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Elisabetta Rizzioli, passione e ricerca continua – Di Daniela Larentis

Della storica dell’arte «L’officina di Leopoldo Cicognara. La creazione delle immagini per la Storia della Scultura», presentata a Lucca da Carlo Sisi – L’intervista

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Non dà certo l’impressione di essere una donna semplice da decifrare Elisabetta G. Rizzioli: sobria, schietta, mai una parola di troppo, a tratti risoluta e quasi ruvida. Tuttavia, parlando con lei della sua ultima fatica, «L’officina di Leopoldo Cicognara. La creazione delle immagini per la Storia della Scultura» (un volume di più di mille pagine presentato nel dicembre scorso a Lucca, con intervento critico di Carlo Sisi), la Rizzioli si illumina, facendo trapelare una grande energia e, inaspettatamente, la sua dolcezza.
Lo sguardo si accende, il sorriso disarma, e ci si rende immediatamente conto che non ci si sta trovando affatto innanzi a una persona comune, ma a una donna appassionata, a una storica dell’arte che insegue con tenacia e sentimento i suoi sogni, o per meglio dire le sue necessità, prima fra tutte l’assecondare il suo desiderio di verità e di conoscenza. Ed è proprio l’amore per la verità (e il profondo desiderio sfrenato di conoscenza) ad indirizzarla audacemente verso tutto ciò che, se pur difficile da inseguire, la fa immergere nello sconfinato e insidioso mondo della ricerca, dove a guidarla sono spesso solo piccoli indizi e, naturalmente, rigore scientifico e grande competenza in materia.
 
Elisabetta G. Rizzioli, Ph. D. Art History all’Università di Pisa, docente e giornalista pubblicista, socia dell’Accademia Roveretana degli Agiati, svolge attività di ricerca occupandosi segnatamente di questioni figurative neoclassico-romantiche e di arte italiana tra Quattrocento e Ottocento, autrice in particolare delle monografie Domenico Udine Nani 1784-1850, Osiride, Rovereto 2003 - con il successivo ampliamento Domenico Udine Nani 1784-1850. Aggiunte al catalogo delle opere, Osiride, Rovereto 2004; - «Antonio Rosmini Serbati conoscitore d’arte», La Garangola, Padova 2008; «Archimede. Immagini, iconografie e metafore dello scienziato siracusano dal Cinquecento all’Ottocento. Filosofia e scienza fra valori simbolici e paradigmatici», Osiride, Rovereto 2013; «L’officina di Leopoldo Cicognara. La creazione delle immagini per la Storia della Scultura», Osiride, Rovereto 2016; la «Collezione di tutti i disegni originali che hanno servito per intagliare le tavole della Storia della Scultura di Leopoldo Cicognara» (Vat. lat. 13748), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2016 («Studi e testi», 509), oltre che di numerosi saggi in riviste specializzate, collane editoriali, miscellanee e cataloghi.
 
Accennavamo al suo desiderio di conoscenza (lei stessa sottolinea più volte, durante il nostro incontro, che «non si finisce mai di imparare»), pensando a quanto forte debba essere questo impulso per indurla addirittura ad autofinanziarsi, lavorando a un’opera immensa e articolata come quella da lei recentemente pubblicata in autonomia, uno studio che le ha comportato anni e anni di sacrifici e di «duro lavoro» (detto usando un eufemismo).
E in un mondo dove tutto è monetizzato o quasi fa riflettere la sua voglia di non scendere a facili compromessi e questo suo tanto ammirevole quanto inusuale approccio alla vita.
Abbiamo avuto il piacere di porgerle alcune domande.
 

