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Le potenti opere lignee di Florian Grott – Di Daniela Larentis

L’artista di Guardia di Folgaria, Trento, ha da poco aperto uno spazio espositivo permanente nel cuore di Rovereto – L’intervista

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Florian Grott, apprezzato scultore e pittore trentino, ci aspetta nel suo nuovo spazio espositivo di piazza Podestà a Rovereto, Trento, vicino al Municipio.
Osservandolo da lontano sembra avere un’aria un po’ burbera, ma nell’accoglierci il suo sorriso disarmante tradisce un’anima gentile.
Saliamo alcuni gradini, prima di raggiungerlo; è appoggiato a una scultura in legno che raffigura suo figlio in tenera età.
Una volta entrati abbiamo modo di ammirare, fra le varie opere lignee in esposizione, anche quella che ritrae la sua bambina.
Le sue sculture di legno figurative sono di grande impatto estetico, danno l’impressione di prendere vita sotto lo sguardo attento dell’osservatore.
Quello che colpisce è la loro potenza comunicativa, sono così vive che sembrano animarsi.

La scultura lignea affonda le radici in tempi lontanissimi, è un’arte molto affascinante anche nella sua forma più contemporanea.
Florian Grott, figlio di Cirillo Grott, importante scultore trentino scomparso nel 1990, è un artista maturo che ha un indissolubile legame con le proprie radici e che concentra la sua ricerca prevalentemente sulla figura umana in relazione con il territorio, dedicandosi ad opere di grandi dimensioni senza tralasciare, tuttavia, quelle di dimensioni più contenute ma altrettanto evocative.
L’artista stabilisce un rapporto particolare con ogni sua creazione, per lui un lavoro non è mai finito, lo riprende anche a distanza di tempo, entra in relazione dialogica con ogni scultura, creando un vincolo profondo difficile da esprimere a parole.
 

 
 Alcune note biografiche prima di passare all’intervista  
Florian Grott nasce a Rovereto il 2 aprile 1974 e trascorre la sua infanzia a Guardia di Folgaria.
Dopo aver frequentato la Scuola d'Arte in Val Gardena e successivamente la Scuola Professionale di Scultura, nel 1996 intraprende gli studi all'Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona. Nel 1997 inaugura a Rovereto un laboratorio che funge anche da atelier ove espone in modo permanente le sue opere fino al 2005.
Dal 2004 al 2006 abita e lavora nel centro storico di Folgaria, in seguito si trasferisce in un antico mulino della valle del Rosspach e in una baita folgaretana, poi ritorna a vivere a Guardia di Folgaria dove ha il suo atelier.
Ha da poco aperto un nuovo spazio espositivo al civico 14 di piazza Podestà a Rovereto.
 
Conta al suo attivo numerose esposizioni personali e collettive, fra le personali ne ricordiamo alcune a titolo esemplificativo:
1995 Rovereto, Palazzo Moll, mostra a cura di Carlo Fia
1996 Rovereto, Palazzo Moll, mostra a cura di Carlo Fia
1997 Calliano, Cantine Vallis Agri, mostra a cura di Silvio Cattani
1997 Folgaria, Galleria Mastro Paolo, mostra a cura di Lucio Novelli
1998 Cassino (Fr), Sala delle mostre dell'Università, mostra a cura di Lucio Novelli
1999 Verona, Galleria Fra Giocondo, mostra a cura di Andrea Garbellini
1999 Guardia di Folgaria, Centro Civico, mostra cura di Benvenuto Guerra
2000 Rovereto, centro storico, La foresta scolpita, a cura di Mario Cossali
2001 Isera, Palazzo de Probizer, Il segreto della radice, a cura di Mario Cossali
2001 Milano, Le figlie del fiume, Galleria Cortina, a cura di Gemma A. Clerici e Stefano Cortina
2002 Auerbergland, (Germania), Die grossen Kampfer, a cura di Pankratz Valk
2003 Folgaria, Museo Maso Spilzi, Vivere il legno, a cura di Mario Cossali
2004 Rovereto, Sala Iras Baldessari, Dialoghi silenti, a cura di Mario Cossali e Alessandro Pavone
2005 Augsburg, (Germania), Die Ecke Galerie, Arte per tempi nuovi, a cura di Gemma A. Clerici
2006 Villa Lagarina, Corte di Palazzo Marzani, mostra a cura di Mario Cossali e Serena Giordani
2007 Folgaria, Municipio, Tre x Dieci a cura di Maurizio Scudiero.
2016 Alba (Cn), Galleria d’arte La Bottegaccia
2017 Alba (Cn), Galleria d’arte La Bottegaccia
2018, Venezia, Micromega Arte Cultura (MAC)
2018, Levico, Imperial Grand Hotel Terme.
2019, Venezia, Galleria Grafica Antica.
2019, Trento, Galleria Fogolino.
 
