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«Quando la Chiesa condannò l’illuminista Pilati» – Di Daniela Larentis

Il saggio scritto dall’avvocato Giulio Busetti e dal giornalista Luigi Sardi propone integralmente il processo criminale contro lo studioso trentino del 700

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Giulio Busetti.
 
Un grande protagonista dell’Illuminismo trentino, condannato nel 700 a seguito di un processo criminale celebrato presso il Castello del Buonconsiglio, a Trento, è l’argomento trattato nel saggio intitolato «Quando la Chiesa condannò l’illuminista Pilati», di Giulio Busetti e Luigi Sardi.
L’eclettica figura di Carlo Antonio Pilati non è ancora molto conosciuta, l’illustre cittadino di Tassullo oltre ad essere stato un eccellente avvocato è stato docente di diritto a Trento e in Germania, nonché scrittore, viaggiatore, filosofo, un anticipatore dei tempi che meriterebbe di essere ricordato nelle scuole, quale protagonista dell’Illuminismo.
Un personaggio dotato di grande intelligenza e «generosità sociale», come viene evidenziato nella pubblicazione.
 
Due parole sugli autori prima di passare all’intervista.
Giulio Busetti è nato a Trento il 3 dicembre 1937. E’ avvocato iscritto all’albo professionale del circondario del Tribunale di Trento dal 1961 e a Trento esercita tuttora la professione.
«Quando la Chiesa condannò l’illuminista Pilati» rappresenta la sua prima esperienza di una ricerca storica.
Luigi Sardi è nato a Como nel 1939; è giornalista. Entrato nel marzo 1959 nella redazione di Trento del giornale Alto Adige, vi è rimasto per quarant’anni. I suoi libri più recenti sono: «Il pugno e la rotativa, il 68 nella stampa trentina»; «Il Trentino nella Grande Guerra»; «Sulla Torre del Castello il Tricolore»; «Quando l’Austria catturò Battisti»; «1945 dalla guerra all’autonomia» e «Novembre 1966 l’alluvione».
Abbiamo avuto il piacere di incontrare l’avvocato Giulio Busetti e di porgergli alcune domande.
 
«Quando la Chiesa condannò l’illuminista Pilati» è il titolo del saggio di cui è autore. Chi vi ha collaborato e a che titolo?
«Vi ha collaborato Luigi Sardi, ci siamo divisi le argomentazioni; io mi sono dedicato al processo criminale contro Carlo Antonio Pilati, celebrato dal gennaio 1768 all’aprile 1769 presso il Castello del Buonconsiglio davanti al giudice dell’Inquisizione del Principato vescovile di Trento, che si è concluso con la sua condanna all’esilio da tutti i territori del Principato (è necessario sottolineare, peraltro, che tale condanna venne revocata l’anno successivo, sembra per iniziativa dell’Imperatore Giuseppe II) e all’elogio funebre di Francesco Stefano de’ Bartolomei, giureconsulto di Pergine contemporaneo e amico di Pilati.
«Luigi Sardi ha affrontato l’argomento più generale dell’Illuminismo, inquadrando la situazione nel periodo storico di riferimento.»
 
Nel volume viene menzionata un’importante figura storica. Chi era brevemente Carlo Antonio Pilati?
«Carlo Antonio Pilati è una personalità singolare, per vari motivi. Prima di tutto per la grande intelligenza che ha dimostrato. Era nato il 28 dicembre del 1733 a Tassullo (Trento), in Val di Non, un borgo rurale che allora era completamente sconosciuto.
«Iniziò gli studi, nel 1740, a Salisburgo presso il collegio imperiale dei nobili Rupertinum, diplomandosi nel 1749. A Salisburgo non si trovò assolutamente bene, in quanto diceva che gli intellettuali erano conservatori, criticava il loro insegnamento usando aggettivi severi e spregiativi. Dopo gli studi salisburghesi frequentò le università di Lipsia e di Gottinga.
«Successivamente, tra il 1750 e il 1758, compì i primi viaggi europei in Italia, in Germania, in Danimarca, in Olanda e in Inghilterra, rientrando frequentemente a Tassullo, ove nel 1754 si sposò con la nobile Maria Caterina Rigos di Malosco, da cui ebbe una sola figlia, Leopoldina.
«Poi, insegnò diritto civile a Trento, presso il liceo dei Gesuiti (nel palazzo dove ora si trova la biblioteca comunale) dal 1758 al 1760. Dopo l’insegnamento a Trento partì per un viaggio in Germania, insegnando diritto all’università di Helmstedt dal 1760 al 1761. Abbandonò quindi la città tedesca e, prima di tornare a Trento, si recò in Olanda. Nel 1764 pubblicò il suo primo lavoro.
«La personalità di Pilati è molto interessante, anche con riguardo ai suoi sentimenti nazionali, egli afferma espressamente di essere italiano.
«In una lettera che scrisse allo zio afferma la mia patria è l’Italia. Nutriva questo sentimento nazionale (anche se non erano ancora nati gli Stati nazionali), tanto è vero che il libro fondamentale da lui scritto e pubblicato nella sua prima edizione in forma anonima, La riforma d’Italia, non riguardava le riforme in generale delle leggi, ma riguardava la riforma d’Italia, riforma tesa all’abbattimento del potere temporale della Chiesa a favore del potere laico dei principi o delle repubbliche e in particolare dell’eliminazione del potere politico-economico delle comunità monastiche e della strumentalizzazione della religione, affrontando altresì i problemi insoluti relativi alle riforme economiche, agricole, commerciali, attività che erano in stato di degrado in Italia.
«Pensare al figlio di un notaio modesto di Tassullo che riesce a fare tutto ciò che lui ha fatto, la dice lunga su questo personaggio. Carlo Antonio Pilati è stata una persona illuminata in tutti i sensi. Egli è oggetto di studio da parte degli storici, ma è conosciuto soprattutto dagli specialisti, non è una figura popolare. Un grande storico italiano, Franco Venturi, gli ha dedicato nel libro L’illuminismo riformatore un posto d’onore. Stranamente, egli non è una figura popolare nella cultura trentina.
«Egli era inviso al Principe Vescovo, Pietro Virgilio Thun, tant’è che durante il suo governo fu vittima di un’aggressione fisica ordita da Gianbattista Gervasi, assessore e giudice civile e penale delle valli di Non e di Sole, che gli causò la perdita parziale della vista.
«Dopo quel fatto pare che avesse ridotto i suoi viaggi all’estero. Si ritirò allora a Tassullo dove continuò a svolgere la professione di avvocato, difendendo in particolare le comunità del Principato, come quella di Fiemme, ricoprendo anche importanti incarichi durante l’occupazione napoleonica.»
 
Perché era osteggiato?
«Era osteggiato perché era contrario al potere ecclesiastico. Lui era accusato ingiustamente di eresia. Lottava contro il potere economico della Chiesa, contro il potere politico e contro le ingiustizie.
«È stato un avvocato brillante e ha difeso moltissimi bisognosi, indigenti, quindi non è che lui mirasse a un potere politico o a un potere economico, d’altro canto il suo libro principale La riforma d’Italia si inquadra in tutta quella ideologia preilluministica che poi porterà alla rivoluzione francese.
«Non che lui sia stato rivoluzionario, era letto e ammirato da molti filosofi illuministi di Francia, di cui era anche amico. D’altro canto i giudizi che dava sul Trentino e su Trento erano particolarmente severi. In una sua lettera disse di Trento che è la città dove vanno a confluire tutti i luoghi comuni dell’Italia e della Germania
 
Cosa vi ha colpiti maggiormente di questo personaggio?
«Siamo rimasti particolarmente affascinati dalla sua inquietudine intellettuale. Se pensiamo ai tempi in cui si è svolta la sua vita, i viaggi da lui compiuti in Europa, andando fino in Inghilterra, fino in Danimarca, a Parigi, sono avventurosi; lui non era eretico ma anticlericale nel senso che era nemicissimo al potere temporale della Chiesa.
«Era comunque religioso e credente, tant’è che da Parigi portò i tessuti per i paramenti della Chiesa di Tassullo (conservati a Tassullo in parrocchia). La sua produzione letteraria fu enorme. Fra le varie pubblicazioni al suo attivo dobbiamo ricordare quella sua fondamentale. Di una Riforma d’Italia per la quale negli anni 1768-1769 subì il processo innanzi al Tribunale dell’Inquisizione, in esito al quale egli venne condannato all’esilio dal Principato, condanna peraltro revocata nel 1770, cioè un anno dopo la sentenza, da Giuseppe II.
«Numerose, oltre a quella citata, sono state altre opere anche di diaristica, scritte in italiano, in latino, in francese e in tedesco.
«L’aspetto interessante della personalità di Pilati è proprio questo desiderio di conoscere, tanto è vero che nel libro richiamo Dante Alighieri che descrive Ulisse: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”.
«Pilati oltre ad essere filosofo, al giorno d’oggi diremmo politologo, fu scrittore, viaggiatore, i suoi libri sui viaggi sono interessantissimi, fu un grande avvocato. Si occupò anche di diritto matrimoniale, esprimendo il suo favore al divorzio. Meriterebbe di essere ricordato e studiato, la sensazione è che sia troppo poco conosciuto, sarebbe utile e opportuno che fosse oggetto di studio nelle scuole trentine e non solo, quale protagonista dell’Illuminismo, così come meriterebbe che gli venisse dedicata un’opera a Trento, un busto per esempio, accanto a quelli presenti dedicati a illustri personaggi trentini, ricordati in piazza Dante.»
 
Quando è nata l’idea di questo volume?
«Da molto in realtà, ma non avevo mai il tempo di realizzarla. Ad un certo punto mi sono recato all’Archivio Diocesano di Trento, davvero magnifico, dove ho potuto reperire i documenti relativi al processo. Ho tradotto la parte in latino, non particolarmente ostica trattandosi di un latino tardo, quindi non un latino ciceroniano.
«Ho poi scoperto che in biblioteca comunale c’era l’elogio funebre di Pilati di Francesco Stefano de’ Bartolomei di Pergine, il quale, amico e particolare estimatore del Pilati stesso, era anche lui giureconsulto e aveva insegnato anche lui a Trento. La Curia vietò che venisse pubblicato l’elogio funebre alla morte di Pilati e che, pare, sia tuttora inedito e ora pubblicato nella sua integrità.»
 
Il libro pubblica integralmente il processo contro Pilati, celebrato presso il Castello del Buonconsiglio. Ci potrebbe raccontare a grandi linee come si svolse?
«Si tratta di un processo inquisitorio. La caratteristica del processo inquisitorio è che veniva istruito inizialmente senza la presenza dell’imputato dalla Magistratura dell’Inquisizione. Quello che oggi si chiamerebbe indagato non veniva avvertito se non prima della lettura della sentenza, alla quale poteva presenziare.
«In questo caso Pilati è rimasto contumace, non si è costituito in giudizio per un evidente motivo di sicurezza. Gli imputati non venivano appunto interrogati durante l’istruttoria. La cosa interessante è che in definitiva non c’è ombra di dubbio che dall’istruttoria processuale emerse che fu lui l’autore della Riforma d’Italia.
«Il processo concerneva l’identificazione dell’autore e il luogo in cui era stato pubblicato il libro. Le prove indicavano lui quale autore del volume, il luogo della pubblicazione era invece incerto, però gran parte dei testimoni affermarono che era stata pubblicata a Villafranca, mentre sembra che in realtà il libro sia stato pubblicato a Coira, in Svizzera.
«Una curiosità, nei verbali delle deposizioni inerenti al processo, fra i testimoni appaiono tanti cognomi trentini, tuttora noti, che sembrano indicare delle professioni che sono state tramandate nel tempo, per esempio uno dei testimoni fu il tipografo Monauni, un cognome da associarsi al nome della libreria situata in centro città fino a qualche anno fa; c’era poi Stefenelli che faceva il praticante avvocato e molti altri.
«È interessante notare che il censore più severo non fu il Principe Vescovo ma Maria Teresa, la quale pur essendo una riformatrice era dal punto di vista religioso rigorosamente conservatrice (emanò degli editti censori particolarmente severi).
«Il Capitano del Circolo di Rovereto, un certo Conte Gasparo Migazzi, scrisse a Maria Teresa a Innsbruck, avvertendola, poi la notizia giunse a  Vienna. Gli aggettivi che vennero utilizzati nei decreti per descrivere la pubblicazione messa all’indice erano eloquenti, i libri proibiti contenevano «argomenti falsi, calunniosi, oltraggiosi, temerari, scandalosi, erronei, empi ed eretici.»
 