 
Fra i vari studi da lei condotti, anni fa ha pubblicato su Domenico Udine Nani, artista roveretano primo ottocentesco, nel 2003 una monografia con un’aggiunta al catalogo delle opere uscita nel 2004; può brevemente ricordarci come è nata l’idea di questa pubblicazione e come ha condotto la sua indagine?
«La monografia che prende l’abbrivio dall’incarico di una schedatura delle opere udiniane è nata sostanzialmente per mia volontà, in ordine all’ampliamento di un progetto di catalogazione delle opere di Domenico Udine Nani, segnatamente conservate in territorio trentino, che mi era stata affidata dal Museo Civico di Rovereto essendo assessore alla cultura Fabrizio Rasera.
«In realtà, questo progetto che inizialmente comprendeva solo le opere locali, lo ho poi autonomamente ampliato, a mie spese, estendendo lo studio del corpus udiniano ad una maggiore sua completezza. Una volta ricevuto l’incarico ho operato una prima ricognizione su fonti in gran parte inedite relative alla ricostruzione del profilo biografico dell’artista roveretano ma toscano d’elezione, che vive la maggior parte della propria vita a Firenze, chiede la naturalizzazione toscana e muore a Firenze venendo sepolto nei Chiostri di Santa Croce.»
 
«Considerate le opere ancora oggi conservate in territorio trentino ma eseguite invero a Firenze - fatti salvi i due cicli pittorici murali a fresco roveretani (uno dei quali già saccardo) e quello arcense, non potevo esimermi dal fare i conti con un'inventariazione per quanto possibile complessiva dell’opera di Domenico Udine che contemplasse dunque i lavori realizzati in territorio toscano. Considerevole parte della produzione udiniana, relativa ad esempio a commissioni della famiglia Demidoff rimane - ancora oggi in corso di recupero - da indagare, appartenendo al mercato collezionistico antiquario pubblico e privato.»
 
«In due delle quattro Appendici documentarie che corredano la monografia del 2003 - che con l’ampliamento occorso nel 2004 censisce in catalogo la storia artistica di oltre una settantina di opere udiniane - sono poi rispettivamente rubricate (Appendice I) una serie di opere relative all’antecedente, contemporaneo e di qualche anno successivo al curriculum accademico di Udine, parallelo itinerario di studio ed approfondimento, una ricerca formale fondata sulla copia e sul rispetto dei canoni - utile in occasione di altri lavori, a guisa di repertorio mentale, all’epoca ampiamente condiviso, cui fare riferimento, e non trascurabile integrazione delle sue entrate negli anni giovanili - consistente nel «copiar Quadri», a confronto con le più note scuole rappresentate alla Reale Galleria di Firenze e con l’opera raffaellesca allora più oggetto di repliche conservata nei Reali Palazzi, inteso a consolidare riflessioni, abilità, contenuti e stilemi di cui rimane evidente incidenza nella sua pittura. La produzione di una quarantina di copie tratte dai grandi maestri (o da quelli meno noti, ma non per questo meno significativi stilisticamente) delle scuole bolognese, francese, toscana e soprattutto veneziana - ritratti, studi di figura, bozzetti, soggetti mutuati da episodi mitologici, storici o letterari, scenari naturali - emerge infatti da un rilevante materiale documentario conservato presso l’Archivio Storico delle Gallerie Fiorentine qui integralmente trascritto; l’Appendice II dà invece conto del fatto che il 28 settembre del 1850 Giovan Battista Udine, fratello di Domenico, richiede il permesso di estrazione dal Granducato di Toscana per una trentina di tele ed un’ottantina di opere in carta - sommariamente connotate in un elenco articolato in 35 punti, - ottenendolo il successivo 5 ottobre. Si tratta dei lavori rimasti nell’abitazione dell’artista alla sua morte e destinati per legato ad Anna Udine vedova Cossali, sorella di Domenico e Giovan Battista; involti (in parte o totalmente e in più) che è verosimile credere siano proprio i disegni confluiti nella Storia della Scultura di Leopoldo Cicognara.»
 