Abbiamo avuto il piacere di rivolgergli alcune domande.
 

 
La galleria di piazza Podestà è uno spazio culturale-artistico permanente. In che termini è stato pensato e quante opere ospita?
«Quando ero ragazzo, all’epoca avevo 22 anni, qui vicino avevo aperto uno studio, successivamente chiuso dopo nove anni di attività. Le vicissitudini della vita mi hanno portato a formarmi una famiglia, a vivere esperienze che mi hanno condotto altrove.
«Nel tempo sono maturato artisticamente, lo scorso anno venivo qui spesso, osservavo l’edificio, fra il resto mi aveva sempre incuriosito anche in passato; mi chiedevo come sarebbe stato bello avere la possibilità di dare vita proprio qui a una mostra permanente dove poter esporre i miei lavori, così mi sono attivato facendo richiesta al Comune, attraverso Arte Guardia, l’associazione legata alla scultura di cui faccio parte, e il mio desiderio si è poi concretizzato.
«Le opere lignee esposte sono una ventina, più i bozzetti in terracotta di piccole dimensioni e le opere in bronzo, quasi tutti dell’ultimo periodo, a parte alcuni pezzi storici.»
 
Lei ha scolpito molte opere monumentali: quanto ci impiega a realizzarle?
«Dipende. Non la penso esattamente come i miei maestri della Val Gardena, i quali ci insegnavano a realizzare l’opera rispettando determinati tempi per riuscire a consegnare, non ho la loro continuità.
«Naturalmente, se mi viene commissionato un lavoro rispetto anch’io i tempi stabiliti, però generalmente non mi pongo una data fissa per quanto riguarda le opere di grandi dimensioni, posso accantonare un lavoro per poi tornare a lavorarci più avanti. Per me un lavoro non è mai finito, lo riprendo anche a distanza di tempo, non ho l’urgenza di terminarlo se non sono pienamente soddisfatto.
«Quest’opera che vede l’ho iniziata nel 2005 e l’ho terminata nel 2010. Tre mesi fa l’ho ripresa in mano nuovamente, ho rifatto il braccio. L’ombra del guerriero è un’altra opera che avevo iniziato nel 2002 e ho terminato nel 2020; vi ho lavorato a più riprese, è stata esposta, pubblicata su due cataloghi, uno dei quali della Mondadori, adesso finalmente mi piace e la reputo finita.»
 

 
Quando «sente» che un’opera è finita?
«Quando mi piace.»
 
Fra i maestri che ha avuto, c’è qualcuno in particolare che le è rimasto nel cuore?
«In particolare vorrei citare Walter Moroder, figlio di David Moroder, un carissimo amico di mio padre, fratello di Rudi Moroder. Lo ricordo come un grande maestro di arte e di vita, una persona aperta, cosmopolita.»
 
