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«Migrantes», l’ultima opera di Mastro7 – Di Daniela Larentis

L’artista trentino a Natale dedica un’opera a tutti coloro che lasciano ogni cosa in cerca di un futuro migliore

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Siamo giunti al 25 dicembre e nell’occasione abbiamo voluto fare visita a un artista che del Natale ha sempre saputo interpretarne lo spirito, Settimo Tamanini, in arte Mastro7.
Lo incontriamo nel suo studio, dove è immerso nella poesia delle sue sculture metalliche. Ci mostra un’opera da poco terminata, dal titolo «Migrantes».
È composta da tre elementi: due figure femminili, una con le mani alzate, l’altra con le braccia abbassate, staccate dal corpo, e un bambino.
Mostrano tutti il palmo delle mani, a indicare intenzioni amichevoli. Le straordinarie sfumature sono ottenute grazie all’uso della fiamma ossiacetilenica utilizzata dall’artista al posto del pennello.
Troppe persone lasciano le loro case, la loro terra, il loro mondo conosciuto, per affrontare l’ignoto, ci racconta. Affrontano incredibili viaggi guidati unicamente dalla speranza.
E lui questa speranza ha voluto simbolicamente rappresentarla attraverso la sua arte.
 
Lontano da voler impartire lezioni, Mastro7 fa presente che molte di queste persone disperate, che lasciano il proprio Paese spesso per motivi di enorme disagio, sono bambini.
«Si può anche far finta di niente, ma almeno a Natale sarebbe bello riflettere su ciò che sta succedendo intorno a noi da un punto di vista semplicemente umano.»
L’arte serve anche per questo, sottolinea Settimo Tamanini. Girovagando fra le vie del centro, nella frenesia natalizia, a chi non è capitato di imbattersi in qualche migrante?
A chi non è mai successo di incontrarne qualcuno intento a lavare i vetri delle auto quando si è in colonna davanti a un semaforo oppure a vendere rose rosse nei ristoranti?
 

 
Astenendoci da strumentalizzazioni e polemiche, pensiamo che osservare il fenomeno da un punto di vista umano ma anche sociologico sia interessante.
Il lavavetri, così come molti altri migranti, è una figura che ricopre, usando un linguaggio goffmaniano, un ruolo incongruente, ossia quello di chi è presente nell’interazione ma che non assume il ruolo né di attore né di pubblico, fa parte di quegli individui che vengono considerati come se non fossero presenti sulla scena.
Goffman parla di non-persone riferendosi al personale di servizio, ai bambini, agli anziani, invece il sociologo Alessandro Dal Lago include nella categoria proprio i migranti.
Essi sono considerati da molti nullità, persone di serie B. Sono gli invisibili, coloro che molti preferiscono ignorare.
 
Molta gente che si trova in prossimità di queste persone cerca di evitare qualsiasi contatto, anche solo visivo. Abbassa gli occhi, evita perfino di incrociarne lo sguardo. Succede. La mancanza di contatto visivo significa la non volontà di stabilire un qualsiasi tipo di vicinanza: non c’è scambio empatico, non c’è interesse alcuno. Non c’è il riconoscimento di un proprio simile. C’è solo indifferenza. E disumanità.
C’è una sorta di accettazione nelle persone che vengono ignorate, trattate come se non fossero presenti sulla scena.
Purtroppo si vive, come affermò Bourdieu, in «società altamente stratificate», dove esiste marcatamente la divisione in classi.
Viviamo insomma in un mondo di diseguaglianze dove chi è debole spesso pensa che l’esserlo sia parte di un ordine naturale delle cose.
Come lo stesso Bourdieu sottolineò in un’intervista a una radio francese «le classi dominanti hanno interesse ad affermare che l’esistenza delle disuguaglianze sia un bene».
Naturalmente non può esserlo.
 

 
L’indifferenza del migrante, che è in realtà accettazione delle cose, rimanda alla teoria secondo cui il potere si impone più che con l’azione persuasiva attraverso la percezione del dominio come qualcosa di naturale.
Vengono anche in mente le considerazioni di Schutz (scrisse il saggio Lo straniero), il quale rifletteva su quanto sia difficile l’integrazione per una persona appartenente a una diversa cultura. Forse quell’indifferenza è dovuta al fatto che c’è una mancanza di passato comune, lo straniero è senza storia, immerso in un labirinto in cui è davvero facile perdere l’orientamento.
 
Settimo Tamanini ci mostra infine una scultura offerta da Madre Natura, composta da un pezzo di legno di cirmolo e dalla radice della pianta di basilico (che proviene dal suo orto).
«Non è bella? Assomiglia o no a un migrante?» ci chiede, facendoci notare la forma che ricorda effettivamente una figura umana, la testa dalla chioma fluente, le radici, le braccia abbassate quasi in segno di resa. Mastro7 è proprio così, un grande artista dalla grande umanità: il suo occhio sensibile coglie la bellezza ovunque la si possa scorgere o solo immaginare.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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