Home | Rubriche | Pensieri, parole, arte | «Bambole di pietra, la leggenda delle Dolomiti» – Di D. Larentis

«Bambole di pietra, la leggenda delle Dolomiti» – Di D. Larentis

Il libro di Paolo Martini edito da Neri Pozza è stato presentato a Trento dalla giornalista Luciana Grillo alla libreria Mondadori – Intervista all’autore

image

>
Giovedì 7 giugno 2018 presso la libreria Mondadori di Trento è stato presentato il libro di Paolo Martini intitolato «Bambole di pietra. La leggenda delle Dolomiti».
Moderatrice dell’incontro la giornalista e scrittrice Luciana Grillo, la quale, come è solita fare in maniera molto avvincente, ha presentato il libro all’attento pubblico in sala, evidenziandone vari aspetti.
Come ha sottolineato si tratta di un libro estremamente interessante che si presta a più letture, in quanto racchiude in sé molti concetti che invitano a una riflessione profonda su come oggi ci si approccia alla natura, alla montagna in particolare: il filo rosso che unisce i vari racconti è il rispetto verso la montagna; una volta l’uomo la sfidava per conquistarne le cime, oggi assistiamo alla lenta ma inesorabile distruzione dell’equilibrio dell’intero ecosistema dolomitico.
Come ha evidenziato la Grillo nel suo intervento critico, Martini accenna all’uccisione degli orsi e adesso anche dei lupi.
Questo volume, quindi, potrebbe essere considerato una sorta di libro-denuncia, uno strumento attraverso il quale l’autore pare lanciare un monito ben preciso, ossia quello di ritornare a guardare le montagne da una prospettiva diversa, più rispettosa.
 
Come si legge nel libro, «nella seconda metà del XVIII secolo Déodat de Dolomieu, geologo e viaggiatore, filosofo e pittore, valente conservatore e seduttore, si avventura nella regione delle Alpi, senza servitù e con qualche pregiata bottiglia di vino e una non modica quantità di caffè nel nécessaire. Viaggia per quasi un mese, spesso a piedi, tra montagne fatte di «pietre calcaree luminose, biancastre e grigiastre».
«È incantato a tal punto da quella roccia da portarsene dietro più di un frammento che, una volta tornato in Francia, spedisce all’amico Théodore-Nicolas De Saussurre. Nel 1792 Saussurre battezza quel tipo di roccia dolomia, in onore dell’amico. Nella prima metà del secolo successivo l’intera catena di monti fatta di quelle pietre calcaree viene chiamata Dolomiti».
«Bambole di pietra» narra la storia di questa leggenda attraverso un racconto in cui troviamo diversi protagonisti, da Cesare Battisti ad Andreas Hofer, dallo scienziato Dolomieu all’alpinista Messner, dallo scrittore Dino Buzzati al cineasta Luis Trenker e tanti altri.
Paolo Martini è giornalista di lungo corso, autore televisivo e consulente editoriale, coltiva particolarmente la passione per la montagna e scrive di viaggi.
Incontrandolo, abbiamo avuto il piacere di porgergli alcune domande.
 

 
Da dove trae origine l’idea di «Bambole di Pietra. La Leggenda delle Dolomiti»?
«Trae origine dalla mia infanzia. Da bambino andavo in montagna, in val di Fassa, in un paesino sopra Pozza. Ricordo di aver visto la prima alba dietro le montagne, al Gardeccia, avevo dieci – dodici anni.
«Una volta cresciuto, dopo una lunga parentesi in cui mi sono dedicato al lavoro occupandomi poco di montagne, negli anni 2000 ho iniziato a riscoprire questa passione, ho frequentato assiduamente le Dolomiti, soprattutto d’estate.
«Negli ultimi due-tre anni mi sono concentrato molto sulla passione dei viaggi, del turismo. Questo libro dedicato alle Dolomiti nasce quasi come una specie di estratto a sé stante di un volume più ampio sul turismo che avevo in mente di scrivere, anche se non lo ho ancora terminato.»
 
E il titolo?
«Il titolo nasce da una leggenda del Latemar; uno dei protagonisti è un ricco commerciante, probabilmente veneto, che si trova a passare tra le montagne del Latemar e, trovandosi in difficoltà, viene in qualche modo aiutato da una pastorella dell’Ottocento, povera, promettendole poi di ricompensarla. Si rivolge a lei promettendole di donarle qualsiasi cosa, chiedendole quindi cosa desiderasse.
«La pastorella innocentemente risponde che avrebbe tanto desiderato una bambola, lei non ne aveva mai posseduta una, sapeva che esistevano ma non ne aveva mai viste. Lui le dice di presentarsi in quel posto il giorno dopo e che avrebbe esaudito il suo desiderio. Nel frattempo, lungo la discesa la bambina incontra una vecchia, che in realtà è una strega, la quale la interroga e venendo a conoscenza del suo desiderio le instilla l’idea di aver chiesto troppo poco, suggerendole di domandare molto di più.
«Così l’indomani il commerciante fa apparire all’orizzonte, come per magia, delle meravigliose bambole, una più bella dell’altra, ma quando la pastorella chiede di più, il terreno viene scosso da un terribile terremoto e le bambole si trasformano in splendide guglie, le Dolomiti.
«È una leggenda che serve a raccontare una cosa molto importante, probabilmente molto radicata nella cultura locale, cioè che l’avidità non è un valore da perseguire, specie in queste zone. È meglio, quindi, accontentarsi di una sana miseria che volere diventare ricchi come quelli che sono in città, questo sembra voler suggerire la favola.»
 
