Home | Rubriche | Pensieri, parole, arte | «Umberto Boccioni. Genio e memoria» – Di Daniela Larentis

«Umberto Boccioni. Genio e memoria» – Di Daniela Larentis

La mostra inaugurata al Mart Rovereto resterà aperta fino al 19 febbraio 2017

image

Umberto Boccioni - Nudo di spalle (Controluce) - 1909, Mart, Collezione L.F.
 
Sabato 5 novembre, dopo la tappa a Palazzo Reale, è stata inaugurata al Mart di Rovereto la tanto attesa mostra su Umberto Boccioni intitolata «Umberto Boccioni. Genio e memoria».
Concepita con un originale taglio critico che offre un percorso selettivo sulle fonti visive che hanno contribuito alla formazione e all’evoluzione dello stile dell’artista, resterà aperta al pubblico fino a domenica 19 febbraio 2017.
A cura di Francesca Rossi (Castello Sforzesco di Milano) con la collaborazione di Agostino Contò (Biblioteca Civica di Verona), frutto di un lavoro di ricerca svolto dai Musei Civici di Milano e promosso dalla Soprintendenza del Castello Sforzesco, in collaborazione con il Museo del Novecento e Palazzo Reale di Milano, il Mart di Rovereto e la casa editrice Electa, la mostra è sostenuta da prestiti e collaborazioni di importanti istituzioni museali e collezioni private italiane e straniere.
Il percorso espositivo coinvolge lo spettatore nel ritmo incalzante delle trasformazioni dello stile che Boccioni ha compiuto, con energia, capacità tecnica e rapidità impressionanti, nell’arco di poco più di un decennio, tra il 1903 e il 1916.
 

Costruzione spiralica - 1913, Museo del Novecento, Milano.
 
L’esposizione si basa sul rinvenimento di una serie di scritti e documenti inediti riferiti all’artista, riscoperti di recente presso la Biblioteca Civica di Verona, e sull’eccezionale corpus dei disegni del Castello Sforzesco, integrati dai documenti provenienti dai fondi archivistici dell’Archivio del ’900 del Mart di Rovereto e da alcuni dipinti determinanti nella produzione dell’artista.
Lungo il percorso espositivo si possono ammirare, per esempio, il «Nudo di spalle» (Controluce) (1909), proveniente dalle collezioni del Mart; ma anche «Forze di una strada» (1911) del City Museum of Art di Osaka; Elasticità (1912) del Museo del Novecento di Milano; e la celeberrima scultura, icona della plastica futurista e riprodotta sulle monete italiane da venti centesimi di euro, «Forme uniche della continuità nello spazio» (1913), proveniente dall’Israel Museum di Gerusalemme (surmoulage del 1972).
 

Carica di lancieri - 1915, tempera e collage su carta, 32x50.
 
Nel nuovo allestimento, ripensato appositamente per il Mart, l’attività di Umberto Boccioni viene esplorata attraverso accostamenti con le opere dei suoi contemporanei e con preziosi materiali d’archivio.
L’allestimento comprende oltre 180 opere di tipologie e tecniche diverse distribuite in cinque sezioni intitolate: Atlante, Sogno simbolista, Veneriamo la Madre, Fusione di una forma con il suo ambiente, Dinamismi.
La mostra di Rovereto non segue un andamento rigorosamente cronologico, ma piuttosto uno sviluppo tematico, con l’Atlante delle immagini e le carte boccioniane della Biblioteca Civica di Verona esposti all’inizio del percorso, come una sorta di autobiografia dell’artista che funziona da sorgente irradiante del percorso.
 

Trittico Veneriamo la madre, 1909 - Olio su tavola 27 x 56 - Collezione privata.
 
