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Aurelio Laino: «68 Pop Revolution» – Di Daniela Larentis

Il documentario indaga il ’68, smontando alcuni luoghi comuni di una stagione analizzata anche da uno dei protagonisti del movimento studentesco, Marco Boato

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Proiettato in versione ridotta il 15 maggio presso il Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale a Trento, il documentario sulla stagione storica che ruota attorno al ’68 del regista trentino Aurelio Laino, «68 Pop Revolution», è andato in onda in quattro puntate su Sky Arte il 25 maggio e il 1° giugno 2018 (anteprima presentata al Film Festival di Trento).
Un documentario davvero interessantissimo prodotto con il sostegno della Film Commission di Trento e Torino e della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto che, celebrando il cinquantenario del ’68, copre un ampio arco temporale, dalle prime manifestazioni studentesche del ’66 fino alla strage di piazza Fontana e alla manifestazione studentesca che seguì quel tragico evento, cercando di smontare false interpretazioni e visioni semplicistiche.
 
Piacevole, fluido, esaustivo, il filmato ripercorre le vicissitudini di quegli anni, i cambiamenti di costume, i fatti di cronaca, anche attraverso la voce di chi quel periodo lo ha vissuto.
Sono state infatti inserite le interviste di quelli che sono stati i protagonisti di quella rivoluzione, da Mario Capanna a Guido Viale, al trentino Marco Boato, ma anche le testimonianze di esponenti del mondo musicale come il cantautore Paolo Pietrangeli o Shel Shapiro, tanto per citarne alcuni.
Quello che emerge è che gli studenti della allora neonata Facoltà di Sociologia non erano «figli di papà», per lo più viziati e non impegnati, al contrario, chiedevano un rinnovamento e una più ampia partecipazione democratica alla vita dell’Università, erano lontani quindi dallo stereotipo dello studente sessantottino poco interessato allo studio.
 
Il movimento, caratterizzato da una voglia di cambiamento e da uno spirito gioioso, nacque a Trento ma si diffuse in tutto il mondo, fu un fenomeno globale.
Il filmato proposto piacerà sicuramente non solo a chi ha vissuto il 68, ma anche ai ragazzi delle generazioni successive, in particolare a quelli nati dopo un’altra rivoluzione, quella digitale (i cosiddetti nativi digitali), i quali potranno meglio comprendere le conquiste delle generazioni che li hanno preceduti.
Abbiamo rivolto ad Aurelio Laino alcune domande, incontrandolo a Sociologia in occasione della proiezione in forma ridotta del documentario.
 

Aurelio Laino.
 
Quando è nata l’idea di questo documentario e di che cosa parla in breve?
«L’idea è nata un paio di anni fa. Ora non vivo più a Trento, ma ho vissuto in questa città per molti anni. Ho pensato che il ’68 fosse un movimento in cui Trento ha giocato un ruolo di primissimo piano, un ruolo da protagonista, è in questa città, infatti, che partono le prime occupazioni, è qui che vi sono alcuni dei leader più importanti del movimento studentesco del ‘68, pensiamo a Marco Boato, a Mauro Rostagno, un movimento che in questa città assume i tratti più sperimentali, gli studenti non hanno paura di confrontarsi con le istituzioni, chiedono, anzi, di essere coinvolti nel cambiamento. Il documentario parla del ’68 e degli anni che lo hanno preceduto e seguito, dall’inizio del ’66 fino a giungere al dicembre 1969, a piazza Fontana, anni in cui la società è cambiata in maniera drastica».
 
Come è avvenuta il reperimento e l’analisi delle fonti?
«Il progetto di ricerca è stato finanziato dalla Fondazione Caritro, per cui abbiamo analizzato i giornali d’epoca, i molti documenti dell’archivio del Museo storico, in questo modo ho avuto modo di scoprire un mondo del tutto diverso da quello che pensavo».
 
Che obiettivo si pone questo film?
«Questo film si pone l’obiettivo di distruggere il luogo comune che ruota attorno al ’68; il luogo comune dice che questi studenti sessantottini erano dei figli di papà, viziati, poco interessati allo studio. In realtà non c’è niente di più lontano dalla verità, basta andare a vedere i documenti che loro hanno prodotto qui, nella Facoltà di Sociologia, durante le occupazioni fra il ‘66 e il ’68, leggere quei documenti. Questi studenti erano persone molto interessate allo studio, volevano studiare meglio, capire di più».
 

 
Uno dei protagonisti di questa stagione è stato l’ex studente trentino Marco Boato, sociologo, giornalista, ricercatore universitario, scrittore e più volte parlamentare, nonché esponente del movimento ecologista, autore del volume intitolato «Il lungo ’68 in Italia e nel mondo», edito da E LS La scuola, un libro definito da lui stesso «né nostalgico né celebrativo», che ricostruisce attraverso un’analisi critica l’intero periodo del ’68, partendo dagli inizi degli anni ’60 fino ad arrivare agli anni ’70.
Ed è proprio Boato che nell’introduzione al suo libro invita a riflettere sul movimento del ’68 con spirito critico: «Dopo mezzo secolo, è necessario riflettere sul movimento del ’68, su quanto l’ha preceduto e quanto l’ha seguito, con un atteggiamento critico e distaccato, senza mitologie, ma anche senza ridicole demonizzazioni.
«Del resto – scrive, – il movimento del ’68 non fu un fenomeno solo italiano, ma europeo e mondiale, che ha lasciato un segno profondo in tutte le società in cui si è sviluppato, al punto di diventare, anche sul piano storiografico, una data periodizzante
«I movimenti del ’68 e del ’69 – ricorda Boato – furono davvero espressione di un forte processo di modernizzazione, una sorta di anticipazione del futuro.
«Un primissimo fenomeno di globalizzazione politica e culturale avvenuta – sottolinea – ben prima della più recente globalizzazione economica e finanziaria.»
 
Rispondendo a una domanda (riportata nel capitolo secondo), a proposito delle motivazioni per cui ai nostri tempi si sente ancora l’esigenza, dopo 50 anni, di parlare del ’68, Boato scrive così.
«Chi è giovane oggi non può nemmeno immaginare cosa fossero allora i rapporti sociali e le condizioni di vita non solo nelle scuole e nelle università, oltre che nelle famiglie e nei rapporti sessuali, ma anche e particolarmente nelle campagne, nelle fabbriche, negli altri luoghi di lavoro e inoltre nelle caserme, nelle carceri, negli ospedali psichiatrici, cioè in quelle che il sociologo statunitense di origine canadese, Erving Goffman, già nel 1961 aveva definito le istituzioni totali (Asylums si intitolava il suo libro).»
 
Sottolinea: «Nulla è stato più come prima, dopo il ’68: nei comportamenti e nei valori, negli stili di vita e nei rapporti interpersonali, nei rapporti sessuali e in quelli familiari, nelle relazioni sociali e nelle forme di comunicazione di massa, con un forte impatto, a volte diretto e a volte solo indiretto, anche sulle forme della politica […].»
È per questa ragione che è davvero interessante guardare il documentario di Aurelio Laino, come abbiamo già detto, non solo piacerà alle vecchie generazioni, sicuramente anche i giovani avranno modo di rendersi conto di quanto non siano scontate le conquiste di chi quel periodo lo ha vissuto in prima persona.
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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