Lei è un appassionato di montagna, quando nasce in lei questa passione?
«Io sono nato a Bologna e come dicevo prima fin da bambino sono andato in montagna, si andava a quell’epoca in vacanza con i genitori e poi qualche settimana da soli, per esempio con gli scout sulle Dolomiti. Ricordo anche un cappellano di Alleghe che ci portava in montagna.
«È stato in quegli anni che è nata in me questa grande passione, poi riscoperta in età adulta. Ho iniziato a scalare nel 2001, amo però soprattutto ripercorrere le vie storiche, non l’alpinismo troppo sportivo».
 
Dagli anni 90 del Novecento con la crisi definitiva della società industriale e dei suoi canoni sociali e soprattutto con la rivoluzione della comunicazione sono emerse trasformazioni profonde anche nelle esperienze turistiche. In relazione al turismo di montagna che idea si è fatto lei di questo cambiamento?
«L’accessibilità rende molto pericoloso tutto, intanto perché sembra tutto più facile, è tutto più facile da fare grazie innanzitutto alla tecnologia che mette a disposizione attrezzature e materiali innovativi, sia quindi per i mezzi tecnici che per la mappatura circostanziata dei luoghi, la presenza di impianti ecc.; particolarmente, per quanto riguarda gli sport alpini, da una parte c’è la corsa alla velocità, folle e un po’ elitaria di cui parlo nell’ultimo capitolo del libro, dall’altra a livello di massa c’è questa falsa percezione della facilità.
«Inoltre, si è trasferito in montagna quel meccanismo produttivo dell’immediato che si osserva nella vita delle città, quel programmarsi degli obiettivi immediati da raggiungere, tipo vado, faccio quella cosa, torno. La montagna, per quanto tu possa avere delle previsioni, è imprevedibile, ci si deve approcciare ad essa con grande rispetto. In città c’è il fanatismo dell’obiettivo da raggiungere…»
 
Che criterio ha utilizzato per selezionare i personaggi tratteggiati nel volume?
«Parto da un criterio storico, cioè ho cercato dei personaggi che avessero una grande importanza storica rispetto all’argomento, dall’altra ho selezionato dei personaggi nei confronti dei quali nutro più simpatia o antipatia.»
 
Due parole su Messner…
«Lui è un grandissimo alpinista, è una persona che ha anche una coscienza ambientale. Indubbiamente ha fatto qualcosa per cui gli dovremmo essere grati, ossia ha dato vita ai suoi bellissimi musei, è una figura anche abbastanza ingombrante, in quanto tanti per emularlo si sono cacciati nei guai. È molto interessante come personaggio anche perché è un alpinista umanista, scrive molto bene, ha approfondito culturalmente quello che ha fatto».
 
Cosa proprio non sopporta di chi va in montagna oggigiorno, dei turisti che affollano la montagna alla domenica in particolare?
«In assoluto potrei dire l’uso sconsiderato dei telefonini. Io vado spesso in zone poco battute dai turisti, in linea di massima trovo piuttosto detestabile chi fa troppo baccano, urlando forte per esempio quando non è necessario, quell’urlare, quello sbraitare fastidioso che rompe il silenzio.»
 
C’è un messaggio specifico che lei attraverso il libro vuole lanciare?
«Noi abbiamo il dovere di salvaguardare la natura: le Dolomiti sono così meravigliose che abbiamo il dovere di conservarne la bellezza. Sarà forse banale ma io ci credo molto.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

Condividi con: Post on Facebook Facebook Twitter Twitter

Subscribe to comments feed Commenti (0 inviato)

totale: | visualizzati:

Invia il tuo commento comment

Inserisci il codice che vedi sull' immagine:

  • Invia ad un amico Invia ad un amico
  • print Versione stampabile
  • Plain text Versione solo testo

Pensieri, parole, arte

di Daniela Larentis

Parliamone

di Nadia Clementi

Musica e spettacoli

di Sandra Matuella

Psiche e dintorni

di Giuseppe Maiolo

Da una foto una storia

di Maurizio Panizza

Letteratura di genere

di Luciana Grillo

Scenari

di Daniele Bornancin

Dialetto e Tradizione

di Cornelio Galas

Orto e giardino

di Davide Brugna

Gourmet

di Giuseppe Casagrande

Cartoline

di Bruno Lucchi

L'Autonomia ieri e oggi

di Mauro Marcantoni

I miei cammini

di Elena Casagrande