Parliamo di un altro importantissimo lavoro, l’approfondito studio sulla «Storia della Scultura» del conte ferrarese Leopoldo Cicognara. Come e quando è nata l’idea di questo progetto?
«L’idea di questo progetto, concepito a distanza di tempo, parte dall’occasione dello studio condotto su Domenico Udine; lavorando al corpus delle opere udiniane mi ero imbattuta in un’incisione del Monumento del Marsuppini, un foglio sciolto, presente nella Biblioteca del Castello Sforzesco di Milano nella Civica Raccolta delle Stampe «Achille Bertarelli», recante le seguenti iscrizioni: «Tav. XIV.» (sul margine superiore destro dell’impronta); «Monumento del Marsuppini Scolpito da Desiderio da Settigano [sic] / in S.a Croce a Firenze» (nell’impronta in basso al centro); «Udine disegnò» (sul margine inferiore sinistro dell’impronta); «Musitelli incise» (sul margine inferiore destro dell’impronta); essa raffigura il monumento funebre di Carlo Marsuppini (Genova 1398 - Firenze 1453) - successore nel 1444 di Leonardo Bruni alla direzione della cancelleria fiorentina - situato nella chiesa di Santa Croce a Firenze e scolpito con ricercata eleganza e decoro nel 1455 da Desiderio da Settignano. L’indicazione «Tav. XIV.» poteva riferirsi ad una raccolta del genere di quella di incisioni a contorno curata da Pietro Benvenuti e dall’architetto fiorentino Luigi de Cambray Digny, ma appartenente invero ad una delle due tavole dedicate al monumento che corredano il secondo volume della Storia della Scultura di Leopoldo Cicognara - cfr. Tav. XIV e Tav. XIII (1816).»
 

 
Lo scorso 6 dicembre ha presentato a Lucca, presso la biblioteca statale, la sua ultima fatica. Potrebbe condividere con noi un ricordo dell’evento?
«Essere presentata dall’amico Carlo Sisi (che stimo e ammiro, ci conosciamo da una quindicina d’anni, quando presentò all’Accademia Roveretana degli Agiati la mia monografia su Domenico Udine Nani) è stato un apprezzamento che mi ha aperto il cuore.
«A Lucca ho presentato il mio lavoro, pubblicato nel settembre 2016, che si compone fra altro della schedatura del Vat. lat. 13738, che contiene i 686 disegni (in parte) occorsi per la traduzione incisoria delle 181 tavole di corredo alla prima edizione della Storia della Scultura e delle 185 per la seconda. Oltre alla ricognizione completa sulla Storia della Scultura disegnata e incisa il volume ascrive altresì l’analisi iconografica e la schedatura tecnico-scientifica dell’Album Cicognara conservato al Museo Correr di Venezia, pressoché inedito, come pure del registro cassa di Cicognara dal 1808 al 1832 (1808 / 1809. Cassa / Secondo Libro della mia Amministrazione, che comincia dopo il secondo mio Matrimonio in Venezia). Segnalo che alla fine del 2016 è stato pubblicato dalla Biblioteca Apostolica Vaticana con corredo di immagini il mio volume sulla Storia della Scultura disegnata, ovvero l’edizione critica della «Collezione di tutti i disegni originali che hanno servito per intagliare le tavole della Storia della Scultura di Leopoldo Cicognara» (Vat. lat. 13748).»
 
Da un punto di vista metodologico, come ha condotto la sua indagine e quanto è durata?
«Il dottorato di ricerca intrapreso nel 2008 all’Università di Pisa è stata l’occasione per concentrarmi sulla ricerca dei disegni occorsi per le tavole di corredo alla Storia - dunque anche udiniani; - si tratta di indagini che richiedono tempi molto lunghi. La pubblicazione segna il raggiungimento di una tappa molto significativa nei risultati, ma la ricerca si sa è inesauribile.»
 
