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«Piazza», la mostra di Matteo Boato al Muse – Di Daniela Larentis

La personale dell’artista sarà affiancata da un progetto partecipativo dal titolo «La voce della PIAZZA» – Oggi l’inaugurazione presso il Museo delle Scienze di Trento

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Oggi al MUSE è stata inaugurata, innanzi a un folto pubblico e alle autorità, la mostra del pittore trentino Matteo Boato dal titolo «PIAZZA».
Fino al 26 marzo 2017, gli spazi museali ospiteranno una quarantina di sue opere che interpretano attraverso il sapiente uso del colore il tema della piazza come spazio pubblico: tele di vario formato, scorci della città di Trento e di altre piazze italiane, tra le quali Venezia, Mantova, Cremona, Siena, Roma, Padova, Pisa, Gubbio, Milano, Firenze, Feltre, Peschiera, tanto per citarne alcune.
 
Come ha spiegato nel suo intervento finale l’organizzatrice dell’evento Samuela Caliari, per tutto il periodo di apertura (24 febbraio-26 marzo) all’esposizione si affiancherà anche il progetto partecipativo «La voce della PIAZZA».
Come in un vero spazio cittadino, dove dal chiacchiericcio dei passanti emergono stralci di conversazioni, confronti e istantanee di vita, il MUSE mette a disposizione il proprio spazio non solo alle opere pittoriche, ma anche a quanti avranno voglia di condividere in pubblico un messaggio, un tema a loro caro.
Il risultato sarà una sorta di racconto corale, una miscela di esperienze ed emozioni che renderanno il museo un luogo ancora più inclusivo e coinvolgente.
 

 
La mostra raccoglie 43 oli su tela che rappresentano i momenti salienti di una ricerca iniziata nel 1999 su nuclei antichi e che ha dato vita a serie titolate «Le Case danzanti» e «Cielo di Tetti».
L'intento del percorso artistico è quello di scoprire l'anima della città, indagando case, facciate, porte e finestre che si affacciano sul loro cuore medioevale, la piazza.
Impregnati degli umani umori, questi edifici, sottolinea Matteo Boato, conservano impresse nella loro materia costruttiva le storie delle persone le hanno abitate e il senso del loro agire.
Un richiamo verso le radici, verso un mondo fragilissimo in continuo pericolo di scomparsa.
 
L'aggettivo «danzanti» relativo alla prima serie, non ha solo connotazione gioiosa, ma si può collegare al tema delle danze macabre, affascinanti affreschi gotici nei quali l'apparire della morte nei festini di donne e cavalieri richiama alla precarietà dell'umano.
Sono case in cammino, che vorrebbero volare, danzare la loro storia; aggrappate alla roccia e al tempo, come tessere di un raffinato mosaico.
I lavori, originariamente molto colorati, hanno con gli anni abbracciato la bi-tri cromia. Intraprendendo un racconto pittorico più intimo, attraverso l’accostamento di grafite e colore a olio materico, in bilico funambolico tra disegno e pittura, tra bi e tridimensionalità.
 

Cremona, olio su tela - 100x100 cm. -  2010.
 
«La piazza – racconta Boato – è un luogo dove chiunque passi lascia un frammento di vita, uno sguardo, un pensiero, un'idea. La piazza è il luogo dove la città si incontra perché ne è il cuore.
«Benché le persone non si conoscano e non ci sia alcuna relazione tra di loro, esiste questo punto di comune contatto, di scambio.
«Infatti chi passa, chi vi accede, coglie un vissuto altrui e lascia a sua volta un pezzo di sé. Simboleggia il mondo fisico, reale, la terra dove siamo ed esistiamo.»
 
