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«Ascolto la vita. Scolpisco ciò che sento» – Di Daniela Larentis

Ricostruiamo con Ivo, figlio del noto pittore e scultore Othmar Winkler, ogni stazione della «Via Crucis» esposta presso il Museo Diocesano Tridentino

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Fino al 14 novembre 2016 sarà ancora visitabile presso il Museo Diocesano Tridentino, in piazza Duomo a Trento, la mostra intitolata «Ascolto la vita – Scolpisco ciò che sento», la Via Crucis di Othmar Winkler realizzata per la chiesa di Maria Bambina, distrutta durante il bombardamento del maggio 1944 e ricostruita su progetto di Germano Veronesi e di Ezio Miorelli, consacrata nei primi anni Cinquanta.
Fu l’architetto Miorelli a proporre alle suore il nome dell’artista, il quale aveva al suo attivo il progetto grafico e le quattordici stazioni scolpite per la chiesa di Sant’Udalrico di Lavis e una seconda Via Crucis che venne collocata nella chiesa bolzanina di San Giovanni Bosco, dapprima destinata alla cappella di Nostra Signora di Fatima a Rovereto.
 
La mostra riguarda una delle sue opere più originali e discusse, realizzata nel 1952.
Il complesso che ospitava da 120 anni le suore di Maria Bambina è stato recentemente acquistato dalla Provincia Autonoma di Trento, di conseguenza gli arredi liturgici sono stati trasferiti in altri luoghi di culto, mentre la Via Crucis di Othmar Winkler è temporaneamente esposta presso il Museo Diocesano.
Tra le suore di Maria Bambina e l’artista si instaurarono relazioni tese per una serie di motivi, fra cui la modifica del progetto originario e un tentativo di censura da parte della committenza, fino a quando nel 1991 vi fu una riconciliazione fra Winkler e suor Vincenza Mosca, provinciale della Congregazione, la quale riconobbe il valore dell’opera non solo per il significato artistico, ma anche religioso.
 
La modifica del progetto originario pare ruotasse attorno a una mancata incorniciatura delle stazioni e una rielaborazione dell’idea iniziale, dovendo aggiungere elementi allargando la scena, al fine di «salvare la costruzione delle singole composizioni e l’armonia fra di loro e nel complesso», come ci viene spiegato da Ivo Winkler, figlio del noto pittore e scultore sudtirolese, della cui opera è curatore.
Ne risultò una Via Crucis che rappresentava anche temi estranei alla narrazione evangelica, come i vizi dell’uomo, l’ingiustizia, la violenza e la sopraffazione, un’opera in cui Othmar Winkler volle narrare la propria intima sofferenza, la propria storia personale e spirituale.
 
L’interpretazione giudicata a quei tempi forse «un po’ troppo moderna», per usare un eufemismo, delle sedici stazioni provocarono da subito un moto di ostilità soprattutto da parte del clero, non mancarono infatti feroci polemiche e reazioni di rifiuto.
Si tratta a ogni modo di un’opera che lo stesso Othmar Winkler indica come fondamentale nel suo percorso artistico, ci ricorda il figlio Ivo. E’ di Othamr Winkler, infatti, l’affermazione «è il lavoro che io devo fare», che dà il titolo alla mostra.
Ed è Ivo Winkler a fornirci qui di seguito l’interpretazione della Via Crucis, composta da sedici quadri: un prologo, quattordici stazioni e un epilogo.
Una descrizione tratta da un commento che di tale Via Crucis fece negli anni Cinquanta don Evro Inama, sacerdote ed esimio insegnante presso l’Arcivescovile di Trento, studioso di scienze filologiche, per quarant’anni capellano - assistente spirituale delle Suore di Maria Bambina a Trento.
 

Ivo Winkler, figlio di Othmar.
 
Spiega Ivo Winkler: «Nel Prologo sono raccolti gli strumenti della Passione. La scena si svolge nell’orto di Getsemani e rappresenta la visione, nella mente di Gesù, di tutti i dolori fisici e morali che andava a incontrare, e il bacio di Giuda che con un simulato segno d’amore ha consegnato, lui discepolo della scuola di Gesù, il suo divin Maestro nelle mani dei nemici, e così ha dato inizio alla terribile tragedia del deicidio.
«La previsione delle sofferenze ha messo tanta mestizia nell’animo del Redentore ch’Egli è entrato in una vera e propria dolorosissima agonia che lo ha fatto sudar sangue e gli ha strappato dalle labbra le parole desolate: «L’anima mia è afflitta fino alla morte»: Tristis est anima mea usque ad mortem (Matt. XXVI, 38).»
 