L’officina di Leopoldo Cicognara. La creazione delle immagini per la «Storia della Scultura», che ha visto la luce nel settembre 2016, è un volume di oltre 1.000 pagine: come è strutturato?
«È anzitutto un REPERTORIO strutturato, al modo di quegli ottocenteschi, da testi ed appendici documentarie tecnico-scientifiche, con l’edizione critica del corpus iconografico che correda la Storia della Scultura, e la ricostruzione dei profili biografico-professionali dei suoi vari operatori, molti dei quali sconosciuti.»
 
Come nasce la prima Storia della Scultura - non degli scultori - (italiana)? In che modo Cicognara commissionava i disegni?
«L’organizzazione dell’atelier di Cicognara si organizza in merito all’analisi autoptica del Vat. lat. 13748, ripercorribile in ordine ai seguenti passaggi istituzionali e metodologici: accademia, studio, rilievo, laboratorio; maestranze talora ‘invisibili’; compiti dei disegnatori: selezione, veduta possibile, inquadratura, controllo dello spazio; metodi e strategie di reclutamento, geografia delle riprese.
«Nel momento in cui Cicognara otteneva i disegni(ni) a puro contorno commissionati ai vari giovani artisti frequentanti le accademie e gli istituti d’arte disseminati sul territorio nazionale li disponeva - per confronto comparativo - ad essere tradotti in incisione, preferendo la chiarezza didattica alla bellezza pittorica. Per quanto riguarda il reclutamento, Cicognara si rivolse verosimilmente ai direttori delle Accademie, suoi amici, congiuntamente a vari corrispondenti sodali.»
 
Quanti furono gli artisti coinvolti e qual era la loro provenienza?
«L’officina per la Storia disegnata e incisa si compone, fra disegnatori ed incisori che talora si alternano o svolgono entrambi i ruoli, di 50 artisti dichiarati mentre l’officina per la «Collezione» (BAV, Vat. lat. 13748) di (almeno) 51 disegnatori, non tutti dichiarati, per un totale di 64 artefici.
«L’identificazione dei vari (co)protagonisti è avvenuta attraverso numerose ricerche archivistiche effettuate sfogliando filze accademiche, registri anagrafici, atti accademici, volumi dei verbali delle congregazioni accademiche, cercando utili rinvii nelle strutture didattiche, nella corrispondenza epistolare ufficiale e privata, nelle ricevute economiche, nei numerosi registri delle matricole e libri degli studenti per ricomporre la biografia di ciascuno, segnatamente in relazione all’iter o ai vari itinera formativi intrapresi e perseguiti.»
 
«L’équipe di disegnatori, alcuni dei quali (parimenti incisori) di origine veneta (bellunese, mestrina, muranese, padovana, veneziana, veronese), registra componenti di provenienza eterogenea - aretina, bolognese, castelguelfese, corfiotta, faentina, ferrarese, fiorentina, friulana, genovese, imolese, lucchese, massese, milanese, modenese, napoletana, olandese, parigina, pavese, perugina, pisana, pistoiese, reggiana, romana, senese, ticinese, tirolese, varesotta - e solo alcuni di loro svolgono il proprio percorso formativo - iterandolo talora lungo un arco temporale anche ventennale - e la loro carriera presso l’Accademia veneziana, essendo per lo più, fatti salvi i vari aggreganti alunnati e pensionati, primo fra tutti quello romano, iscritti, allievi o docenti, presso le varie Accademie e gli Istituti di Belle Arti distribuiti sul territorio italiano.»
 
«Quanto all’équipe di incisori, invece, per la maggior parte di origine veneta - veneziana per Giovanni Girolamo Cipelli, Benedetto Musitelli e Zuliani (quasi certamente Felice e non Giannantonio), mirese ma padovana per Luigi Martens, muranese per Giambattista Torcellan, veronese ma veneziana per Gaspare Zorzi (che svolge il proprio breve iter formativo dapprima a Padova presso Vincenzo Giac(c)oni poi a Firenze alla Scuola di Incisione di Raffaello Morghen), bassanese per Antonio Bernatti, dalmata ma veneta per Giuseppe Dala - o di diversa provenienza - friulana per Giuseppe Borsato e Giacomo Gleria, ferrarese per Antonio Baruffaldi, Ferdinando Dalla Valle e Ignazio Dolcetti, romana per Domenico Marchetti e Tommaso Piroli, fermana per Giovanni Ruggieri, corfiotta per Dionisio Moretti, senese per Galgano Cipriani - essa afferisce complessivamente per formazione all’Accademia veneziana ed è composta prevalentemente da coetanei.»
 

