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Nadia Scappini, «Topografie interiori» – Di Daniela Larentis

I quattordici racconti invitano il lettore a una profonda riflessione sulla natura umana. Intervista all’autrice

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Nadia Scappini.

«Topografie interiori», l’ultimo libro scritto da Nadia Scappini (Edizioni Reverdito, 2020), raccoglie quattordici testi narrativi che prendono ispirazione, come l’autrice stessa riferisce, da donne e uomini realmente conosciuti o di cui le è stata raccontata la storia.
Ciascun racconto è una sorta di viaggio introspettivo, attraverso il quale ogni personaggio pone sé stesso di fronte alle proprie scelte, ai propri dolori, alle proprie fragilità, al proprio desiderio di riscatto e di felicità; è anche un invito a una profonda riflessione su problemi che affliggono la nostra società: la solitudine, un individualismo sempre più esasperato, la difficoltà a instaurare relazioni autentiche.
Le singole narrazioni sono impreziosite da versi poetici: la poesia, sottolinea Scappini nelle note, «con la sua densità concettuale, con la parola che s’accende e mette a fuoco un universo dentro e fuori di noi, è il linguaggio privilegiato capace di svelare qualcosa di noi a noi stessi: un gesto, una radice, un sentimento […].»

Scrive Roberta Scorranese nella nota di presentazione: «Scappini sdoppia anche le lingue, maschile e femminile, separando i piani. Perché veste abiti differenti e pensa usando registri contrapposti.
«Le note maschili del dolore sono più precise, come se seguissero un canovaccio reso forte dagli anni e dalle conquiste.
«Quello femminile segue traiettorie più imprevedibili […]. Ma questi personaggi – uomini e donne – non sono distanti dall’autrice né lo sono da tutti noi, perché Scappini infonde in loro una veridicità che fora il velo della letteratura fino a sconfinare nella vita di tutti i giorni.»
 
Alcune note biografiche prima di passare all’intervista.
Nadia Scappini di famiglia veneta, è nata a Bagno di Romagna il 30 dicembre 1949 e vive a Trento.
Dopo l’insegnamento nei Licei, si è occupata di promozione culturale, scrittura e critica collaborando con quotidiani e riviste nazionali.
Presente sul sito di «Italianpoetry», ha organizzato convegni e seminari di studio su Poesia e Mito, nonché il Premio di poesia Città di Trento-oltre le mura 2018. Numerosi i riconoscimenti nazionali.
Tra i titoli più recenti: «Le ciliegie sotto il tavolo», romanzo, Marietti, 2012 pluripremiato; «Un’ora perfetta», poesie, Aragno, 2015; «Sonia e il poeta», romanzo minimo, Il Vicolo, 2016 (il monologo in versi, cuore del libro, è stato tradotto in inglese, tedesco, spagnolo, russo e cinese e musicato per voce, violino e violoncello); «Limone ruffiano», saggio/narrazione con nota critica di Ernesto Ferrero, Il Vicolo, 2016 (seconda ristampa); «Come dire dell’amore», poesie, Moretti &Vitali, 2019. Topografie interiori, 2020, Edizioni Reverdito
Abbiamo avuto il piacere di porgerle alcune domande.
 
Quando è nata l’idea del libro e come è strutturato?
«È nata dal desiderio di recuperare, selezionare, dare ordine e forma a una serie di racconti scritti nell’arco di più di dieci anni. Ne ho scelti quattordici, sette per voce femminile e sette per voce maschile. Tra questi una fiaba che, attraverso sottili venature, accomuna il sentire dei vari personaggi, e un Confiteor personale sulla felicità.
«Il libro, insomma, è una sorta di inventario di incontri, storie, voci, archiviati negli anni e custoditi con passione, recuperato dal sottobosco della memoria a dire che in ogni vita ci sono giorni pari e giorni dispari con i quali misuraci. E direi che, camminando accanto ai vari personaggi, femminili o maschili, alcuni simili a me altri meno, soffrendo con loro, credo di avere esercitato con onestà e con la medesima intensità sia la mia parte femminile sia quella maschile.
«Per questo sarei lieta se qualche lettrice/lettore potesse calarsi con le proprie coordinate esistenziali e morali, con la specificità del proprio vissuto, nelle storie raccontate trovando qualche spunto di riflessione per migliorare la propria vita.»
 