 
«Nella prima stazione (foto sopra) domina la figura di Gesù, in mezzo, isolata dal resto e più alta del giudice seduto e del sinedrio. Bella l’espressione del volto, tranquilla nel sentire la condanna; la testa è appena piegata verso Pilato, coronata di spine.
«La destra, sovrapposta dignitosamente alla sinistra, tiene lo scettro regale. Glielo hanno dato per beffarsi di lui, perché aveva dichiarato di essere re; ed era Re davvero perché regge e governa il mondo materiale e spirituale e tutte le menti, anche quelle dei suoi carnefici e perfino dei demoni istigatori, limitando la loro perfidia, però lasciando loro l’uso del libero arbitrio e volgendo a bene il loro odio per riscattare il mondo.
«A sinistra Pilato, seduto sul trono del giudice, pone le mani cascanti sulle ginocchia indicando la debolezza del suo carattere e, quantunque funga da giudice, è più basso. Ha fatto di tutto per liberare l’accusato, ma aveva paura di una sedizione e di perdere il posto.
«A destra il sinedrio in fiamme, però fiamme di rabbia e di odio. Dalle fondamenta del sinedrio esce la bava dell’odio, della gelosia e dell’invidia dei farisei e serpeggia come una biscia sopra le mani del popolo, rasenta il manto di Gesù arrivando fino alle ginocchia di pilato; indica che la causa o la radice del processo è da cercare nell’odio dei farisei che hanno esercitato il massimo influsso sul popolo e perfino sul magistrato romano.»
 

 
«Nella seconda stazione ancor più che nella prima domina Gesù, in piedi, con le braccia entusiasticamente innalzate, in atteggiamento solenne per salutare la croce, fortemente ansioso di ubbidire al Padre e di compiere la redenzione del genere umano.
«Le mani dei manigoldi gli presentano la croce. Altre mani impugnano la tenaglia, il martello, un chiodo. Una mano, simbolo del popolo ebreo e specialmente dei farisei, sostiene il tempio col velo non ancora squarciato, centro religioso e politico della legge antica, delle cerimonie dei sacrifici per mantenerlo, esaltarlo e opporlo alla legge nuova dell’amore.
«A destra, la mano di Giuda, il quale, dopo la condanna del suo Maestro, pentito per motivi puramente naturali e disperato, getta i denari del tradimento nel tempio, indicato dalla colonna e dal pavimento.
«Si noti che le mani simboliche sono sempre ingrandite. La mano simbolica si trova in questa Via Crucis in tutti gli atteggiamenti.»
 

 
«Terza stazione: la prima caduta. Il braccio robusto, a destra, e la mano nerboruta, a sinistra, fanno pesare di più la croce sulle spalle del Redentore, perché è proprio il peccato che dà il peso sterminato alla croce, cioè la perfidia, l’ingratitudine deliberata, l’ostinatezza dei peccatori, per i quali Gesù si è immolato.
«La faccia tosta, a sinistra, tanto espressiva, col sorriso satanico, con la bocca aperta che mostra i denti superiori, le labbra rientranti, quasi senza naso, gli occhi incavati, stralunati, quattro serpenti che discendono dal diadema o dalla chioma, la faccia di spirito anziché di uomo, probabilmente è l’istigatore del peccato, che ha tentato Eva in forma di serpente, tenta tutti gli uomini, si è azzardato di tentare tre volte Gesù, è entrato in Giuda iniziando il processo contro Cristo, insomma Satana, il principe delle tenebre che gode della sua vittoria e della caduta di Gesù.
«Nel medesimo tempo quella faccia si può considerare come il tipo del mondo gaudente, leggero, che vuole sfruttare tutti i piaceri della vita presente, non curandosi dei beni spirituali ed eterni; ammaliare e affascinare gli altri, attirandoli nel vortice dei divertimenti, ridendo della virtù, dei sacrifici, delle mortificazioni, e mentre i fratelli soffrono mali indescrivibili, egli si dà ai balli, agli spettacoli, allo sport più pericoloso, ai divertimenti più chiassosi.
«La mano sinistra del Salvatore sostiene la croce là dove il braccio robusto la tira in basso; la mano destra para la caduta; sotto il polso sono le spine.»
 

 
«La quarta stazione riguarda l’incontro con la Madre. Gesù tiene fissa, con la destra, la croce sulla spalla destra; la sinistra alquanto elevata per benedire o per abbracciare la Madre.
«Anche questa sta per abbracciare il Figlio e quasi riceve sulla sua spalla sinistra la croce, toccandola con la guancia, perché Ella è Corredentrice e partecipa, come tale, ai dolori del Figlio Redentore ed è più bassa come Mediatrice fra Dio e gli uomini.
«A sinistra, tre cuori umani simbolici, che rappresentano le tre concupiscenze. Alle tre concupiscenze si possono ridurre tutti i vizi capitali: La superbia della vita comprende la superbia, l’invidia e l’ira. La concupiscenza della carne comprende la gola, la lussuria, l’accidia. La concupiscenza degli occhi comprende l’avarizia.
«A destra stanno gli strumenti di guerra: un aeroplano, un carro armato. Sopra l’aeroplano la sigla dei dollari $ e la cifra 85 miliardi di dollari sciupati nella guerra.»
 

