis

Intervista a uno dei più importanti pittori del panorama artistico trentino contemporaneo

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Marco Berlanda, foto Claudio Rensi © tratta dal catalogo sulla mostra Ghizzardi - Berlanda alla Galerie Christian Berst, Paris, 2011.
 
Marco Berlanda, uno dei pittori più conosciuti del panorama artistico trentino contemporaneo, ha da poco compiuto ottantanove anni e dipinge da più o meno mezzo secolo con immutata passione; da ragazzino amava disegnare guidato dall’istinto, la madre tuttavia lo scoraggiava, non voleva che intraprendesse la carriera artistica.
La sua arte è caratterizzata da una spiccata propensione ad esaltare il lato emotivo della realtà, c’è anche chi accosta Berlanda all’arte naïf. A ogni modo, poco importa quale sia la categoria al quale lo si vuole ricondurre, lui è sempre stato fedele a sé stesso, i suoi quadri dal tratto marcato attirano l’attenzione dell’osservatore, coinvolgendolo in un turbine di sentimenti ed emozioni diverse.
 
Per quanto riguarda la sua formazione, ha iniziato a dipingere con assiduità quando aveva una quarantina d’anni o poco più, dopo la morte di sua madre, il suo maestro e mentore è stato il noto artista Mariano Fracalossi.
Renzo Francescotti, apprezzato poeta e scrittore, critico d’arte fra i più conosciuti ed autorevoli del Trentino, gli ha dedicato una quindicina di anni fa un prezioso ed esaustivo volume dal titolo Marco Berlanda: pittore selvaggio, edito da TEMI (ha peraltro curato decine e decine di mostre e cataloghi, scrivendo recensioni e saggi critici su giornali e riviste, regionali e nazionali).
 

Marco Berlanda, opera realizzata a  punta secca, 1997.
 
In un passo del saggio, nel capitolo dedicato ai ritratti e le figure, scrive (pag12): «C’è in questo eccezionale artista trentino un istinto animalesco che presiede al suo modo di aggredire la realtà, catturandola per ricondurla al suo universo pittorico.
«È un atteggiamento che spiazza sgradevolmente il pubblico che misuri l’opera d’arte con estetiche fondate sull’armonia, sulla proporzione della composizione, sulla gradevolezza dei segni accostati al colore.
«Questo tipo di pubblico, (la prevalenza di coloro che pur si interessano d’arte in una maggioranza che se ne disinteressa), dopo aver visionato le opere del nostro artista se ne stacca, le rifiuta. Il fatto è che l’ultima cosa che interessa a Berlanda è di rendersi gradevole al pubblico: il suo è un bisogno fisiologico di disegnare, di dipingere e anche se a nessuno piacessero i suoi quadri lui li continuerebbe a fare.
«Per capirli bisogna saper bucare la parete degli estetismi e cominciare a porsi il problema non dell’arte come beltà ma come verità.
«Come fecero agli inizi del secolo scorso i protagonisti del cubismo e dell’espressionismo, rivoluzionando il percorso millenario della storia dell’arte: una rivoluzione che ad oltre un secolo di distanza non è stata, dalla maggioranza della gente, ancora metabolizzata. Su questo versante Berlanda ci appare come un artista moderno, sperimentalista, rivoluzionario: soprattutto un artista onesto, disarmato, autentico. […]».
 

Marco Berlanda, opera realizzata a punta secca, 1984 - Opera realizzata a punta secca, 2002.
 
I suoi quadri sono potenti, trasudano energia vitale, non lasciano mai indifferenti. Marco Berlanda è un artista prolifico, conta al suo attivo numerosissime esposizioni sia in Italia che all’estero, nonché prestigiosi riconoscimenti.
Fra le mostre a cui ha partecipato, ricordiamo quella di Parigi del 2011 presso la Galerie Christian Berst, dove erano esposte le opere di Pietro Ghizzardi, esponente della pittura naïf, e un corposo numero di sue opere collocate in una sala a lui dedicata. La prestigiosa mostra era accompagnata da un catalogo, con testi di Claudio Agostini. Riportiamo un passo del suo intervento critico: «[…] Per chi conosce il suo percorso è molto chiaro come egli non abbia nulla a spartire con quel manierismo educato che contraddistingue ciò che viene definito naïf.
«La sua cifra sembra essere piuttosto quella di un espressionismo brut che, per quanto negli ultimi anni un po’ ingentilito, conserva la selvaticità e la sfrontatezza di chi dipinge per una necessità emotiva che sfiora la coazione.
«Ciò che nella sua opera attuale appare naïf rappresenta in realtà il tentativo di un bimbo dalla barba bianca di rasserenare lo sguardo, proprio e altrui, ricostruendo un mondo idealizzato, pacificato, in cui gruppi precisi di uomini (ossessivamente 13, 18 o 33) riempiono gli spazi vuoti, le piazze e le radure del mondo.
«Uomini ai quali egli tenta di dare un senso, una direzione comune, lui che ha dovuto sempre negoziare con fatica la sua singolare natura di artista e di uomo fuori dagli schemi con un ambiente che tutt’al più lo poteva accettare come pittoresco o balzano.
«Forse oggi il suo discorso pittorico appare un po’ più addomesticato, le terre e i carboncini hanno più spesso lasciato il posto agli smalti, il tratto di è ingentilito, ma questa evoluzione non rappresenta un’operazione di maniera, quanto piuttosto una sorta di acquietamento, c’è anche segno di un maggior equilibrio interiore. La vita innanzitutto […].»
 

Marco Berlanda, paesaggio.
 
 Alcune note biografiche prima di passare all’intervista  
Marco Berlanda è nato a Trento, dove tuttora risiede, nell’aprile del 1932. Fin da bambino manifesta un notevole interesse per la pittura e il disegno.
Autodidatta può dedicarsi con assiduità all’arte solo in età matura, dal 1975, quando comincia ad entrare in contatto con diverse Associazioni come il Gruppo Studio Arti Visuali di Trento, il Gruppo La Cerchia - Artisti Trentini e il Gruppo U.C.A.I., sempre di Trento.
Tra le numerose sue partecipazioni a Mostre personali e collettive merita segnalare quella alla «Internationale Künstlerborse» di Francoforte nel 1984, la presenza alla rassegna «El encuentro de dos mundos» dell'Estado de Sonora in Messico nel 1992. Per due volte gli viene conferito il «Premio Nazionale Naïf» di Luzzara, fondato da Cesare Zavattini.
 
Fra le numerose mostre fatte sia in Trentino che in altre regioni citiamo quella del 2005 al Centro Culturale Antonio Rosmini di Trento; nel 2007 alla Galleria Civica di Trento; nel 2009 e poi nel 2012 a Caldonazzo, Trento, al Centro d’Arte La Fonte; a Palazzo Trentini l’esposizione del 2015, una doppia antologica con Paolo Dolzan, solo per ricordarne alcune a titolo esemplificativo.
Waimer Perinelli, presidente del Centro d’Arte La Fonte, parlando di lui racconta: «Lo ricordo nell'antro-studio delle mura di piazza Fiera immerso totalmente nei colori, un’immagine di lui che richiama una tela di Schifano, rammento le sue corse in bicicletta per le vie della città. È una delle figure importanti del panorama artistico trentino contemporaneo, un uomo tanto anticonvenzionale quanto puro e generoso».
 
Abbiamo avuto il piacere di porgere all’artista alcune domande.
 

Marco Berlanda, paesaggio.
 
Quando è nata la passione per la pittura?
«Fin da piccolissimo. Tutte le volte che trovavo un foglio, un pezzo di carta, lo riempivo di schizzi, utilizzavo la matita, i pastelli, avevo una gran voglia di disegnare, per me era una cosa del tutto naturale.
«La mia mamma faceva di tutto per scoraggiarmi, non voleva che covassi il sogno di diventare un artista. In famiglia c’era già stato chi aveva percorso questa strada, suo fratello Giuseppe.»
 