«Topografie interiori»: può spiegarci la scelta del titolo?
«L’etimologia stessa di topografie suggerisce itinerari dell’anima che comportano, ovviamente, la fatica di uno scavo interiore senza rete, senza sapere la soglia di resistenza e i possibili esiti.
«Qui si configurano come un percorso lucido, talvolta ironico talvolta drammatico, nel tentativo di abbozzare risposte a ferite che hanno segnato la vita dei personaggi, ma che toccano corde e interrogativi di tutti.
«Topografie interiori, ma anche Seconda persona singolare (secondo possibile titolo), a dire che ogni rapporto è segnato dall’incontro con un Tu che richiama alla responsabilità e fa della vita un’irripetibile avventura dove una mano tesa può salvare permettendoci di cogliere ciò che, a pugni stretti, da soli non saremmo riusciti.»
 
I racconti prendono spunto da persone reali, uomini e donne che lei ha conosciuto?
«Alcuni sì, altri solo indirettamente. Ma tutti i protagonisti, uomini o donne che siano, sono accomunati da un bisogno, un acuto sentire, talvolta un tormento, che li costringe a fermarsi, a interrogarsi, a decidere di sciogliere l’intrico interiore che li inchioda a un esistere insoddisfacente, lontano dal loro voler essere.
«Quello più vero e incredibile è Creature di Dio, il primo racconto della silloge, di cui è protagonista Lorena, persona reale con la quale ho condiviso un viaggio da Bologna a Trento nell’ottobre di una decina d’anni fa, a dimostrazione che la realtà è talvolta assai più ricca e imprevedibile della fantasia.»
 
Fra tutti i quattordici testi narrativi quale ritiene più emblematico?
«Direi che ciascuno ha una sua fisionomia, una sua giustificazione all’interno di una storia e di un contesto diverso da tutti gli altri. Non mi sento perciò di esprimere una preferenza, anche se c’è, perché ciò che mi preme e che mi ha convinta a imbastire questo libro è la forza della relazione. In alcuni della prima sezione per voce femminile è adombrata quella violenza sottile che si consuma nella quotidianità dietro la porta di casa e si subisce spesso in modo rassegnato o nella convinzione di impotenza.
«Credo che Caterina, protagonista del quarto racconto, ne sia testimone convincente. In altri trovano spazio il difficile rapporto tra padre e figlio, quello con la malattia, con la vecchiaia, con la casa, con la scrittura. Complessivamente li sento come una preghiera laica, azzarderei una sorta di galateo evangelico, in ogni caso una dichiarazione sommessa ma convinta della nostra precarietà e del bisogno di ciascuno di un Tu con cui confrontarsi, da cui essere considerato e amato.
«E suggeriscono che, solo uniti, i talenti di ciascuno possono generare quella forza capace di sconfiggere le rassegnazioni mettendo in soggezione certe nostre piccole storie, ma anche la Storia.»
 
C’è un’idea di fondo, un filo rosso che lega le storie, un messaggio trasversale che ha voluto trasmettere attraverso le pagine del libro?
«Sì, è un filo che si dipana a disegnare una matrice comune agli spaccati umani di cui sono protagonisti donne e uomini di età differenti, di contesti, interessi ed esperienze di vita diverse che si interrogano sul senso dell’esistenza, la propria in rapporto a quella altrui partendo, come accennavo sopra, da un episodio, un’illuminazione, un evento inatteso o, semplicemente, da una presa di coscienza.
«Ma c’è anche un messaggio personale che covava in me da tempo e a cui ho dato spazio in una nota finale: riguarda alcuni snodi quanto mai attuali sul genere, il ruolo parentale, il femminicidio.
«Accanto a questo ho accennato alcune riflessioni sulla percezione del tempo e sulla difficoltà della comunicazione anche e soprattutto tra familiari.»
 
Nel volume lei parla fra l’altro della difficoltà delle persone, nella società contemporanea, di comunicare le proprie emozioni. Nella nota finale, lei scrive che «dialogare tra persone, che pure si vogliono bene, esprimere il proprio profondo sentire, i propri disagi, le proprie aspirazioni deluse può diventare dolorosamente impossibile». In che modo definirebbe una relazione autentica?
«Non saprei dire, perché troppi sono i fattori di condizionamento originati dal contesto storico/sociale, culturale, educativo familiare/personale.
«Certo che comunicare non è dialogare, certo che dinamiche legate alla sensibilità, al vissuto, al carattere, alla situazione economica e di salute condizionano parecchio i rapporti con l’altro, soprattutto quello a noi più vicino.
«Ecco perché scrivo che questo rapporto attraverso una parola che esprima il nostro sentire più profondo, le nostre esigenze, può diventare dolorosamente impossibile o comunque difficile, anche se i miei personaggi si cimentano con tenacia nel tentativo di riuscirci.»
 