 
«Nella quinta stazione Simone mostra di portare malvolentieri la croce; rivolge la faccia corrucciata verso Gesù quasi lamentandosi e il Salvatore, buono e misericordioso, ha compassione di quell’uomo, gli mette la mano sulla spalla e lo convince con parole affettuose a portare volentieri quel peso.
«Un insegnamento prezioso anche per noi, di portare volentieri la croce che ci fu assegnata dalla divina Provvidenza per il nostro bene, quantunque ci sembri talvolta troppo pesante.»
 

 
«La stazione sesta è l’unica stazione in cui non ci sia il contrasto fra lo spirito di Dio e lo spirito del mondo. Invece è tanto più nobile la degnazione di Gesù che si piega e discende fino al livello dell’umanità raffigurata dalla donna misericordiosa (le due teste sono alla medesima altezza) per confortare gli afflitti mentre soffre lui stesso.
«La Veronica, ben vestita, porge delicatamente con la mano destra il sudario e con la sinistra che si vede appena; Gesù lo prende, altrettanto delicatamente con la sinistra, perché con la destra tiene sollevata, orizzontale, la croce, come per poggiarla sulla spalla sinistra della donna per farla partecipe dei suoi meriti, poiché S. Paolo ci avverte: Se insieme moriamo, insieme ancora vivremo; se insieme soffriamo, regneremo ancora insieme (2 Tim. II, 11-12).»
 

 
«La stazione settima raffigura la seconda caduta: il volto di Gesù rivolto verso il cielo esprime un dolore profondo e intenso, così il collo e tutta la persona. La mano sinistra di appoggia in terra per parare la caduta, la destra sostiene la croce.»
 

 
«La stazione ottava rappresenta il dolore infinito del Redentore che commosse il cuore delle pie donne, le quali dissentivano dei loro mariti o congiunti, carnefici di Gesù, e piangevano dirottamente e lamentavano che un innocente, il quale aveva guarito tanti loro malati di ogni genere e ossessi, fosse condannato a morte e maltrattato dai suoi beneficati.
«In secondo luogo questa stazione rappresenta l’adempimento della profezia che non resterà pietra sopra pietra della città capitale del popolo eletto, castigo del deicidio.
«In terzo luogo rappresenta il castigo dei peccatori ostinati e che rifiutano di fare penitenza anche in punto di morte. In quarto luogo ci è ricordata la pietà e la compassione e l’amore soprannaturale di molti fedeli che si uniscono a Gesù come le pie donne e piangono i loro peccati. In quinto luogo sono raffigurati gli orrori della fine del mondo e gli orrori eterni, poiché la catastrofe della città è simbolo della fine del mondo e dei tormenti dell’inferno.»
 

 
«L’incisione relativa alla nona stazione è la più sviluppata, la più carica, quasi sovraccarica, la più ricca di pensiero, la più tragica. Gesù, schiacciato completamente dalla croce che gli è caduta addosso, giace lungo, disteso per terra.
«Sulla croce gravano i peccati di tutti gli uomini e di tutti i tempi. Tre mani peccatrici, di una robustezza straordinaria, la tirano in basso per aumentare il suo peso. Le tre teste, che premono sulla croce, sono tre vizi capitali (gli altri quattro sono nella stazione seguente): l’accidia, quella più a sinistra che si netta il labbro superiore con la lingua; in mezzo l’ira che sogghigna e aggrotta le ciglia, stringe le palpebre e ha i capelli lunghi; più a destra, l’invidia con la bocca aperta, faccia livida, guance rientranti.
«Le mitra indicano che all’odio contro Dio si aggiunge l’odio contro i fratelli e contro il prossimo, il quale fa doppia strage, di anime e di corpi. Le due facce umane erette in mezzo, sovrapposte alla croce, rappresentano l’Anticristo e il Principe o l’imperatore potente del mondo di cui l’Anticristo è il profeta. I grattacieli e la locomotiva designano l’illuminismo, il razionalismo, il materialismo, il positivismo e tutti gli ismi che sono venuti in voga specialmente nell’Ottocento: la ragione basta a se stessa e non riconosce il dominio supremo di Dio, creatore dell’uomo e della ragione stessa.»
 