 
I volumi editi nel 2016 sull’argomento sono quindi due?
«I volumi editi nel 2016 sull’argomento sono due, rispettivamente L’officina di Leopoldo Cicognara. La creazione delle immagini per la Storia della Scultura (Osiride, Rovereto) e la Collezione di tutti i disegni originali che hanno servito per intagliare le tavole della Storia della Scultura di Leopoldo Cicognara, afferente alla collana Studi e testi 509 della Biblioteca Apostolica Vaticana.»
 
Potrebbe raccontarci in cosa si differenziano e come sono strutturate queste due pubblicazioni?
«In sostanza, il volume vaticano dà conto della Storia disegnata, mentre il mio, in ordine ad una più articolata strutturazione, della Storia disegnata ed incisa, corredata fra altro, dal tracciato biografico dei 64 operatori dell’officina, dal punto di vista dei disegnatori e degli incisori. Spicca Domenico Udine quale privilegiato e copioso operatore dell’officina cicognaresca ed esempio emblematico di un processo di produzione iconografica.»
 
Ci sono stati momenti in cui è stata tentata di abbandonare tutto per dedicarsi a qualcosa di meno impegnativo?
«Non ho mai pensato di abbandonare il lavoro e di dedicarmi a qualcosa di più facile, non è nel mio stile. Mi sono sempre chiesta, invece, se fossi stata all’altezza di portarlo a termine. Si è trattato di un’indagine faticosissima in cui mi sono immersa totalmente, durante la quale un pensiero vigile e attento mi ha costantemente e faticosamente accompagnata senza alcuna possibilità di distrazione.»
 
Lei è una storica dell’arte indipendente, oltre che docente e stimata giornalista, si occupa da sempre di arte. Cosa significa, in termini pratici e anche da un punto di vista ideologico, lavorare in autonomia, rinunciando perfino ai patrocini delle istituzioni (che le sarebbero sicuramente stati riconosciuti, dato il particolare e indiscutibile valore culturale delle sue opere)?
«Se io ritengo che un argomento debba essere sviluppato nella sua interezza storico-critico-scientifica non mi sento di circoscriverlo in ordine al rispetto di un certo numero di pagine o di un certo costo.
«È precipuamente ed indiscutibilmente una questione di rigore scientifico nei confronti di ciò che sto indagando e studiando; ed è ovvio che ne segua imprescindibile l’autofinanziare integralmente la pubblicizzazione degli esiti più o meno eccedenti i desiderata. Come libera studiosa non mi sottopongo ovviamente a richieste di patrocinio, o tanto meno al giudizio talora di pseudocompetenti o di chi magari finge solo apparentemente di apprezzarmi.»
 
A Venezia è in corso una mostra dal titolo «Canova, Hayez, Cicognara. L’ultima gloria di Venezia» promossa dalle Gallerie dell’Accademia, curata da Paola Marini, Roberto De Feo e Fernando Mazzocca. Lungi dal fare polemiche, ci siamo un po’ stupiti, a dirla tutta, nell’apprendere che proprio lei che ha studiato in modo così approfondito e redatto una sorta di edizione critica della Storia della Scultura, opera più nota e rappresentativa di Leopoldo Cicognara, in qualità di cultrice della materia non sia stata coinvolta o interpellata a vario titolo né per questa mostra né per il convegno di studi che l’ha corredata. Questo suggerirebbe l’idea che non si sapesse nulla dell'edizione o la si sia voluta ignorare.
«Credo sia opportuno pensare che nessuno abbia saputo della pubblicazione dei miei due volumi, ovvero che si tratti invece di una voluta mancata presa in considerazione. Sono stata comunque invitata a partecipare al Convegno di studi tenutosi alla Biblioteca Ariostea di Ferrara lo scorso 18 novembre.»
 