Lei si è formato in Val Gardena, può citare qualche nome fra i grandi artisti gardenesi?
«Sono della Val Gardena artisti di spicco, grandi maestri come appunto Walter Moroder, Adolf Vallazza, solo per citarne alcuni; fra gli artisti famosi che provengono dal mio stesso laboratorio c’è l’altoatesino Aron Demetz, ognuno ha sviluppato uno stile diverso che lo contraddistingue.»
 
C’è qualche scultore che preferisce ad altri?
«Uno scultore che a me piace molto è Luciano Minguzzi, mi piacciono le opere Augusto Murer, grandi artisti scomparsi che hanno lasciato il segno.»
 

 
Potrebbe condividere qualche pensiero sul significato che per lei assume l’opera «L’ombra del guerriero»?
«Quando ho iniziato questa scultura era il 2002, il 2003 che vede indicato sulla targa è la data di esposizione alla mostra, come le ho detto prima l’ho terminata nel 2020.
«Il legno era un cedro che fra l’altro proveniva proprio da Rovereto, dalla boscaglia visibile anche da qui. In quel periodo ero molto interessato alla storia dei castelli legata al territorio, ero molto influenzato da quelle suggestioni.
«Mi piaceva osservare la natura, rimanevo anche ore all’aperto sentendo l’acqua dei ruscelli scorrere, a osservare un muro per cercare delle forme, delle ombre che si potessero tramutare in qualcosa di umano. Era quello il mio studio, il mio campo d’indagine.
«Molti disegnano, fanno tanti bozzetti, io ho imparato velocemente a disegnare, osservo molto e immagino. Non sono uno scultore che testimonia la fragilità dell’uomo contemporaneo, che racconta di questi automi che popolano la nostra società, a me sta a cuore dare voce al mio pensiero: non amo la ressa, sono un uomo legato alla terra, amo la solitudine, non amo i luoghi affollati.
«Questa opera ricorda in particolare l’atmosfera di un tempo che fu, evoca il greto di un torrente, castelli antichi, boschi, richiama un certo modo di vivere; l’opera esposta, come altre due della stessa serie che hanno preso altre strade, racconta anche questo.
«Appartiene a un ciclo ancorato al passato ma che si lega al presente, è un guerriero che può essere interpretato anche in chiave contemporanea.»
 
Può spiegarci meglio, magari commentando l’opera «Lo scudo contro il potere»?
«Quest’opera, iniziata nel 2008 e terminata nel 2020, è stata pubblicata su due cataloghi e ha subito nel tempo diverse modifiche. Recentemente ho sostituito lo scudo, ho scelto un altro legno, come vede sono presenti innesti di bronzo, peraltro mi piacerebbe in futuro fonderla in bronzo.
«Per quanto riguarda un commento sul titolo scelto, il discorso sarebbe lungo e complesso. Posso dire che a partire da una quindicina di anni fa la tecnologia ha cambiato le nostre vite, il nostro modo di relazionarci e non sono sicuro che sia stato un bene.
«Il mondo del futuro sarà un mondo con una cultura approssimativa, nonostante, paradossalmente, la grande informazione disponibile in rete. Chi vedrà un’opera in legno riconoscerà il materiale in senso generico senza sapere che è di cirmolo o di castagno, faccio solo un esempio per dire che la gente si accontenterà di rimanere in superficie. Non saprà di che legno si tratta, come è stato tagliato, lavato.
«La maggior parte della gente ignorerà tutto questo. È il potere della tecnologia, un potere che offre opportunità e ne toglie altre, a ogni modo questa opera si presta ad essere letta in altro modo. Anche la scultura è cambiata. Nell’arte di Marino Marini, per fare un esempio, c’era dramma ma c’era anche tanta ironia.
«Adesso si privilegia spesso la tecnica, molti scultori contemporanei fanno questo, sono insuperabili tecnicamente ma non tutti mettono l’anima nei loro lavori. Il potere può essere inteso in molti modi. Il significato dell’opera può essere agganciato all’attualità e alla crisi sanitaria in atto. Chissà se mai torneremo davvero alla normalità. Già portavamo delle scarpe scomode…»
 

