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Mirko Dematté, artista eternamente «in viaggio» – Di Daniela Larentis

La sua ultima esposizione ai Magazzini del Sale Charter «Lo stato dell'arte ai tempi della 57ª Biennale di Venezia» International Contemporary Art:– L’intervista

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Mirko Dematté, affermato artista sia in Italia che all’estero, sperimenta fin dagli esordi con toccante disinvoltura spazi figurativi di varie ampiezze e simbolismi allegorici modellati nella materia scelta, sia essa carta, legno o metallo.
Egli imprime le proprie sensazioni nei materiali, le sue opere vengono spesso definite «forme dell'anima»: sono pura poesia, lo spettatore percepisce la sensibilità profonda e lineare che le ha concepite, accogliendo ogni creazione con sincero entusiasmo.
Dal 2004 ad oggi sono numerosissime le mostre a cui l’artista trentino ha partecipato.
Fra le prestigiose esposizioni al suo attivo, citandone solo alcune fra le più recenti, le ricordiamo qui di seguito.

Nel 2011 Padiglione Italia - Milano 54. Esposizione Internazionale d'Arte della Biennale di Venezia Iniziativa speciale per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Curatore: dott. prof. Giorgio Gregorio Grasso; nel 2012 Concorso Angola Galleri New York USA; secondo classificato Premio Arte Stile Roma Italy; nel 2013 Biennale di Palermo Sicillia; Galleria WIki art Bologna; Palazzo La Gran Guardia Verona; Kitzbuel Austria; Dolomiti Unesco Trento; 2014 Galleria Shaman, Roma; 2014 Ware Massachusset USA; 2014 Art Milano Italy; 2014 Museo Monza; 2014 Galleria Quantum Varsavia, Polonia; 2015 Museo Internazionale di Kozalin Polonia; 2015 Milano Expo Contemporary Art; 2015 Artista ufficiale tour de Polonia Cracovia; 2016 Premio al vincitore del Giro d'Italia - Vincenzo Nibali; 2016 Premio giro ciclistico Tour de Polonia Cracovia; 2016 Biennale Internazionale sulle Dolomiti; 2017 Milano Fuori Salone via Tortona; 2017 Museo Internazionale di Danzica «Ekomateria» – Polonia; 2017 Milano Made Expo; 2017 Venezia Magazzini del Sale Charter «Lo stato dell'arte ai tempi della 57° Biennale di Venezia» International Contemporary Art.
 
Nel 2013 è primo classificato al concorso nazionale per le scuole Negrelli a Rovereto di Trento, patrocinato dal MART, il Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, con l’opera intitolata «Costruzione Vitale».
È lui stesso a descriverla: «Si tratta di una costruzione composta da oggetti che non vogliono essere da me intesi come semplici valigie – sottolinea, – ma come “cassetti della memoria”.
«Quest’opera rappresenta un viaggio interiore, il tempo di questo viaggio non è un tempo lineare, ma circolare: la materia dapprima si aggrega, poi ci sono le prime forme di vita, nasce la vita, dall’amore di due persone nasce la famiglia, i bambini diventano grandi e vanno a scuola e così via.
«E’ tutto appeso, sospeso, alzando gli occhi si possono riconoscere gli eventi più significativi degli ultimi 70 anni, naturalmente non possono mancare le montagne…»

Ciò che l’artista vuole indicare è anche la circolarità della storia dell’uomo, il quale nasce, cresce, vive e muore, percorrendo un viaggio o forse sarebbe più corretto dire «il viaggio».
Come in «Le valigie di Tulse Luper» del regista Peter Greenaway, il progetto multimediale che racconta la storia di un personaggio immaginario attraverso le storie degli oggetti accatastati nelle sue novantadue valigie, le valigie assumono qui una valenza simbolica, ogni singolo pezzo, infatti, richiama l’idea del viaggio, ne è l’emblema stesso.
Mirko Dematté attraverso quest’opera sembra tracciare una traiettoria, la raccolta dei diversi oggetti diventa un percorso personale, al contempo ognuno, osservandoli, può riconoscervi un pezzo della propria storia.
 