Come osservava il grande sociologo e filosofo Zygmunt Bauman, si corre sempre più in fretta, nell’indifferenza generale si è sempre più incapaci di «sostare nell’incontro». Può condividere un pensiero a tale riguardo?
«Concordo in toto con questo pensiero di Zygmund Bauman, egregiamente anticipato già a partire dall’antichità classica da vari auctores che bene descrivono quel tormento della mente così moderno, attuale che ci rende inquieti e dunque incapaci di sostare, appunto, per incontrare noi stessi e gli altri.
«Prendiamo ad esempio Lucrezio: Si possent homines, proinde ac sentire videntur/pondus inesse animo quod se gravitate fatiget,/e quibus id fiat causis quoque noscere et unde/tanta mali tam quam moles in pectore constet,/haud ita vitam agerent, ut nunc plerumque videmus/quid sibi quisque velit nescire et quaerere semper/commutare locum quasi onus deponere possit (Lucrezio, III, vv.1053-1059).
«Se gli uomini potessero, così come sembrano avvertire, che nel loro animo insiste un macigno che li affatica con il suo peso, conoscerne le cause e la provenienza, non vivrebbero nel modo che per lo più vediamo, che non sanno cosa volere, sempre alla ricerca di cambiare luogo quasi potessero sgravarsi dal peso che li tormenta.
«Nulla è cambiato sotto la luce del sole, verrebbe da dire. La noia, la volubilità, la smania di cambiare luogo, di riempire il nostro tempo sono le stesse del I secolo a.C., oggi aggravate dal nostro affidarci, talvolta rassegnato talvolta inconsapevole, a persuasori occulti e raffinati ai quali noi stessi apriamo le porte.»
 
Lei ha scritto romanzi e diverse raccolte poetiche, ricevendo prestigiosi riconoscimenti. Che cosa rappresenta per lei la poesia?
«Un atto di restituzione che canta e dona ciò che ha veduto e appreso tramite lo sguardo del poeta, un atto di fede nella vita, uno dei pochi canali di vita spirituale che ancora ci rimangono in comune dopo la scomparsa o l’affievolimento di religioni e ideologie.
«Anche nelle Topografie interiori ho sentito il bisogno di intercalare le narrazioni con brevi testi poetici, nella convinzione che la poesia con la sua densità concettuale, con la parola che s’accende e mette a fuoco un universo dentro e fuori di noi, è linguaggio privilegiato capace di svelare qualcosa di noi a noi stessi: un gesto, una radice, un sentimento. Qualcosa che faccia mondo. Una parola intensa e necessaria in un’epoca in cui il nostro parlare è per lo più ripetitivo, vuoto, impreciso, non di rado auto celebrativo.»
 
Progetti editoriali futuri?
«Ho nel cassetto un romanzo a cui sto lavorando da diversi anni e a cui dovrò dedicare ancora parecchio tempo per sciogliere alcuni nodi che non mi soddisfano pienamente. Lo si potrebbe definire un viaggio di formazione, di cui sono protagonisti due poeti, Alberto milanese, che è anche voce narrante, e Sebastiano siciliano.
«Essi, incontrandosi casualmente a Topolò, uno sperduto borgo ai confini di nordest dell’Italia dove ogni anno d’estate ha luogo un Festival internazionale di cultura, approderanno infine in Sicilia dopo aver attraversato il Carso e la Slovenia, Terra di bellezze naturalistiche e di poeti, sotto la guida di Mariolina Cossovich.
«Con lei, insegnante in pensione, personalità poliedrica e affascinante, converseranno di coscienza e responsabilità civile, di scrittori, di poesia, ma anche della dolorosa Questione istriana, di cui ancora molti, purtroppo, poco sanno. La complessità degli argomenti trattati all’interno della storia richiede tatto e delicatezza, oltre che un taglio e un lessico accessibile a ogni tipo di Lettore.
«Vedremo… Con la poesia, una compagna esigente che ha però il potere di rendermi felice, la ricerca è continua attraverso la lettura dei poeti del passato e di quelli contemporanei con cui è bene confrontarsi.
«Poi chiama quando vuole e allora bisogna essere pronti ad accoglierla come una creatura da accudire e coltivare con tenerezza e severità, sottraendo ripulendo le parole dal superfluo finché trovano ritmo e armonia.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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