Dopo le prime sale dedicate al tema della memoria, con l’Atlante e i Diari, che costituiscono il vero e proprio cuore della mostra, il percorso si snoda attraverso soggetti che rivelano l’intensa stagione simbolista di Boccioni (Sogno simbolista), con opere messe in rapporto con esempi della produzione di Previati, Bistolfi, Fornara, Romolo Romani, Rops, Redon e altri.
La parte centrale e più ampia della mostra vede protagonista la figura della madre, presente in numerosi ritratti che dalla scomposizione del colore divisionista arrivano alla scomposizione della forma e alla compenetrazione tra soggetto, luce e ambiente, tipica dell’avanguardia futurista.
Una ricerca, quella di Boccioni, che culmina qualitativamente nelle celebri sequenze dei disegni con i Dinamismi, raggruppati nelle ultime sale intorno alla celebre scultura Forme uniche della continuità nello spazio.
I disegni provenienti dal Castello Sforzesco, il corpus grafico boccioniano più rappresentativo al mondo, insieme a opere appartenenti ad altre collezioni pubbliche e private, evidenziano il ruolo fondamentale del linguaggio grafico nella ricerca dell’artista e costituiscono, unitamente a una serie di documenti scritti e visivi, la struttura portante della mostra.
 

 
Abbiamo avuto il privilegio di porgere un paio di domande a Gianfranco Maraniello, direttore del Mart.
 
Dott. Maraniello, che Boccioni emerge da questa mostra?
«È un Boccioni che si rivela ovviamente protagonista della stagione futurista, ma che non viene raccontato soltanto nel periodo determinato storico di questa unica vera grande avanguardia italiana, perché è un Boccioni che attraverso i miti, gli archetipi, le forme della sua immaginazione testimoniate dal recupero di questo straordinario Atlante, dimostra la continuità non solo storica ma direi antropologica con i grandi temi dell’arte e del pensiero europeo in particolare.

Umberto Boccioni, autoritratto.

E allora è un Boccioni che viene raccontato non soltanto attraverso l’esperienza futurista dell’antipassatismo, ma c’è invece una radice culturale fondata che la mostra riesce grazie alla curatela di Francesca Rossi a testimoniare in maniera io credo sensibile, non soltanto attraverso gli ottimi strumenti didattici che oggi supportano l’esposizione.
«E questa è la cosa più importante. Una mostra non è solo una raccolta di figure, ma è un percorso esperienziale.»
 
Un bilancio su questo primo periodo roveretano?
«Abbiamo segnato in poco meno di un anno un inizio di una traiettoria. Quindi, più che un bilancio è la felicità di aver messo delle buone basi per dimostrare negli anni avvenire quello che il Mart può fare per una crescita continua.»
 
Abbiamo poi rivolto alcune domande anche ai curatori della mostra, Francesca Rossi e Agostino Contò.


La curatrice della mostra Francesca Rossi.
 
Dottoressa Rossi, quale aspetto della personalità di Boccioni, emersa nell’analizzare la dimensione privata di questo grande artista, l’ha colpita in modo particolare?
«La grande passione, la forza di quest’anima travolgente e il suo desiderio di conoscenza, la grande capacità di lavoro e la sua fede smisurata nei confronti dell’arte. Era uno di quegli artisti che scelgono di votarsi totalmente all’arte, rinunciando anche agli affetti in qualche maniera.
«Aveva questo rapporto privilegiato con la madre e la sorella, ma sentimentalmente non riusciva a legarsi, perché era troppo dedito alla sua visione, guidato da questa sua immaginazione potente.
«È durata molto poco la sua vita, in fondo è morto molto giovane, oggi a 34 anni verrebbe considerato un ragazzo; aveva quell’entusiasmo giovanile che non si sa dove lo avrebbe portato.
«Mi ha affascinato molto la rapidità impressionante delle sue trasformazioni stilistiche. Raramente si vedono in un artista.
«È stato un lavoro coinvolgente, lavorare su delle carte personali è sempre molto particolare per uno studioso. Si entra nel privato con un certo garbo e con più emozione, sicuramente.»
 

Studio di testa, La madre e Scomposizione dinamica.
 