Il tema della piazza a noi suggerisce una considerazione. Oggi andare su Fb o su Twitter è un po’ come scendere in piazza, un luogo che in questo caso non è certo uno spazio fisico ma virtuale, non per questo meno reale.
Una piazza che è una sorta di «palcoscenico»: è nota la metafora teatrale di Goffman secondo cui gli individui si muovono sul palcoscenico della vita mettendo in scena la loro rappresentazione. 
E' anche a questo che pensiamo osservando le splendide opere esposte.
Oggi attraverso i social media le persone costruiscono la propria identità e la comunicano. I nuovi media sono, appunto, «sociali».
Come alcuni studiosi hanno sottolineato, «virtuale» non deve essere più inteso in antitesi di «reale». L’online è ormai una dimensione integrativa del nostro vivere quotidiano.
Frequentare in modo esagerato facebook (o altri social simili) potrebbe portare a quello che uno studioso di comunicazione, Lovink, definisce «ossessione collettiva» per la gestione dell’identità personale. Il buonsenso sembrerebbe suggerire che l’importante sia quindi non esagerare.
 

Siena, olio su tela - 90x90 cm. - 2007.
 
Tuttavia, la domanda più interessante che potrebbe nascere in relazione alla frequentazione di questa sorta di piazza virtuale è: la rete ci rende più liberi di quanto lo si era un tempo?
Esistono diverse posizioni a riguardo. C’è chi considera il web uno spazio di libertà - a noi piace parlare di «piazza»- che permette di esprimersi e chi, al contrario, lo considera una minaccia.
È certo che attraverso l’utilizzo della tecnologia in rete avviene anche una sorta di sorveglianza di massa, gli oligopolisti del web come Amazon, Google, Facebook, Apple detengono un’enorme quantità di informazioni sugli utenti.
Noi tutti produciamo dati che vengono sfruttati da questi «giganti del web».
Ci sono molte tesi a tal proposito (una delle più note è quella di Jodi Dean, la studiosa americana evidenzia che noi tutti produciamo enormi contributi a un immenso data flow, in cui le comunicazioni acquisiscono un valore di scambio).
 
Molti sono i dibattiti sulla globalizzazione dei media, c’è chi sostiene le «Teorie del villaggio globale», considerandole positivamente come generatrici di nuove possibilità di informazione condivisa, e chi sposa le teorie dell’«Imperialismo culturale», le quali hanno una posizione più critica.
Secondo questo approccio i media costituirebbero una nuova forma di potere che le classi dominanti utilizzano per promuovere nuovi valori neoliberisti a discapito delle classi subordinate.
In un esaustivo libro del giornalista e scrittore italiano Federico Rampini intitolato «Rete padrona – Il volto oscuro della rivoluzione digitale», edito da Feltrinelli, si parla proprio di questo.
«La rete padrona – scrive – ha gettato la maschera. La sua realtà quotidiana è molto diversa dalle visioni degli idealisti libertari che progettavano un nuovo mondo di sapere e opportunità alla portata di tutti.»
 

Trento, olio su tela - 100x100 cm. - 2000.
 
Possiamo considerare la rete un po’ come una piazza proprio per questo motivo. Attraverso i media digitali vengono raccolte moltissime informazioni prodotte volontariamente da chi utilizza il web e i social.
Sono informazioni che hanno valore, come si è detto prima, pensiamo ad Amazon che le usa per scandagliare i nostri gusti suggerendoci poi altri potenziali acquisti, tanto per fare un esempio.
Il web è quindi una piazza che diventa anche «mercato», un mercato «disintermediato» dove gli scambi avvengono anche direttamente fra utenti.
Una piazza che dà origine, talvolta, a scontri: pensiamo alle polemiche nate attorno a Uber, una piattaforma digitale che offre l’opportunità di condividere auto private con autisti, i proprietari delle auto, creando un servizio simile a quello dei taxi, ma più economico, e che purtroppo causa una concorrenza sleale.
Si tratta di un esempio di sharing economy, il cosiddetto «consumo collaborativo», molto discussa di questi tempi; un altro caso è rappresentato da AirBnb, attraverso cui i proprietari di stanze inutilizzate o case sfitte le condividono in rete, affittandole agli utenti che vogliono visitare una città o un luogo turistico a costi inferiori rispetto all’albergo o all’hotel.
Tutti, o quasi, grazie al web sono potenziali erogatori di servizi, che poi sia etico o meno è tutta un’altra storia.
 
La rete, insomma, è una sorta di grande piazza che genera una serie di opportunità relazionali e commerciali, ma costituisce anche una forma di potere. E’ bene non dimenticarlo facendo un salto in piazza per ammirare le belle opere di Matteo Boato.
 
Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it


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