 
Ci sono delle tematiche o dei soggetti da cui trae maggior ispirazione?
«Io sono legato al territorio, la mia mamma è roveretana, in particolare sono legato a Rovereto e, naturalmente, a Guardia di Folgaria.
«I temi che affronto artisticamente sono i guerrieri medievali, la figura femminile, la religiosità, mi sento legato alla tradizione e alla natura ma sono attratto anche da tutto ciò che richiama il mondo della fantasia.
«Amo ritrarre i bambini, siamo stati tutti bambini prima di crescere. Un artista non dovrebbe mai diventare troppo adulto, se lo fa rischia di diventare troppo razionale, è importante invece salvaguardare il bambino che si è stati, mantenere il gusto della meraviglia per tutto ciò che ci circonda.»
 
Lei utilizza diversi legni nella realizzazione delle sue opere. Ci sono essenze che preferisce ad altre?
«Dipende dai periodi e dalla disponibilità del momento. Io lavoro tutti i tipi di legno, ogni legno è diverso.»
 
Le capita di trovare nel bosco qualche tronco da cui poi nasce una scultura?
«Alle volte capita, ogni legno che lavoro ha una sua storia. Può succedere di notare un tronco e immaginare già l’opera come è capitato per la scultura che vede, sono partito dalla spaccatura per dare vita all’opera stessa.
«La scultura Etrusca proviene invece da un albero di mele del mio paese. Ricordo ancora il sapore di quelle mele, le mangiavo da bambino…»
 
Lei è figlio di un grande artista trentino scomparso, Cirillo Grott, ha respirato l’arte fin da bambino. Che ricordo conserva di suo padre?
«Mio padre amava molto andare nei boschi. Ho imparato molte cose da lui, nel breve periodo in cui siamo stati insieme. Avevo 15 anni quando è morto.
«Era molto severo, alle volte anche dolce. Era più severo che dolce, comunque sapeva essere anche simpatico. I più bei momenti che abbiamo passato insieme sono stati quelli in cui io e lui eravamo da soli.
«Da piccolo rimasi a casa quasi un anno intero dall’asilo, a causa della mancanza del servizio di trasporto, non ricordo esattamente l’anno, avrò avuto quattro-cinque anni. Ricordo quel periodo, quando mio padre lavorava la cera, era rilassato, tranquillo, scherzoso. Mi piace visualizzare quei momenti preziosi.»
 

 
Da artista come ha vissuto la pandemia?
«Molte delle opere esposte le ho fatte proprio durante la pandemia. Nonostante il periodo difficile, fortunatamente ho potuto lavorare; nel primo periodo, stando a casa ho avuto modo di passare molto tempo con i miei bambini.
«Penso che chi vive in città abbia vissuto emotivamente questa situazione in maniera più pesante.
«Chiaramente l’artista non realizza le opere solo per sé stesso ma per gli altri, il momento critico legato alla gestione della pandemia è stato un po’ per tutti, e in particolar modo per chi opera nel mondo della cultura, non facile.»
 
Ha qualche sogno nel cassetto?
«Fare una grande esposizione all’aperto di scultura monumentale a Guardia di Folgaria; l’idea sarebbe quella di fare una mostra di amici, includendo anche mio padre e i suoi amici, quindi far dialogare diversi artisti. Dovrebbe però essere pubblicizzata e sostenuta, vedremo se questo sogno potrà essere realizzato o meno.»

Claudio Mattè cura le sue opere. Avete in serbo qualche progetto futuro di cui vuole darci qualche anticipazione?
«Sì, ne abbiamo ma non vorrei anticipare nulla. Avremo modo di parlarne in seguito, quando sarà tutto più definito.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it


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Franca 28/12/2023
Opere speciali che hanno un'anima e persona speciale e profonda l'artista.
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