 
Approfittando del suo recente rientro, abbiamo avuto il piacere di porgergli alcune domande.
 
Quando si è avvicinato per la prima volta al mondo dell’arte?
«Mi è sempre piaciuto disegnare fin da bambino, interpretavo sempre in maniera originale gli argomenti richiesti, anche se non sempre rispettavo il tema proposto. Per me era importante fin da allora essere fedele a me stesso.
«All’età di 18 anni, con alle spalle un’esperienza di vita sofferta - ho infatti perso la mamma all’età di 11 anni - ho preso un aereo e sono andato a trovare mio padre che viveva in America e che non avevo ancora conosciuto.
«A New York ebbi modo di vistare già in quella prima occasione alcune mostre di artisti riconducibili alla corrente dell’Action painting e che colpirono la mia fantasia di adolescente, tanto che al mio ritorno decisi di dedicarmi alla pittura.
«Tornai negli Stati Uniti qualche anno dopo, a 21 anni, e vi rimasi per un anno. Una volta rientrato in Italia iniziai a dipingere su pannelli di legno che io stesso preparavo in garage: il mio primo laboratorio.
«Dopo averne prodotto una certa quantità, più di una decina, ricordo che un giorno passò di lì una mia vecchia professoressa di disegno e storia dell’arte.
«Fu lei ad incoraggiarmi a proseguire su questa strada, dopo aver visionato quei miei primi lavori, quelle prime prove che avevo eseguito ad olio e acrilico. E fu lei a organizzare la mia prima mostra.»
 

 
Ci sono artisti che hanno influenzato il suo lavoro o che le piacciono particolarmente?
«Mi piace molto Lucio Fontana, perché con i suoi monocromi interrotti da un semplice taglio sulla tela riesce a destare curiosità in chi osservava una sua opera, sollevando interrogativi. La sua non era semplice pittura, era sperimentazione.
«Capisco che, almeno all’inizio, avrà probabilmente avuto dei problemi ad essere compreso, del resto sono dell’idea che l’obiettivo di un artista non è quello di piacere a tutti.
«Un altro artista che mi piace molto è Alberto Burri, sperimentatore fantastico, forse il più grande esponente dell’arte informale.
«Per quanto riguarda il mio lavoro artistico, a chi mi dovesse dire di non capire la mia arte mi sentirei di rispondere che mi basterebbe essere capito dal 3% delle persone. La sfida è proprio questa, non mi interessa essere capito da tutti.
«La mia arte riflette il mio percorso umano, il mio modo di percepire il mondo, il mio sentire. Ciò che dipingo e realizzo è la risposta a una mia esigenza interiore, lo faccio innanzitutto per me stesso, nel momento in cui eseguo un’opera non mi preoccupo certo del fatto che possa piacere o meno.»
 
Per quale motivo lei non dà titoli alle sue opere?
«Io non do titoli alle mie opere, secondo me è riduttivo farlo. Non credo che assegnare un titolo a un’opera possa in qualche modo arricchirla, caso mai è vero il contrario. Io ho scelto invece di catalogarle per cicli.»
 

Charter - Viaggio all'interno dell'Arte Contemporanea.
 
Potrebbe delineare le tappe principali della sua evoluzione artistica?
«Ho iniziato sperimentando il colore, come molti altri artisti. In un primo momento mi sono dedicato all’Action painting, in una fase di sperimentazione in cui il colore era per me predominante.
«Poi, un po’ alla volta sono diventato sempre più minimalista, mi sono liberato dell’eccesso, fino a quando, un bel giorno, mi sono ritrovato di fronte a una tela bianca. Da lì ho iniziato, forte dell’esperienza degli anni precedenti, a delineare un percorso.
«Se vogliamo dividere il mio lavoro in periodi, potrei a grandi linee individuarne tre. Dal colore sono passato all’ossidazione e dall’ossidazione al bianco.
«In un periodo in cui l’attenzione del mondo si focalizzava sull’uso sostenibile delle risorse del pianeta - era il 2008, l’anno che venne proclamato dall’ONU anno internazionale del pianeta Terra, - intrapresi un percorso artistico in sintonia con il momento storico che si stava vivendo.
«L’ossido è il risultato di un processo naturale che comporta una corrosione, una ferita del metallo, simbolicamente la sua lacerazione rappresenta le ferite inflitte dall’uomo attraverso il suo agire. In me era all’epoca maturato un nuovo concetto di arte che mi aveva poi portato ad avvicinarmi alla scultura.
«Dall’ossidazione sono approdato al bianco e al nero, le tinte rimaste solo come refusi e lontani ricordi di qualcosa che era stato; sono poi giunto fino al bianco creato tridimensionalmente grazie a degli elementi che io trovo, produco, realizzo, materiali che avverto più in sintonia con la natura, come la carta, il legno.
«Metto insieme questa materia per poi creare questa sorta di finestre che permettono di entrare e uscire da e verso il mondo esterno, dobbiamo pensare che l’80% del nostro tempo lo passiamo all’interno di questa sorta di costruzione che abbiamo creato per vivere il nostro tempo. Il mio percorso va poi ancora oltre. Io ho avuto fino ai 20 una vita che potrei definire di spostamento: una settimana ero dalla zia, una dalla nonna, un’altra dal patrigno.
«Andavo, tornavo, avevo le mie cose sparse ovunque. Ora io raccolgo idealmente queste mie cose e provo a ideare artisticamente una costruzione che sia mia, che mi appartenga, che sia in grado di custodire qualcosa di me.
«È difficile, emotivamente, esprimere a parole ciò che sento. Preferisco farlo attraverso le mie opere. E’ una distruzione e ricostruzione, è un tornare all’origine con la consapevolezza di adesso.
«È un cercare di mettere insieme tutti questi pezzi (che probabilmente mi sono mancati) per creare una visione d’insieme, pulita. Io amo il bianco, questa idea di pulito, perché questo bianco per me significa la semplicità, una visione minimale della vita, è un bianco che è conquista.
«Per me il semplice e il nulla alla fine sono tutto.»
 

Mirko Dematté - Costruzione Vitale - 2013.
 
Rispondendo in maniera molto sintetica, che messaggio vuole trasmettere attraverso la sua arte?
«Come ho detto per me il semplice e il nulla sono tutto. Sono giunto a questa consapevolezza, questo in sintesi è il mio pensiero. Potrei dire che anche con le cose recuperate, trovate, puoi riuscire a costruire qualcosa di bello. Le mie costruzioni non sono immobili. Sono costruzioni della mente, sono racchiuse da stecche di legno solo per delimitarle visivamente, ma tutte servono a me che le ho costruite, e sottolineo a me, per entrarvi in modo da rivivere gioie e dolori, ritrovare dei frammenti di vita.
«Le mie opere simboleggiano il mio percorso personale, ma chi le osserva potrà magari riconoscersi in esse, trovandovi qualcosa del proprio vissuto. Quello che è contenuto dentro uno spazio, ciò che è delimitato, non è esattamente ciò che si trova al di fuori di quello stesso spazio. Anche questo concetto è per me fondamentale, io sento l’esigenza di delimitare idealmente delle esperienze, ciò che per me è stato emotivamente significativo.»
 
Vittorio Sgarbi è un conoscitore ed estimatore delle sue opere, come vi siete conosciuti?
«In occasione di una delle sue visite in Trentino ebbe modo di visionare alcuni miei lavori, nel mio atelier di Madrano.
Mi ha poi messo in contatto con il curatore Giorgio Gregorio Grasso, con cui spesso collabora, anche lui noto critico d’arte e curatore di importanti eventi.»
 

Mirko Dematté - Costruzione Vitale - 2013.
 
Nel 2011 le ha fatto visita nella villa cinquecentesca di famiglia che ospita il suo laboratorio. Cosa ricorda di quell’incontro?
«Mi ricordo che ci siamo incontrati, prima di recarci nel mio atelier, alla chiesa di Civezzano. Lui stava osservando i dipinti del pittore Jacopo dal Ponte, detto il Bassano. È stato emozionante incontrarlo.
«Mi ha messo subito a mio agio. È risaputo che sia estremamente colto e, posso aggiungere, è anche molto simpatico. Ho avuto modo di seguirlo anche con altri artisti, certamente una delle sue qualità (che tutti gli riconoscono) è la schiettezza.
«A mio avviso è una grande qualità. Quando dà un giudizio, però, si esprime dicendo a mio gusto, è un vero professionista, imparziale. Siamo poi stati al Castello di Pergine, ho un bellissimo ricordo di quell’incontro.
«L’ho rivisto l’anno successivo a Palermo, dove ho partecipato alla Biennale, e in alcune altre occasioni. E’ estremamente preparato, è una persona schietta, questo è vero, ma è una persona anche molto umana.»
 
Parliamo dell’iniziativa speciale per il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, «Lo Stato dell’Arte», Padiglione Italia - Milano 54. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia diretta da Vittorio Sgarbi e curata da Giorgio Gregorio Grasso, del 2011.
Quali opere ha presentato in quella prestigiosa occasione?
«Ho presentato in quell’occasione la scultura rossa, un’opera che fa parte del ciclo Evoluzione, realizzata tramite estrusione a caldo con Woodn e ferro.
«Questo materiale, posto su una base di metallo e modellato attraverso piegature ed estroflessioni, dà vita a opere di forte impatto estetico.»
 
 
 
Quali sono i materiali da lei utilizzati? Ci può descrivere brevemente questo materiale innovativo?
«Utilizzo materiali classici, come il ferro, il legno, lo smalto, la pelle, l’ecopelle, più il Woodn, questo fantastico materiale che io scaldo e che per ora riesco a modellare quasi completamente, fino all’80%.
«È totalmente riciclabile, leggerissimo, resistente all’acqua, ed è il risultato di una mescolanza di pvc e polvere di bambù. Nasce dalla ricerca e dalla fusione di materiali ecocompatibili e riciclati di altissima qualità e unisce la forza alla flessibilità, la resistenza alla versatilità, la bellezza all’ecologia.
«È prodotto da un’azienda italiana che lo produce per gli usi più disparati, dall’edilizia per esterni agli arredi per interni ed esterni, alla nautica ecc.; posso dire che in questo momento è il materiale simbolo della mia filosofia artistica, in quanto rappresenta l’incontro tra il progresso e il rispetto dell’ambiente.»
 
Nel 2013 a Palermo fu scelto fra cinquecento artisti da una giuria composta da una trentina di giudici, alla prima edizione della «Biennale d’arte internazionale». Cosa ricorda di quell’esperienza?
«Conservo un bellissimo ricordo di quell’esperienza. Ero stato per l’occasione contattato da una gallerista di Roma, Maria Pia Rella, alla quale erano piaciuti i miei lavori. Sgarbi ha tenuto un interessantissimo discorso al teatro Politeama. I quadri esposti erano cinquecento. Un merito di Sgarbi e anche di Grasso è che danno l’effettiva possibilità a molti artisti di esporre i propri lavori, un merito non da poco.»
 
 
 
Fra le numerose e importanti esposizioni al suo attivo figura anche quella alla Galleria Wiki Art a Bologna, sempre del 2013. Fu scelto allora con una sua scultura fra mille artisti nazionali: quale opera espose?
«Evoluzione 15, un’opera realizzata nel 2011 che rappresenta l’evoluzione del percorso intrapreso in precedenza: la tridimensionalità, prima appena abbozzata, diventa centrale: la materia si protende nello spazio vuoto per farsi avvolgere pienamente, il colore viene in quest’opera completamente assorbito dal bianco».
 
Il ciclo di opere intitolato «Costruzioni viaggianti» cosa simboleggia?
«Il nostro viaggio interiore, un bagaglio di esperienze che ti porti dentro, esperienze sociali.
«In occasione di una mostra a Capri due modelle hanno girato per l’isola con queste due valigie, nel 2013. E’ stata una bellissima esperienza che definirei di arte itinerante.
«È interessante osservare come attraverso una valigia contenente un’opera d’arte sia possibile girare e mostrarla, senza che le persone si debbano recare in un museo o in una galleria per poterne godere la visione.
«Puoi nascondere tutto, dentro una valigia, quante cose abbiamo nella nostra testa che non abbiamo mai condiviso?»
 
 

Ci potrebbe raccontare come è nata l’idea della prima Biennale d’Arte nella Ski area San Pellegrino?
«Al Direttore Ski Area manager per il marketing Passo San Pellegrino avevo suggerito l’idea, inizialmente, di creare un evento che potesse destate la curiosità delle persone, come per esempio una mostra di opere d’arte su una pista da sci.
«Avevo infatti cercato di immaginare quanto potesse essere interessante per la gente osservare in quel contesto delle opere d’arte. L’idea è stata poi accolta con entusiasmo da Giorgio Gregorio Grasso, insieme al quale è stato creato l’anno scorso la Biennale d’arte sulle Dolomiti, una mostra che ha visto coinvolti più di cento artisti.
«Davvero molte sono state le persone che hanno soggiornato negli alberghi per l’occasione. E’ stato un vero successo.
Collegata a questo evento è stata allestita una mia personale con 25 opere a Cima d’Uomo.»
 
Cosa ci può raccontare della sua esperienza in terra polacca?
«A Roma, in occasione di una mostra conobbi un manager polacco – stava accompagnando un artista, – il quale rimase particolarmente affascinato dalle mie opere. È grazie a lui che ebbi modo di esporre in Polonia. Ricordo che nel 2013 arrivai a Varsavia per incontrarlo e già nel novembre dello stesso anno venne allestita la mia prima mostra presso la Galleria Quantum.
«È del 2015 una mia personale al Museo Internazionale di Coszalin.
Ho esposto anche a Cracovia presso la Galerii-Krzeszowickiego.
«Nel frattempo sono diventato l’artista del tour di Polonia, prestigioso evento che si tiene ogni anno in agosto (Il tour di Polonia dei professionisti dura una settimana e si terrà anche la prossima estate). Sono stato infatti scelto per realizzare la scultura – che fa parte del ciclo Evoluzioni sportive – con cui verranno premiate nel 2017 i vincitori delle categorie maschile, femminile e ragazzi.
«Sarò io stesso a consegnare il premio in piazza Cracovia davanti a 60-70.000 persone. Ricordo l’evento dello scorso anno con grande emozione. Finita la premiazione a piazza Cracovia mi recherò per un’altra premiazione a Wieliczka, la miniera di sale situata sempre nell’area di Cracovia, un’ambientazione davvero suggestiva.» 

 
Da artista, come immagina il futuro dell’arte?
«Le cose antiche non moriranno mai, la bellezza non ha tempo. Detto questo, per quanto riguarda il futuro, credo che grazie alle nuove tecnologie potrà esserci una bella evoluzione nel campo dell’arte. Grazie ai nuovi materiali ci si potrà sbizzarrire e sarà veramente possibile dare forma alle idee in maniera più libera.»
 
Secondo lei quale dovrebbe essere la funzione dell’arte nella nostra società contemporanea?
«Principalmente dare testimonianza del nostro tempo alle generazioni future. Faccio un esempio pensando al mio modo di fare arte. Un indomani qualcuno potrà magari dire innanzi a una mia opera: Nel 2017 un artista di Trento immaginava questo, è riuscito a esprimere il suo stato d’animo utilizzando i materiali che aveva a sua disposizione
 

Mirko Dematté - Costruzione Vitale - 2013.

Progetti futuri?
«In questo momento sto esponendo al Museo Internazionale di Arte contemporanea a Danzica. La mia partecipazione a questa importante mostra è stata frutto di una severa selezione europea, grazie alla quale sono stato scelto fra i 10 artisti a cui è stata offerta questa grande opportunità.
«Inoltre, in occasione della 57° Biennale di Venezia sei mie opere sono esposte presso la prestigiosa sede dei magazzini del sale alle Zattere, nel sestriere di Dorsoduro. Il titolo dell'evento è Charter - Viaggio all'interno dell'Arte Contemporanea, si tratta di una prestigiosa esposizione diretta dallo storico e critico d’arte Giorgio Gregorio Grasso, visitabile fino al 26 agosto 2017.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it
 
Mirko Dematté - Costruzione Vitale - 2013.

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