Lei ha frequentato il Gruppo Arti Visuali sotto la guida di un apprezzato artista trentino, il prof. Mariano Fracalossi. Cosa ricorda di quel periodo?
«La sede del Gruppo Arti Visuali era a quei tempi a Palazzo Roccabruna, io ricordo bene il professor Mariano Fracalossi, la sua competenza, la sua gentilezza, lui mi ha insegnato le tecniche, è stato molto importante per la mia formazione che è avvenuta in età adulta, avevo già più di 40 anni.
«Mi ha seguito e incoraggiato, ho un bellissimo ricordo di lui come artista e come persona. Alle Arti Visuali mi chiamavano il Righi, perché utilizzavo un tratto molto marcato, una linea di contorno che caratterizzava i miei lavori.»
 
Quali sono le tecniche che lei ha utilizzato nel corso degli anni?
«Ho sempre avuto la passione per la fotografia, me ne sono sempre servito per immortalare i soggetti da ritrarre, quando notavo qualcosa di interessante ero sempre pronto a realizzare uno scatto.
«Per quanto riguarda le tecniche ne ho utilizzate molte, sono partito con il carboncino per passare alle chine, usando l’olio e le terrette; già con il prof. Fracalossi mi dedicavo all’incisione a punta secca, incidevo su zinco, facevo molti lavori di grafica. Mi piaceva la pittura a tempera e con gli smalti.»
 
Lei si ritiene un pittore più naïf o espressionista?
«Io mi sento più espressionista, anche se sono stato definito in più occasioni naïf, tanto che alcune opere riconducibili a un certo periodo sono state acquisite dal museo dedicato all’arte naïf di Luzzara.»
 

Marco Berlanda, ritratto.
 
Quali sono i soggetti da cui trae maggiormente ispirazione?
«Ho sempre tratto ispirazione dal mondo esterno, alle volte bastava un particolare ad attirare la mia attenzione, sono sempre stato affascinato dalle persone, dai loro volti, dai luoghi di relazione.
«Mi sono dedicato anche all’arte sacra, i miei soggetti hanno sempre a che vedere con gli uomini e con le loro storie personali e collettive. Tutto quello che attira la mia attenzione per me può essere fonte di ispirazione.»
 
Lei ha dipinto molti ritratti, un genere tanto affascinante quanto difficile, riuscendo a catturare l’essenza delle persone. Che cosa colpisce la sua attenzione quando si trova innanzi a un soggetto da ritrarre?
«Non è tanto quello che vedono i miei occhi ad affascinarmi, ad interessarmi è ciò che percepisco nella persona che sto per ritrarre, l’essenza che si nasconde dietro l’aspetto fisico di ognuno, talvolta percepisco e traduco pittoricamente uno stato d’animo, altre volte assecondo un’intuizione»
 
Lei ha dipinto anche molti luoghi di Trento: quali scorci della città ha immortalato nelle sue opere? Può fare qualche esempio?
«Tutti luoghi di relazione, per esempio piazza Duomo, piazza Fiera, per me due luoghi simbolo di Trento.»
 

Marco Berlanda, ritratto.
 
Fra tutte le mostre a cui ha partecipato vuole citarne una a cui tiene particolarmente?
«Premetto che tutte le mostre a cui ho partecipato per me sono state importanti. Ne ho fatte tante, ne cito una che mi è rimasta particolarmente nel cuore, quella di Parigi.
«In occasione della mostra su Pietro Ghizzardi, la Galleria Christian Berst ha dedicato alle mie opere un’intera sala, dal 14 ottobre al 19 novembre 2011.»
 
I suoi quadri trasudano energia e vitalità. Come sta affrontando artisticamente il momento difficile della pandemia?
«Non sono rimasto inattivo durante la pandemia, quando ho potuto mi sono recato nel mio studio di piazza Garzetti, però devo dire che disegno moltissimo prevalentemente da casa.
«Utilizzo la matita o la china senza avvertire l’esigenza di passare al colore, mi focalizzo sull’essenza del quadro.
«Sto vivendo questa fase durante questo difficile momento, ora come ora non ho voglia di realizzare opere di grandi dimensioni.»
 
Un’ultima domanda: ha qualche rimpianto o qualche altro sogno nel cassetto da realizzare?
«Il mio unico sogno è quello di non smettere di fare quello che mi piace fare ogni giorno, serenamente, quindi continuare a disegnare, a dipingere.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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