 
«La stazione decima raffigura Gesù spogliato; mani robuste, che significano la violenza del peccato, strappano le vesti attaccate alle ferite, alle piaghe, al sangue di Gesù, il quale, dandoci un prezioso insegnamento, rivolge in là gli occhi e la faccia per pudore e cerca di coprirsi.
«Le quattro teste raffigurano quattro vizi capitali: a sinistra la gola, a destra la lussuria, in alto, a destra, la superbia con il mento sostenuto dalla mano, col naso aquilino; si volta indietro ed è quasi giacente per darsi tono e importanza; è appoggiata all’avarizia, perché la superbia agogna gli onori e i beni intellettuali, mentre l’avarizia agogna i beni più banali, più bassi; l’avarizia coi denari sotto il mento per averli sempre sott’occhio regge la superbia perché tutti i vizi capitali sono connessi fra loro e la radice di tutti è la superbia, per questo sta in cima e domina tutte le altre figure simboliche.
«La gola è isolata, vuole tutto per sé, la lussuria è in mezzo come ammaliatrice degli altri e seduttrice, per questo sorride; l’avarizia non è rivolta verso le altre figure, perché ha invidia degli altri e non vuole condividere le sue ricchezze.
«È tutto pronto per crocifiggere Gesù: i chiodi, a sinistra, il martello, la brocca e il catino per abbeverarlo di fiele, i dadi per sorteggiare le vesti già strappate. Umiliato l’Altissimo il peccato trionfa: in ciò consiste il contrasto essenziale in questa stazione.»
 

 
«La stazione undicesima raffigura la crocifissione. Gesù è disteso sulla croce che giace per terra. I chiodi sono già conficcati e dalle ferite sgorga il sangue copioso, balza in alto in tutte le direzioni e fiorisce, cioè si cambia in fiori e frutti per salvare le anime, per portare a tutti i popoli la redenzione, purificarli, santificarli, dare loro i mezzi perché possano raggiungere il premio eterno.»
 

 
«La stazione dodicesima è relativa alla morte di Gesù. In mezzo sta il Crocifisso; a destra di chi guarda, l’antico testamento; a sinistra il nuovo testamento, però tutti e due sotto le braccia del Redentore che ha dato la possibilità di salvezza a tutte le anime.
«L’antico testamento sta sotto la mano sinistra, perché esso era preparazione e tipo; il nuovo sotto la destra perché è il testamento dell’amore, della santità, del compimento.
«Il tempio di Gerusalemme, minato nelle fondamenta, ha il velo squarciato, S. Giovanni, figura dell’antico testamento, come San Pietro del nuovo, protende le braccia verso il divin Maestro mestamente. Maria Vergine, ritta, forte, con la mano sinistra sul cuore addolorato, ha il capo e la faccia coperta dal velo in segno del dolore rassegnato alla volontà di Dio e per sottomettersi alla volontà del Figlio e per essere partecipe dei suoi dolori e quindi Corredentrice. Un po’ più a sinistra si vede la cupola di San Pietro che raffigura la Chiesa nascente.»
 

 
«La stazione tredicesima raffigura la pietà. Nello sfondo è ancora eretta la croce nuda, rande, istrumento della nostra redenzione. Il Figlio morto sulle ginocchia della Madre. Un Dio morto nel grembo di una creatura vivente.
«Questa stazione può essere considerata ancora come una interpretazione del passo di Geremia (Lamentazioni II, 13), ci ricorda anche le parole del salmo (LXVIII, 2.3) Salvami , o Dio, poiché le acque sono penetrate fino all’anima mia. Sono immerso in un profondo pantano, senza punto di appoggio. Sono caduto in fondo al mare e la tempesta mi ha sommerso
 

 
«La stazione quattordicesima raffigura la sepoltura di Gesù, Giuseppe d’Arimatea sostiene il capo e le spalle, Nicodemo aiuta a deporlo. La Maddalena sostiene con la mano sinistra visibile i piedi.»
 

 
«L’epilogo. Campeggia ancora la croce, strumento di redenzione. Davanti c’è Gesù che ha compito il sacrificio; egli appoggia la mano sinistra sulla spalla sinistra della Madre per comunicarle i meriti che egli ha acquistati e per presentarla come mediatrice e dispensatrice di tutte le grazie che intende fare agli uomini e per comunicare a Lei questo potere.
«Maria protende il suo braccio destro verso un cuore contrito che le viene offerto da una mano e Lei lo illumina per mezzo dei raggi che escono dalla sua mano di Mediatrice. Sopra il braccio destro due mani giunte in preghiera (forse le mani di San Giovanni).
«In mezzo al quadro c’è l’iscrizione Santa Madre, deh voi fate che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore, preghiera dei peccatori pentiti. Sotto ci sono i cuori ingrossati, cioè gonfi di peccati.»
 
Daniela Larentis – d.larentis @ladigetto.it

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