Progetti futuri?
«Fra qualche tempo un volume che è in standby da alcuni anni relativo all’iconografia micaelita e la seconda edizione ricevuta, accresciuta ed aggiornata della monografia udiniana, dato il copioso apporto alla Storia della Scultura cicognaresca, correlata fra altro all’auspicabile restauro di alcune sue tele ed alla ristrutturazione di alcuni siti che ne ospitano i cicli pittorici. Valgano ad esempio il complesso conventuale di San Francesco a Prato ove, riposta nei locali adibiti a deposito in attesa di restauro, giace la Transverberazione di Santa Teresa dipinta nel 1822, già in pessime condizioni vent’anni fa ed oggi ulteriormente deturpata, e ancor più la chiesetta di Santissima Trinità - nel cessato Comune di Sacco - che versa in precarie e pericolose condizioni e per la quale auspico un celere intervento da parte della locale Soprintendenza, ove Udine affresca nel 1833 sulla volta della navata per commissione dal conte Giampietro Fedrigotti la Conversione di Saulo che ripropone sostanzialmente, nei personaggi e nell’impaginazione della scena, quella eseguita a Firenze per la chiesa di San Paolino, dipingendo nello stesso torno di tempo sulla controfacciata Dio Padre e angeli, e varie Decorazioni monocrome nel catino e nelle vele sopra le finestre del presbiterio, cui si aggiungono una serie di interventi di restauro pittorico nella cappella gentilizia e di tre tele di Gasparantonio Baroni Cavalcabò all’epoca ivi collocate. Ho di recente nuovamente effettuato una serie di rilievi fotografici nella cappella del giardino di Villa Bridi oggi de Probizer ove è in ottime condizioni l’affresco della Madonna Refugium Peccatorum dipinto da Udine nel 1831, e nel Palazzo Bossi Fedrigotti a Sacco di Rovereto (che in vendita dal 2011 potrebbe invece diventare, con i suoi stucchi, gli arredi, le suppellettili e la quadreria, una prestigiosa casa-museo comunale) ove - originariamente destinata all’altare della cappella gentilizia nella chiesetta della SS. Trinità - è da tempo conservata la Madonna Refugium Peccatorum del 1840.»
 
«Mi sto occupando in sostanza per dovere morale e civile (qualcuno in passato mi ha definito confidenzialmente la vedova Udine) e con nuova consapevolezza storico-critica di un futuro passato in ordine ad una sorta di risemantizzazione della produzione udiniana che possa indurre ad effettuare i doverosi necessari interventi di restauro filologicamente integrativi o conservativi o manutentivi che siano».

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it
 
 Riferimenti per acquisto pubblicazioni 
- Elisabetta Rizzioli, «Domenico Udine Nani 1784-1850», con prefazione di A. Stolzenburg, Osiride, Rovereto 2003, pp. 304; figg. 130 - EAN:9788874980017 - € 40,00;
- Elisabetta G. Rizzioli, «L’officina di Leopoldo Cicognara. La creazione delle immagini per la Storia della Scultura», Osiride, Rovereto 2016, pp. 1004 con illustrazioni - EAN:9788874982554 - € 90,00
- Elisabetta G. Rizzioli, La «Collezione di tutti i disegni originali che hanno servito per intagliare le tavole della Storia della Scultura di Leopoldo Cicognara» (Vat. lat. 13748), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 2016 (Collana «Studi e testi», 509), pp. 672; tavv. 112 - ISBN:978-88-210-0972-3 - € 110.00.

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