Dott. Contò, quale è stato il momento più emozionante che avete vissuto durante l’impegnativo lavoro che ha portato a questo eccellente risultato?
«Il momento più emozionante è stato l’aver capito che questo era tutto materiale che proveniva da Boccioni.
«L’aver riconosciuto la sua grafia, le sue note di possesso, le note di segnalazione nei libri. Questa è stata la cosa più emozionante in assoluto.
«La cosa più faticosa è stata riconoscere tutti questi pezzi, dare una giustificazione del fatto che lui avesse raccolto questi materiali piuttosto che altri.»
 
Dottoressa Rossi, qual è stata la maggior difficoltà che avete dovuto affrontare?
«Abbiamo affrontato tante difficoltà. Quando hai a che fare con materiali vergini, inesplorati, devi essere molto attento, devi fare un grande studio sulle fonti e su quello che esiste già. E quindi devi controllare e fare un percorso irto di salite.
«Poi, difficoltà connesse alla realizzazione di un grande progetto; nella fase di studio la difficoltà maggiore è stata quella di riuscire ad identificare le opere che Boccioni ha raccolto, rintracciandole una per una.»
 
Dott. Contò?
«Tutti i ritagli che sono esposti non avevano didascalie, tranne alcuni. E’ stato necessario capire di volta in volta quale fosse la figura, chi fosse l’artista e, soprattutto, da dove fosse stata presa l’immagine.
«Chiattone era suo amico e suo collezionista ancora dagli anni di Milano, era stato direttore dell’Istituto Italiano di Grafica di Bergamo, dove si stampava la rivista Emporium, una rivista famosissima, in cui si pubblicavano articoli sulla storia dell’arte, ma anche di architettura e storia del design.
«Molti di questi materiali provenivano da ritagli di Emporium e da alcune altre riviste.
«Si è cercato quindi di capire qual era il filo conduttore: si va dalle xilografie del Quattrocento, a Dürer, ai vasi greci fino a Segantini, per esempio, a ciò che aveva visto alla Biennale, alle cose più recenti.»

Gigante e pigmeo, 1910 - Olio su tela 70X70.

Come ha sottolineato il direttore Maraniello non si tratta di un evento separato, questa prestigiosa mostra si inserisce in una traiettoria già delineata in occasione di un’altra straordinaria esposizione allestita al Mart dal dicembre 2015 all’aprile scorso, «La coscienza del vero» (attraverso cui il museo indagò alcuni momenti della cultura figurativa ottocentesca), curata da Alessandra Tiddia, quest’ultima una coprotagonista anche della realizzazione di quest’ultimo percorso espositivo.
Ed è proprio ad Alessandra Tiddia che abbiamo voluto rivolgere un’ultima domanda, relativamente agli studi preparatori per «La città che sale», ovvero su «Gigante e pigmeo» (La città che monta o Studio per La città che sale), 1910 – Torino, GAM – Galleria Civica d’Arte Modena e Contemporanea).
 
 
Forme uniche della continuità nello spazio, - 1913, Museo del Novecento, Milano.
 
Dottoressa Tiddia, potrebbe fornirci una breve interpretazione dell’opera esposta, Gigante e pigmeo (La città che monta o Studio per La città che sale)?
«Dopo un’attenta osservazione del volto e soprattutto del volto femminile, del volto della madre, Boccioni cresce come artista, inizia a volgere il suo sguardo verso l’esterno, verso le periferie e cerca di capire qual è l’azione della luce nei confronti della città, città animata, non intesa come veduta paesaggistica.
«È il ritratto di una città. Una città con i suoi abitanti, con il lavoro, con le sue relazioni; non è più uno sguardo statico nei confronti della campagna lombarda, ma è un essere calato dentro la città e cogliere la città nella sua simultaneità di visione, in ciò che accade in quel momento da più punti di vista.
«La luce guida questo sguardo e poi vi è la restituzione di questo sguardo, frantumando la realtà e ricomponendola sulla tela. Quindi è una città che si divide come un prisma, lasciandoci vedere simultaneamente tutte le sfaccettature.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande