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«Gino Bellante, segno e colore» – Di Daniela Larentis

La mostra dedicata all’opera del pittore fiemmese verrà inaugurata a Cavalese il prossimo 17 dicembre e sarà visitabile fino al 20 gennaio 2018

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«Segno e colore», la mostra dedicata all’opera del pittore Gino Bellante, allestita in collaborazione con il Centro d’Arte di Cavalese, verrà inaugurata domenica 17 dicembre alle ore 11.00 e sarà visitabile fino al 20 gennaio 2018.
L’allestimento, che si avvale delle straordinarie sale della «Domus Consiliorum» in pieno centro storico di Cavalese, riprende l’atmosfera dell’atelier dell’artista, luogo ben noto agli appassionati della pittura di Bellante. Si tratta di un evento curato dal giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli e dall’arch. Luigi Trentin, nipote di Bellante, e che segue alcune precedenti esposizioni (Cavalese 2013, Trento 2016), colmando un vuoto che durava da qualche anno per presentare ad un pubblico vasto la produzione dell’artista fiemmese.
 
Accanto ai dipinti ad olio, abbastanza noti a chi ha seguito negli anni il percorso artistico di Gino Bellante, sarà ora possibile scoprire un lato meno conosciuto e legato alla sua produzione grafica.
In questa sezione della mostra saranno presentati disegni, realizzati con diverse tecniche, ed incisioni a «punta secca», tecnica a cui l’artista si è dedicato negli anni Novanta.
L’esposizione offrirà la possibilità di mettere a confronto l’uso del colore, assoluto protagonista dei paesaggi dipinti da Bellante nell’arco di un percorso artistico pluriennale, con l’uso del segno che caratterizza opere grafiche maggiormente introspettive, dove il ritratto, la natura morta o il paesaggio sono anche occasione di studio del proprio repertorio tematico.
 
Nell’attesa di poter ammirare le opere di Gino Bellante e di poterci complimentare con lui, abbiamo avuto il piacere di porgere al nipote dell’artista alcune domande.
 

 
Arch. Luigi Trentin, lei è il nipote dell’artista fiemmese Gino Bellante, le cui opere verranno esposte a breve a Cavalese. Chi è Gino Bellante e quando nasce in lui la passione per la pittura?
«Gino Bellante comincia giovanissimo a disegnare, stimolato anche dal suo maestro di scuola a Cavalese. Prova anche a dipingere, usando il colore ad olio, tecnica che affina sotto la guida della pittrice Adi Werner, sfollata nell’immediato dopoguerra in Trentino.
«Si tratta di una fase di insegnamento abbastanza accademico, lontano dai modi che poi Bellante acquisirà nel tempo, ma che comunque fornisce all’artista i rudimenti tecnici di base sul colore, le mescolanze, la stesura, ecc.
«Si appassiona molto presto all’arte, che studia prevalentemente con viaggi: inizialmente sul territorio locale, Trentino e Alto Adige, e in seguito per tutta Europa, con netta prevalenza e predilezione per l’Italia.
«Teniamo anche conto che, negli anni della formazione, la disponibilità di buone riproduzioni a colori è limitata, per quantità e qualità, dunque la visione diretta delle opere è fondamentale.
«Fino a cinquant’anni, Bellante alterna la pittura con la gestione di un piccolo negozio di frutta e verdura, che fornisce temi di lavoro e che in seguito si trasformerà nel suo atelier.
«In sintesi, possiamo dire che Gino Bellante è un artista autodidatta ma in realtà colto: costruisce il suo percorso in maniera autonoma ma tutt’altro che ingenua.»
 
Quali sono i temi da cui Bellante trae maggiore ispirazione?
«Il riferimento principale è quello della natura. I temi sono legati in maniera molto forte al paesaggio e alla natura morta. Lavora sempre dal vero, all’aria aperta per il paesaggio o con gli oggetti davanti agli occhi per la natura morta o il ritratto.
«Nonostante questo aspetto, il suo modo di trattare il reale non è mai aneddotico o banalmente vedutistico: la realtà viene sempre trasformata e filtrata. Non vi è interesse per la riconoscibilità del luogo specifico, ma piuttosto per il suo valore assoluto.»
 

