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Maurizio Panizza, «Il sogno di Isidoro» – Di Daniela Larentis

Basato sul racconto ispirato dal naufragio del Principessa Mafalda, scritto e diretto dal documentarista storico, è andato in scena alle Terrazze Mart Rovereto – L’intervista

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Maurizio Panizza, foto © Daniele Palma.

Alle Terrazze Mart Rovereto, lo scorso 6 agosto è andata in scena una prima presentazione di «Il sogno di Isidoro» scritto e diretto dal documentarista storico Maurizio Panizza; il testo narrativo è stato accompagnato dalle voci narranti di Cecilia Ruele e Andrea Franzoi, musiche di Chiara Brun, canzoni eseguite da Paola Battistata.
Lo spettacolo, che è stato un successo e verrà portato anche in altri comuni che ne hanno già fatto richiesta, prende ispirazione da un fatto di cronaca: al largo delle coste brasiliane la sera del 25 ottobre del 1927 colò a picco il Principessa Mafalda, considerato agli inizi del novecento il più lussuoso transatlantico italiano, ma in quel momento ridotto ormai a una carretta del mare per colpa di armatori senza scrupoli.
Nel terribile affondamento morirono ben più di 300 degli oltre 1.200 passeggeri. A bordo del Principessa Mafalda vi era anche un giovane trentino, Isidoro Adami, che per miracolo si salvò dalla furia dell’oceano, ma che non tornò mai più in Italia. Quella che racconta Maurizio Panizza è la sua storia e al contempo una vicenda collettiva di cui si è parlato poco e che ha coinvolto altri numerosi trentini partiti verso le Americhe per abbracciare un sogno.
 

Interpreti: Chiara Brun, Cecilia Ruele, Andrea Franzoi, Paola Battistata.
 
Alcune note biografiche prima di passare all’intervista, anche se Maurizio Panizza non ha certo bisogno di presentazioni, essendo fra l’altro titolare per la nostra testata di una rubrica molto seguita intitolata «Da una foto una storia».
Giornalista dal 1992, ha lavorato per molti anni con numerosi quotidiani mentre in seguito è stato direttore di alcune testate.
Avvicinatosi alla storia trentina, negli ultimi anni si specializzato nell’indagare fatti e personaggi del passato riportando alla luce vicende sconosciute poi riproposte in Rai e anche in teatro.
Più recentemente si è dedicato alla documentaristica storica producendo due inchieste sulla Seconda Guerra Mondiale, «Come uccelli d’argento» e «Occhi di guerra», in collaborazione con il regista Federico Maraner. Pubblicazioni: «Eroe plebeo», Edizioni Stella, Rovereto, 2003; «Missione compiuta», Edizioni Osiride, Rovereto, 2009; «Antiche strade», Edizioni Osiride, Rovereto, 2011, «Diario familiare», Curcu Genovese, 2019, «Trentino da raccontare», Curcu Genovese, 2020.
Curiosi di saperne di più, gli abbiamo rivolto alcune domande.
 

Serata al MART - Foto © Daniele Palma.
 
«Il sogno di Isidoro», presentato il 6 agosto 2021 presso il MART Rovereto, è scritto e diretto da lei. Come è nata l’idea di dare vita a un racconto ispirato da un fatto di cronaca di questo tipo, l’inabissamento del 1927, al largo del Brasile, del transatlantico Principessa Mafalda?
«In effetti scrivere dell’affondamento del Mafalda, la più grave sciagura navale italiana di tutti i tempi, non è cosa comune, nel senso che all’epoca si cercò in tutti i modi di nasconderla e questo si ripercosse nei decenni successivi anche sulla memoria collettiva che serbò poco o nulla della tragedia.
«Personalmente ho sempre avuto una certa confidenza - diciamo così - con quel drammatico avvenimento perché Isidoro Adami, il protagonista della storia, era il fratello di mia nonna e quindi in casa se ne parlava anche se mio padre non conobbe mai quello zio d’America.»
 
In quale modo è riuscito a raccontare nel dettaglio le vicende che portarono all’affondamento del transatlantico?
«Devo ammettere che è stato un lavoraccio durato parecchi mesi, anche se, a dire la verità, non sono affatto nuovo a ricerche impegnative del genere. Fonti primarie sono state i documenti che sono riuscito a trovare in rete e le cronache dei giornali dell’epoca, sia italiani che sudamericani. Poi le testimonianze dirette che ho raccolto io personalmente in Uruguay e in Argentina.»
 
Chi ha partecipato alla presentazione dell’evento e a che titolo?
«Ho voluto strutturare l’evento attraverso quattro registri diversi: la narrazione, la musica, il canto, le immagini. Per essere più chiaro, io ho tenuto il filo narrativo principale, Cecilia Ruele e Andrea Franzoi la narrazione della cronaca del naufragio e le dichiarazioni dei testimoni, Chiara Brun le musiche all’arpa e Paola Battistata le canzoni popolari dell’epoca. Tutto questo con un impianto fotografico composto da un centinaio di fotografie – pure quelle degli anni Venti – che sul grande schermo seguiva via via la narrazione.»
 
Come ebbe inizio e come proseguì il viaggio?
«Sin da subito ci fu un ritardo di cinque ore, ma nessun passeggero ne comprese la causa. Pure nella tratta fra Genova e Barcellona la nave si fermò più volte. Così come, successivamente, anche a Dakar, in Senegal.
«Fu qui che il comandante Simone Gulì, vista la situazione critica della nave (i marinai la chiamavano balaìna, ballerina, per via delle sue incerte condizioni di navigazione) chiese via telegrafo alla compagnia di navigazione l’invio di un’altra nave per il trasbordo dei passeggeri. La richiesta fu immediatamente respinta.»
 

Foto scattata a bordo durante la navigazione. Isidoro è il secondo da destra.
 
Cosa accadde esattamente nelle ore che precedettero il naufragio?
«In origine fu una rottura all’elica di sinistra che costrinse il Mafalda a navigare con un solo motore. Questo fatto fece sì che nella seconda parte della traversata, la nave procedesse inclinata al punto che i passeggeri testimoniarono che era difficile addirittura stare ai tavoli perché si rischiava di far rovesciare le tazze.»
 
Era considerata un’imbarcazione sicura?
«Assolutamente no, stante il fatto che dopo anni di usura e di pessima manutenzione quella che agli inizi del secolo era considerata l’ammiraglia della marina civile italiana, in quel momento era ridotta a una vera e propria carretta del mare.»
 
Fra i passeggeri molti emigranti partiti per abbracciare «il sogno americano»: quali erano i principali fattori di spinta all’emigrazione, nell’Italia di quegli anni?
«Erano gli anni della grande fuga da un’Italia in miseria che stentava a sfamare i propri figli, un’Italia in cui ricchi imprenditori di pochi scrupoli speculavano sulla vita di tanti connazionali, mettendo a repentaglio la vita di chi decideva per necessità di imbarcarsi alla volta dell’America.
«Con poche eccezioni, la catena di traffici criminali sulla vita umana prevedeva anche l’ammassamento in navi dalla dubbia tenuta con il tacito consenso del Governo che vedeva nell’emigrazione l’unica soluzione ad un grave problema sociale di povertà diffusa.»
 
Può condividere qualche informazione relativa ai passeggeri? C’era qualche trentino fra loro?
«È da dire che negli anni precedenti, il Principessa Mafalda con le sue 100 cabine di lusso, 80 di prima classe e 150 di seconda, era molto richiesto da una clientela aristocratica e borghese. Guglielmo Marconi, ad esempio, era stato un ospite privilegiato, così come Luigi Pirandello e Arturo Toscanini.
«Anche la squadra del Genoa poteva fregiarsi di aver navigato sul Mafalda e allo stesso modo pure il grande compositore argentino Carlos Gardel.
«Ma in quell’ottobre del 1927 non era purtroppo più così e stante la pessima fama che si era acquistato il Mafalda, i ricchi preferivano ora altre navi più moderne e sicure.
«Ma oltre ai ricchi, c’erano ovviamente i poveri emigranti che non avevano la possibilità di scegliere. A loro erano destinati 1.200 posti in dormitori comuni. Fra questi emigranti, sulla nave c’erano anche otto trentini e uno di questi era appunto Isidoro Adami.»
 

 
Cosa avvenne nel momento del naufragio?
«Descrivendola in modo sintetico, la causa del naufragio fu il definitivo sfilarsi dell’albero dell’elica attraverso il quale l’acqua inondò in poco tempo la sala macchine. Venne lanciato immediatamente l’SOS. L’agonia del Mafalda durò alcune ore, durante le quali un buon numero di passeggeri venne imbarcato sulle scialuppe.
«Nel frattempo era giunta la prima nave in soccorso la quale però si tenne a distanza perché dal transatlantico si innalzava una vistosa colonna di fumo che faceva temere per l’esplosione delle caldaie.
«Nel momento dell’affondamento c’erano ancora a bordo centinaia di persone, altrettante erano in acqua in quanto le scialuppe non erano sufficienti per tutti, ma anche perché alcune di queste erano affondate nelle ore precedenti per troppo peso.»
 
Chi era Isidoro Adami, il protagonista del racconto, e dove si trovava in quei terribili istanti?
«Quella di Isidoro è una storia nella storia. Isidoro era un ragazzo di 24 anni, orfano di entrambi i genitori, che stava per raggiungere tre dei suoi quattro fratelli già emigrati in Argentina. Nei momenti di enorme caos precedenti la tragedia, lui e altri sei amici trentini si trovavano sul ponte superiore, l’unica occasione per loro – passeggeri di terza classe – di poter accedere ai saloni della classe di lusso. Come scrisse alla sorella Candida, un mese dopo, essendo preparata la cena abbiamo bevuto birra e mangiato peri. In un momento si vide la nave sbandare a sinistra: solo allora io compresi il grave pericolo.
Poco dopo la nave si alzò verticalmente di prua e Isidoro si gettò in mare dall’alto di venti metri. Come lui racconta, tutto intorno l’acqua pareva ribollire di naufraghi che annaspavano per rimanere a galla, chi caduto dalle barche, chi come lui si era gettato dall’alto.
«Per sua fortuna, Isidoro rimase in mare solo un’ora, poi venne salvato da una nave francese. Non ebbe la stessa fortuna un amico che come lui si era aggrappato ad una tavola. Quello, come tanti altri che erano in acqua, venne attaccato e divorato da un pescecane.»
 
Cosa accadde all’indomani della tragedia?
«Il giorno dopo tutti i giornali del mondo parlavano dell’affondamento del Mafalda. Eravamo in periodo fascista e Mussolini si affrettò a far scrivere che le vittime erano solo poche decine per non pregiudicare il flusso migratorio che in quegli anni portava enormi quantità di denaro nelle casse di potenti armatori ammanicati con il regime.
«In più, mancavano pochi giorni all’anniversario della Marcia su Roma e non poteva accadere che quell’incidente rovinasse la festa al Fascismo e al popolo italiano. Alla fine il regime fu costretto a dichiarare che le vittime erano 314, anche se, è da dire, che per le autorità argentine i morti erano ben 657.»
 

L'affondamento.
 
Lei come è venuto a conoscenza della storia di Isidoro?
«Come detto, Adami era fratello di mia nonna. Di lui, in famiglia, avevamo quella lunga lettera in cui descrisse meticolosamente le varie fasi del naufragio del Mafalda.
«Uno zio di mio padre, Isidoro, che però lui non conobbe mai perché non fece più ritorno in Italia. Morta la nonna, più di 50 anni fa, si spezzò pure quel lieve filo epistolare che lei aveva comunque mantenuto con quel lontano fratello.
«Così, nel 2002, io decisi di cercare di riprendere quel contatto, riuscendoci poi in maniera del tutto fortuita perché di quei parenti sapevamo solo il nome di un piccolo paese dell’Uruguay e nient’altro.
«È stato così che ho fatto la conoscenza con la figlia di Isidoro e quella è stata per me l’occasione per andare diverse volte in Sud America, anche per poter ricostruire questa triste vicenda per certi versi dimenticata.»
 
Prossimi appuntamenti?
«Beh, con la mia compagnia intendiamo portare lo spettacolo anche in altri comuni che ce l’hanno già chiesto. Per quanto riguarda invece i miei impegni in campo letterario e documentaristico, posso anticipare che a metà settembre uscirà un altro libro - stavolta scritto a due mani - molto toccante e significativo che penso otterrà un ottimo successo. Inoltre, sono alle prime battute per scrivere la sceneggiatura di un docufilm che, se andrà in porto, vedrà la luce nel 2023.»  

Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it

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