C’è un messaggio, un pensiero, che lei vorrebbe trasmettere attraverso questa pubblicazione?
«Il pensiero che vorrei trasmettere è il principio etico di Pilati, scritto in latino, la cui traduzione è: Non ci asserviamo a nessuna dottrina, non obbediamo all’autorità di nessuno, raccogliamo e meditiamo da qualsiasi parte provenga ogni cosa ottima per raziocinio e discernimento. Al contrario ricusiamo le cose che sono cattive, oppure perverse, o sciocche e incompatibili con la ragione, se anche sono dette o scritte da chi è considerato ottimo. Il suo pensiero non era strumentale, mai.
«Aveva tanti nemici, è stato uno spirito liberissimo, libero da qualsiasi condizionamento da parte del potere, da parte delle religioni, da parte dei ricatti economici e di ogni tipo. Egli morì confortato dalla religione, a cui sempre era rimasto fedele, il 27 ottobre 1802.»
 
Chi volesse acquistare il libro dove lo può trovare?
«A Trento, in Via Santa Croce, presso la libreria Ancora e presso la libreria Ubik.»
 
Progetti futuri?
«Ho scritto questo libro per passione. Pur non avendo nessun programma al momento, ho recentemente interessato un amico che ha contatti con Innsbruck e con Vienna, per vedere se sia possibile ottenere i documenti del processo in cui Pilati difese la comunità di Fiemme.
«Il Principe Vescovo voleva espropriare la comunità dei beni, ci fu una causa civile. La comunità di Fiemme fu soccombente in primo grado e poi a Vienna le diedero ragione. I documenti pare siano a Vienna, scritti in gotico. Ora valuterò se proseguire nella ricerca o meno.»
 
Ci sarà una presentazione ufficiale in calendario?
«Probabilmente a Tassullo, non è ancora stata fissata la data».
 
Pilati fu un sostenitore dei diritti umani e un difensore degli oppressi, valori che, assieme alla libertà, alla giustizia e sicurezza, nonché alla solidarietà, sono alla base della creazione dell’Unione Europea, assicurando una pace che dura, ormai, da più di 70 anni. A tal proposito, le vorremmo porgere un’ultima domanda, avvocato Busetti. C’è una pubblicazione di Norberto Bobbio che raccoglie la sua riflessione sulla pace e sulla guerra, intitolata «Il terzo assente» Sarebbe l’assenza di questa figura che renderebbe i conflitti internazionali non risolvibili mediante il diritto e che li riporterebbe alla legge del più forte. Lei si sente in sintonia con questa visione, crede, in sostanza, che la costruzione di un ordinamento sovrannazionale cosmopolitico potrebbe portare in un futuro al superamento della guerra e alla creazione della pace? 
«Nella prefazione ho definito Carlo Antonio Pilati un antesignano del civis europaeus, pur in un’Europa in cui gli stati erano ancora lontani dalla loro costituzione nazionale e la sua unità politica era estranea al pensiero di chiunque.
«Io sono europeista, quando avevo 18 anni ero iscritto al Movimento Federalista Europeo. Soltanto l’irragionevole può considerarsi non europeista al giorno d’oggi.
«Io credo che il problema della pace e il superamento della guerra in Europa, dentro i confini europei, sia già risolto. Io non credo che si possa pensare che da qui a X anni ci possa essere una guerra fra paesi europei; è nella natura delle cose, ormai le economie dei vari stati sono talmente integrate l’una con l’altra che è assurdo pensare a una guerra o a un eventuale conflitto fra paesi membri.
«Se domani ci sarà una autorità sovrannazionale unica a cui gli stati dovranno obbedire, qualora gli stati dovessero venire espropriati dei loro poteri sovrani o di parte dei loro poteri sovrani, come succede in altre realtà (negli USA per esempio), non potrà che essere una svolta positiva.
«Sarei favorevole a questa possibilità. La mia coscienza è europea, mi sento però anche italiano, le due cose non si escludono a vicenda, pur essendo orgoglioso della cultura a cui appartengo.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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