 
Ci sono artisti che hanno in qualche modo influenzato il suo lavoro?
«Il punto di partenza è la scuola veneta classica (Tiziano, Tintoretto, ecc.) che fornisce il grande gusto per il colore. Sicuramente Bellante ha sentito in maniera molto forte il rapporto con le correnti pittoriche che tra fine Ottocento e inizio del Novecento hanno trasformato la maniera di guardare il mondo.
«Sicuramente l’eco dell’Impressionismo francese si può ritrovare nella pennellata, densa e scissa nelle sue componenti cromatiche., oltre che nella propensione nel fare sentire l’atmosfera. Claude Monet è un riferimento in tale senso.
«Altrettanto chiaro è il rapporto con Paul Cezanne, la cui influenza si avverte nelle opere di Bellante degli anni Sessanta.
«Chiarissimo è il riferimento al gruppo toscano dei Macchiaioli, da cui apprende l’estrema sintesi e il taglio orizzontale della composizione. Si può dire che la scoperta dei Macchiaioli sia stata una vera Epifania.»
 
Quante opere verranno esposte il prossimo 17 dicembre e con che tecniche sono state realizzate?
«Per questa mostra abbiamo deciso di dedicare soltanto una sala con una quindicina di opere ad olio su tavola per la pittura e di rappresentare in maniera più corposa la produzione grafica: si tratta di disegni, eseguiti a matita, matite bianche o sanguigna, che è la tecnica preferita di Bellante per il ritratto, e di diverse incisioni a punta secca.
«In questo caso stiamo parlando di una sessantina di opere, tra stampe e disegni su carta.»
 

 
Meno conosciuta rispetto ai quadri ad olio è la sua produzione grafica. Potrebbe darci qualche informazione a riguardo?
«La grande qualità dei dipinti ad olio ha fatto sì che questo aspetto del suo lavoro sia quello maggiormente conosciuto. In realtà esiste una copiosa produzione di disegni e stampe.
«I disegni sono talvolta studi e ripensamenti del proprio percorso pittorico, a volte si tratta di opere finite: soprattutto per i ritratti Bellante ricorre alla sanguigna e al gessetto bianco, su fondo di carta colorata neutra, per ricavare volti dalla profonda umanità.
«Il caso delle incisioni è una fase relativamente breve ma molto intensa nel suo percorso artistico: lavora con la tecnica della punta secca – tecnica particolarmente difficile, dove bisogna incidere direttamente la lastra metallica con il bulino – a partire dal 1990 fino a circa il 1996. Inchiostra e stampa direttamente, per cui quasi tutte le incisioni sono prove d’artista, spesso in copia unica firmata. Una stagione breve ma molto prolifica.»
 
Quale messaggio, secondo lei, ha voluto trasmettere suo zio attraverso la sua arte?
«Non è facile rispondere. Indubbiamente è un artista molto legato alla sua terra, che conosceva palmo a palmo, avendo conservato per quasi tutta la vita l’abitudine di lunghe passeggiate per la Valle di Fiemme.
«A dispetto di questo, ha sempre rifuggito il localismo o il ripiegamento in stilemi e stereotipi schematici del suo essere pittore di montagna.
«Al contrario, le sue opere migliori aspirano ad una visione assoluta del mondo, al costante rapporto tra cielo e terra, tra una materialità   che rinviene persino nei volti umani e la leggerezza dell’aria e delle nuvole.
«Credo abbia sempre avuto una visione alta della sua opera, sentendo forte il legame tra il proprio punto di osservazione locale e lo svolgimento del mondo artistico globale».
 

 
Gino Bellante, classe 1925, è uno dei pittori trentini più longevi, dipinge ancora?
«No, purtroppo, per ragioni fisiche, con il passare degli anni mio zio ha dovuto rinunciare a questa pratica, anche nella forma più semplice dei disegni a matita.»
 
Se potesse sintetizzare con poche parole la sua arte, come la definirebbe?
«La ricerca continua di una trasformazione del reale in forme pittoriche.»
 
Un’ultima domanda: secondo lei, artisti si nasce o si diventa?
«Questione antica e di non facile soluzione. Io credo che per essere artisti dobbiamo considerare sempre due elementi: una visione del mondo – quella che potremo definire in qualche modo una poetica – e una tecnica espressiva, raffinata attraverso il continuo lavoro e l’applicazione.
«La mancanza dell’una o dell’altra vanifica il risultato. Spesso vediamo ottime idee poco supportate da una tecnica espressiva dello stesso livello oppure, al contrario, vediamo opere di alto livello tecnico ma prive di tema.
«Il percorso di Gino Bellante, costruito su un numero incredibile di opere, insegna che lo sguardo, la visione va sostenuta con un continuo esercizio, fatto magari anche di sbagli o di prove meno felici. In tutto questo credo che la volontà, la determinazione per ottenere dei risultati, sia altrettanto fondamentale.
«In definitiva, io credo molto nella costruzione di un percorso, nel lavoro costante e nell’esercizio e meno nell’idea classica della predestinazione

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it
 
Sanguigna.

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