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Associazione Castelli del Trentino – Di Daniela Larentis

Per «Gli incontri del giovedì», Francesco Frizzera l’8 marzo parlerà a Mezzolombardo delle profughe trentine durante il primo conflitto mondiale – L’intervista

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Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato «Gli incontri del giovedì», organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, prosegue con l’appuntamento di giovedì 8 marzo 2018.
Il ritrovo si terrà come sempre alle 20.30 presso la Sala Civica di Mezzolombardo, Corso del Popolo 17, e avrà come protagonista Francesco Frizzera, il quale parlerà delle profughe trentine durante il primo conflitto mondiale.
 
Tutti gli incontri in programma godono del patrocinio della Regione Trentino Alto-Adige, della Provincia Autonoma Trento, della Comunità Rotaliana-Koenisberg e del Comune di Mezzolombardo e della collaborazione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, del Museo degli Usi e Costumi della gente Trentina. Sono, inoltre, riconosciuti da IPRASE e validi ai fini dell’aggiornamento del personale docente della Provincia Autonoma di Trento.
Ricordiamo che l’evento rientra fra quelli inseriti dall’Ordine dei giornalisti nell’ambito della Formazione professionale continua.
 
Due parole sul relatore prima di passare alle domande.
Francesco Frizzera, Ph. Dall’Università degli Studi di Trento, Scuola di Dottorato in Studi Umanistici, con una tesi di dottorato sui profughi trentini durante la Grande Guerra (2016), si interessa segnatamente al nazionalismo, identità e spostamenti di popolazione nelle aree di confine dell’impero asburgico (precedentemente, nel 2007, consegue presso l’Università degli Studi di Trento una laurea triennale con lode in Storia contemporanea e nel medesimo ateneo una laurea specialistica, con lode, nel 2009).
 
Attualmente svolge attività di ricerca post dottorato presso l’Università di Eichstätt-Ingolstadt, occupandosi di un argomento molto diverso, come racconta nell’intervista (fa parte della Commissione indipendente di storici a cui il Ministero federale tedesco dell’alimentazione e agricoltura ha assegnato il compito di analizzare la storia del Ministero come istituzione).
 

 
Quando l’Italia entrò in guerra nel 1915 il territorio trentino si trovò sulla linea del fronte. Cosa avvenne precisamente riguardo alla popolazione civile del Trentino dislocata sulla linea di combattimento?
«A partire dal maggio 1915 il Trentino venne tagliato in due dalla linea del fronte. La porzione settentrionale rimase sotto il controllo delle autorità asburgiche, che delegarono l’amministrazione civile all’autorità militare. I distretti meridionali, oltre la linea di difesa, vennero rapidamente occupati dalle truppe italiane ed amministrate dal Regio esercito per mezzo di un organismo creato a tal scopo presso il Comando Supremo, il Segretariato Generale per gli Affari Civili.
«Quanti si trovavano in prossimità della linea del fronte o nelle città fortezza (Trento, Riva) a nord dello stesso vennero evacuati per ordine delle autorità asburgiche, in buona parte sulla base di piani preordinati; gli sfollamenti, che coinvolsero 75.000 persone, avvennero per un mix di motivazioni umanitarie, militari ed economiche; dai report delle autorità austriache emerge tuttavia anche la volontà di liberare le retrovie del fronte dalla popolazione di lingua italiana, che veniva percepita come scarsamente affidabile.
«Questi evacuati vennero stanziati nelle regioni interne dell’Impero. Chi era sfollato con propri mezzi, poteva dimostrare un’utilità allo sforzo bellico o disponeva di denaro poteva stanziarsi in Tirolo, rinunciando all’assistenza statale (circa 12.000 persone). Gli altri vennero inviati nei Länder austriaci o di lingua ceca/tedesca. Dopo una sommaria divisione effettuata presso la stazione di perlustrazione di Salisburgo, questi vennero smistati in villaggi o in campi profughi di grandi dimensioni, chiamati Flüchtlingslager, costituiti di baracche di legno.
«Circa 20.000 finirono nelle baracche in Alta e Bassa Austria. Gli altri vennero dispersi in più di 3.000 villaggi, in piccolissimi gruppi, in Boemia, Moravia e Salisburghese, dove ricevevano un magro sussidio statale.
«Al contempo, a sud del fronte la stessa dinamica venne messa in moto anche dalle autorità italiane. Queste non disponevano di piani preventivi di evacuazione e quindi in un primo momento si limitarono a sfollare abitati che si trovavano sulla linea del fronte o in cui la popolazione aveva mostrato apertamente di non accettare l’arrivo delle truppe regie. Si tratta di evacuazioni numericamente limitate, che coinvolsero la Valle del Chiese, il Livinallongo e l’Altopiano di Brentonico.
«Solo dal maggio 1916 la situazione militare, caratterizzata dall’avanzata austriaca sugli Altipiani e i Valsugana, spinse le autorità ad evacuare massicciamente la popolazione verso le province italiane. Lo sfollamento coinvolse nel complesso 29.000 civili, che vennero sparpagliati in tutte le province del regno, in circa 270 località differenti, solitamente in colonie di medie dimensioni o in edifici abbandonati. A costoro venne corrisposto un sussidio statale parificato a quello dei profughi di cittadinanza italiana.
«Infine, non va dimenticato il fatto che altri trentini vissero il periodo bellico in esilio. 6-7000 persone circa lasciarono la regione entro il maggio 1915 e fuggirono nel Regno d’Italia, in parte per motivi ideali – ben riscontrabili nei circa 700 volontari trentini nel Regio esercito – in parte per opportunismo.
«Altri 2.500 trentini circa, fatti prigionieri dall’esercito russo durante le campagne galiziane del 1914, vennero rimpatriati in Italia dal campo di prigionia di Kirsanov nel 1916 e rimasero nel Regno fino alla fine delle ostilità. Inoltre, circa 2.500 persone vennero internate o confinate dalle autorità austriache per sospetti – spesso non verificati – di irredentismo, mentre altre 1.500 persone circa venivano internate dalle autorità italiane per sospetti di austriacantismo.»
 
L’incontro di giovedì 8 marzo verterà sulle profughe trentine durante il primo conflitto mondiale: su quale aspetto verrà focalizzata maggiormente l’attenzione?
«La vicenda presenta molti aspetti di interesse, dato che il gruppo dei profughi sfollati in Austria si vide progressivamente spogliato di diritti civili dal proprio Stato, mentre per i profughi sfollati in Italia il primo contatto con la futura madrepatria fu decisamente traumatico. Le pressioni identitarie a cui furono sottoposti i due gruppi furono fortissime. Le politiche di aiuto e assistenza messe in atto dai due stati nemici in molti aspetti si assomigliano. L’intera vicenda andrebbe poi interpretata alla luce di quanto accade nel frattempo in Europa, dove si contano 16 milioni di profughi di guerra, la cui sorte è per molti versi analoga.
«Il tema sella serata, pur presentando per sommi capi questi aspetti, si incentrerà sulla questione di genere. Infatti le storie dei profughi trentini sono in grandissima parte storie di profughe. Son donne in grandissima parte le scriventi che hanno lasciato un diario o una memoria di questa esperienza. Sono le donne trentine – più che gli uomini - che devono affrontare la sfida inedita della mobilità imposta e provvedere a sostentare famiglie numerose, composte di numerosi bambini e anziani.
«Questo aspetto è stato spesso trascurato dalla storiografia, per il semplice fatto che i comitati di soccorso e la burocrazia in genere che si occupava delle sfollate erano connotati al maschile e tendevano ad enfatizzare il proprio attivismo, piuttosto che quello delle sfollate, cui erano riservati spazi d’autonomia marginali.
«Nel corso della serata si metteranno in mostra non tanto la agency dello Stato, oramai en nota, ma quella delle sfollate, che sfruttano ampiamente gli spazi d’azione lasciati dalle (apparentemente) rigide maglie burocratiche per acquisire autonomia e prendere, non senza difficoltà, decisioni importanti per il futuro familiare. Per far questo analizzeremo le vicende delle sfollate sia a nord che a sud del fronte.»
 

 
Dottore di ricerca presso l’Università degli Studi di Trento con una tesi sui profughi trentini durante la Grande guerra (2016): come ha condotto lo studio sulle profughe trentine da un punto di vista metodologico?
«La tesi di dottorato non si incentra solo sulla questione di genere e tematizza molti atri argomenti, che comprendono anche un’analisi dettagliata delle politiche statali e della costruzione della memoria dell’evento. In particolare, analizza come la vicenda abbia concorso a mutare, in maniera lenta ma inesorabile, il rapporto delle profughe col proprio spazio immaginato e a plasmare, sulla base di meccanismi difensivi, il loro rapporto con lo Stato, che perde progressivamente di legittimità. Si tratta di un lavoro complesso e voluminoso (circa 670 pp), la cui lettura non sempre è immediata. Una sintesi dei risultati di ricerca verrà pubblicata a breve per l’editore il Mulino, col titolo Cittadini dimezzati. I profughi trentini in Austria-Ungheria e in Italia (1914-1919).
«Per quanto concerne la metodologia, va sottolineato con forza il fatto che questo lavoro si colloca alla fine di un percorso di ricerca storica che ha caratterizzato la società trentina fin dagli altri Ottanta del secolo scorso. Senza l’apporto di studiosi come Diego Leoni, Camillo Zadra, Luciana Palla, Manuela Broz, Paolo Malni, che prima di me hanno analizzato con acume e serietà la vicenda, togliendola dal limbo storiografico, non sarebbe stata possibile definire nel dettaglio la ricerca, che fa largo uso delle loro acquisizioni e della documentazione raccolta presso l’Archivio della Scrittura Popolare conservato presso la Fondazione Museo Storico del Trentino.
«Gli aspetti peculiari della ricerca riguardano più che altro lo scavo archivistico sequenziale e dettagliato dei fondi degli archivi centrali e regionali, che finora era stato effettuato solo da Paolo Malni e che aveva portato alla stesura del volume Gli spostati, edito dal Laboratorio di storia di Rovereto nel 2015. Sono stati analizzati i fondi archivistici dell’Allgemeines Verwaltungsarchiv e del Kriegsarchiv di Vienna, i fondi archivistici delle sezioni d polizia degli archivi regionali di St. Pölten e Linz, la documentazione del Tiroler Landesarchiv e, infine, i fondi del Comando Supremo, della Presidenza del Consiglio, della Direzione Generale Pubblica Sicurezza e dell’Alto Commissariato per i profughi presso l’Archivio Centrale dello Stato di Roma. In tutto è stato integrato con quanto reperibile in regione, all’Archivio di Stato di Trento e, soprattutto, presso l’Archivio Storico della Fondazione Museo Storico.
«L’aspetto più qualificante della tesi è dato probabilmente dal fatto che questa documentazione è stata messa in relazione con altri casi di studio già analizzati sul quadrante europeo, per capire se la vicenda dei trentini sia o meno un’eccezione all’interno delle migrazioni forzate che caratterizzano la Grande Guerra. L’applicazione di chiavi di letteratura innovative (in particolare per la Monarchia asburgica), che non hanno ancora fatto breccia nel mondo storiografico italiano (se si fa eccezione per un recente volume di Marco Bellabarba sull’Impero asburgico edito da il Mulino), fa sì che risposte a questo insieme di quesiti non siano scontate e che tengano conto di una variabilità di opzioni molto marcata.»
 
In letteratura il tema delle profughe trentine durante la Grande guerra non era forse mai stato trattato in maniera approfondita. Per quale ragione, secondo lei?
«Non si può dire che il tema delle profughe trentine durante la Grande Guerra non sia stato trattato affatto: ci sono buoni studi di Luciana Palla e di Anna Pisetti sul tema. Tuttavia la vicenda in generale sconta i limiti di una storiografia piuttosto polarizzata. Esistono in Italia riviste che si occupano di storia di genere (Genesis, DEP), che si caratterizzano però per essere settoriali.
«Di fatto, all’interno di questi spazi si nota un’attenzione marcata per il tema, ma questo fatica ad essere trattato in contesti meno connotati e sparisce di fronte a questioni che sembrano più centrali, anche perché dibattute pubblicamente. Mi riferisco in particolare al tema della fedeltà o dell’identità dei trentini, o al tema delle performance amministrative dell’Impero asburgico, troppo spesso strumentalizzato in campo politico o giornalistici, senza che si faccia ricorso alle fonti o, quantomeno, ad una conoscenza storica approfondita, che tenga in conto anche la letteratura prodotta oltre confine.
«Accade così che un fatto evidente, come la circostanza che la totalità o quasi degli adulti sfollati dal Trentino fosse costituita da donne, cada in secondo piano, non di rado per mancanza di sensibilità o per dinamiche storiografiche generali. In Austria ad esempio esiste una fiorente tradizione di analisi di genere sulla prima guerra mondiale (Gunda Barth-Scalmani, Innsbruck; Christa Hammerle, Wien), ma gli studi di questo filone di incentrano tradizionalmente su donne di lingua tedesca e quindi le trentine – ma anche le rutene, le polacche, le slovene – ne restano escluse. In Italia il tema dei profughi in generale è stato ai margini della narrazione storica per lunghissimo tempo, tanto che bisogna aspettare il 2006 per avere pubblicata la prima monografia sui profughi di Caporetto (500.000 persone) e il 2017 per la pubblicazione di una raccolta di saggi complessiva sulle migrazioni forzate in Italia nel XX secolo (Luca Gorgolini, Le migrazioni forzate nella storia d’Italia, Il Mulino, 2017). La questione delle profughe, storia nella storia, emerge pertanto molto tardi.»
 
Ha partecipato a numerosi convegni e workshop internazionali sul tema della Grande guerra e dell’incidenza degli eventi bellici sulla popolazione civile delle aree di confine, pubblicando alcuni saggi sul tema. Potrebbe darci qualche informazione a riguardo? A cosa sta lavorando attualmente?
«Partecipando a convegni e workshop all’estero si nota con costanza un fatto: il caso trentino è eccezionale durante la Prima Guerra Mondiale, ed un vero e proprio laboratorio dove studiare dinamiche di modernità. All’estero c’è un’attenzione crescente verso il nostro territorio, inteso come tassello importante per comprendere dinamiche complesse.
«Purtroppo le pubblicazioni sul Trentino – e di studiosi trentini – sono quasi tutte in italiano e sono pensate per una circolazione sul mercato editoriale locale. Invece, questi testi, di cui alcuni sono di ottima fattura, meriterebbero attenzione anche fuori dai confini regionali. Si tratta, a ben vedere, di una caratteristica della storiografia italiana, poco propensa ad internazionalizzarsi. Si nota, tuttavia, anche il fatto che gli studiosi trentini che si sono occupati dell’argomento finora non abbiano sfruttato a fondo le potenzialità comparative di questo caso così particolare.
«Personalmente ho avuto modo di scrivere alcuni saggi sul tema, prevalentemente su riviste italiane (Qualestoria, Studi Trentini. Storia, Deportate, esuli, profughe) o su volumi collettanei usciti in Italia, ma i testi o colloqui che più hanno avuto riscontro o peso specifico sono quelli che hanno avuto pubblicazione all’estero (cito ad esempio M. Mondini, F. Frizzera, Beyond the borders. Displaced persons in the Italian linguistic space during the First World War: a complex national problem, in P. Gatrell, L. Zhvanko (edd), Europe on the Move. Refugees in the Era of the Great War. 1914-1918, Manchester, Manchester University Press, 2016, pp. 177-196).
|Questo per segnalare come al di fuori del Trentino ci sia fame di conoscenza sul Trentino come caso di studio; una fame che studiosi anglofoni o tedescofoni non riescono a placare non conoscendo l’italiano, o non avendo le competenze linguistiche per interpretare diari scritti da illetterati.
«Si tratta tuttavia di una fame che le pubblicazioni edite fino ad oggi non sono riuscite ad accontentare, dato che i testi sull’argomento hanno circolazione limitata, alle volte non prendono in considerazione chiavi di lettura internazionali aggiornate e sono, come le loro fonti scritti in italiano.
«Al momento io mi occupo di un argomento molto diverso. Dal novembre 2016 faccio parte della Commissione indipendente di storici che è stata incaricata dal Ministero federale tedesco dell’alimentazione e agricoltura di indagare (e scrivere) la storia del Ministero come istituzione. Sono inquadrato come ricercatore post-doc presso l’Università di Eichstätt-Ingolstadt e sono stato incaricato, sotto la supervisione e in collaborazione con Gustavo Corni (Università di Trento), di analizzare le politiche agricole e alimentari del Reich per il periodo 1914-1933.
«Si tratta di un compito molto complesso, che prevede l’analisi di fondi archivistici smisurati – il Reichsernährungsministerium, il Finazministerium e la Reichskanzlei al Bundesarchiv di Berlino; il Preussisches Geheimes Staatsarchiv a Berlino; l’Hauptstaatsarchiv a Monaco di Baviera; i lasciti personali dei ministri dell’agricoltura a St. Augustin e Koblenz – ma di grande interesse.
«Infine, sono stato da poco integrato nel gruppo di ricerca triennale istituito presso l’Università di Oxford, con un progetto dal titolo Hunger draws the Maps. Blockade and Food Shortages in Europe, 1914-1922, col compito di analizzare le reazioni degli organismi statali in tutta Europa alla carenza di cibo del periodo bellico e post-bellico in termini di imposizione di calmieri, dazi doganali, creazione di economie coatte di raccolta e distribuzione di generi alimentari.
«Nel corso dell’ultimo anno ho poi rielaborato la mia tesi di dottorato in forma di libro, rendendo il lavoro di ricerca un testo dalle dimensioni editoriali più consone – circa 260 pp – che uscirà a breve (ed. Il Mulino).»
 
Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it

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