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«I mesi» di Matteo Boato – Di Daniela Larentis

Il ciclo di opere è legato al bosco, un tema caro all’artista trentino che ha in serbo molti progetti, dopo l’ultima mostra a cielo aperto a Trento – L’intervista

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Matteo Boato, artista trentino molto apprezzato sia in Italia che all’estero, è sempre in azione e presente anche sul territorio.
Conta al suo attivo prestigiose mostre in sedi istituzionali, come quella organizzata nel 2017 al Muse, il museo delle scienze di Trento; del 2016 «Luoghi trentini», l’importante personale in cui aveva esposto una trentina di opere nella splendida location di Torre Mirana. Fra le più recenti segnaliamo la mostra a cielo aperto di via Belenzani, allestita nel cuore cittadino dal 18 al 30 settembre scorso, in occasione del Premio di Poesia Città di Trento.
 
La sua ricerca artistica lo ha condotto nel tempo a sviluppare temi legati al luogo urbano, concentrandosi in particolare sulla piazza e sul centro storico, senza mai dimenticare quelli legati alla natura, come testimonia l’ultimo ciclo di opere intitolato «I mesi», dedicato agli alberi.
Questi giganti sono da lui ritratti dal basso verso l’alto in un cambio di prospettiva tanto affascinante quanto emblematico, uno studio, quello sul bosco, riferito ai cambiamenti cromatici stagionali.
 
Queste opere sembrano rappresentare un monito a prendersi cura dell’ambiente, la cui distruzione pregiudica la capacità dell’uomo di vivere in armonia con il creato.
Boato attraverso i suoi mesi dà l’impressione di abbracciare la visione di un’etica non antropocentrica (suggerita proprio dalle dimensioni degli alberi e dall’angolazione inusuale da cui sono ritratti, come si diceva poco fa), in cui verrebbe messo in discussione il primato dell’uomo rispetto alla natura.
Dalla sua comparsa sulla Terra egli vive insieme alle piante, da cui dipende la sua stessa sopravvivenza.
Le piante hanno molto da insegnarci, sono anche sempre state in tutte le culture un elemento fondamentale della medicina.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Marco Boato e di porgergli qualche domanda.
 

Matteo Boato.
 
«La città in cammino» è il titolo dell’installazione visiva esposta lo scorso settembre in via Belenzani a Trento. Come nasce e che cosa rappresenta questa mostra a cielo aperto?
«L'installazione è stata pensata per accompagnare la prima edizione del Premio di Poesia Città di Trento – Oltre le Mura.
«Suggerisce una città che si mette in movimento, danzante, città che si apre ai visitatori e in modo particolare ai poeti, rappresentanti metaforicamente le tante culture differenti che arricchiscono il mondo.
«L’intervento proposto si concretizza in dieci stendardi (di grandi dimensioni 240x290cm ciascuno), appesi in via Belenzani, a Trento, che accompagnano il visitatore da Piazza Duomo al fondo dell'antica e nobile via Larga e ritorno verso il Duomo stesso, passando per Palazzo Geremia, sede del Premio.
«L'esposizione nasce dall'interpretazione pittorica di edifici caratteristici di Piazza Duomo, proponendo una camminata verso e oltre le mura ideali della città storica. Allo stesso modo gli edifici tornano sui loro passi in direzione centripeta per raggiungere il cuore di Trento.
Il vento che caratterizza fortemente quel tratto di città favorisce una lettura in movimento di queste vere e proprie case danzanti
 
Il piano da lei dipinto per l’Associazione Culturale Il Vagabondo ha come tema la danza. Potrebbe darci qualche informazione riguardo al progetto? C’è una particolare ragione per la quale ha deciso di rappresentare artisticamente proprio questa disciplina sportiva?
«Dipingere un piano con una tematica definita è una bella sfida. Lo strumento che ho ricevuto io è un pianoforte verticale di valore storico della casa tedesca Schimmel, in ottimo stato per quanto concerne la meccanica, molto lavorato con intarsi, colonnine ed elementi di abbellimento. Ho pensato però di lavorare come se la superficie pittorica fosse piana in modo da privilegiare l’impatto estetico complessivo.
«Ho scelto la tematica in base alle dimensioni e pensando alla tastiera come a un tappeto musicale sul quale i fisici sportivi si esprimono, si muovono. Questo collegamento mi ha portato direttamente alla danza, disciplina che amo e che sento ancora più vicina per motivi familiari.
«Ritendo che tutti gli sport siano anche espressione d'arte; ma la danza rende questo dialogo tra efficacia fisica ed eleganza, tra tecnica e creatività artistica, particolarmente evidente.
«Questo pianoforte è anche un inno al nostro corpo, di esseri umani intendo, così bello e pregiato.»
 

Alzheimer Fest.
 
Ci potrebbe parlare della performance da lei recentemente proposta al parco di Levico Terme?
«La performance / laboratorio è stata proposta all’interno dell’Alzheimer Fest, una manifestazione nazionale e annuale che riceve grande attenzione mediatica.
«Vi hanno preso parte molti artisti nazionali che hanno donato tempo e professionalità a questo evento. Non potendo sapere il numero di partecipanti fino all’ultimo momento ho proposto un dialogo pittorico di gruppo nel Parco Imperiale di Levico. In un luogo privilegiato e godendo di un punto di vista non convenzionale, cioè immersi letteralmente in un contesto boschivo ed ai piedi di una decina di alberi secolari di considerevole altezza, ho accompagnato il gruppo di adulti e bambini alla realizzazione di un grande dipinto circolare sul tema dell'albero.»

È stato da poco pubblicato il prezioso catalogo che raccoglie alcuni lavori artistici degli ultimi quattro anni. Nel testo relativo al ciclo intitolato «I mesi», lei è dell’idea che «non possa esistere un’arte contemporanea globale ma tanti microclimi che favoriscono linguaggi profondamente diversi tra loro e non decontestualizzabili». Potrebbe approfondire questo pensiero?
«Ho dedicato a questo progetto editoriale circa sei mesi tra testi, disegni mancanti, progetto grafico, foto dei dipinti. Apprezzo quindi l’aggettivo prezioso perché per me lo è davvero.
«L'ambiente in cui si abita e si lavora permea attraverso la pelle e gli organi ricettori, stimola in modo tangibile tutti i sensi e condiziona decisamente la vita e quindi anche l'attività artistica di chiunque. Per questo motivo ritengo non possa esistere un'arte contemporanea globale, bensì tanti ambienti diversi che permettono di far affiorare linguaggi artistici non slegabili dal loro tessuto d’origine.
«Godere di un mare a pochi metri da dove si vive e un orizzonte piano a 360 gradi non è simile alla condizione di confrontarsi con montagne che stimolano, energizzano, sovrastano e tolgono il fiato e che limitano la luce solare disponibile.
«Come unica eccezione a questo ragionamento credo si possano considerare simili, ma solo sotto certi aspetti, artisti che vivano in ambienti naturali simili. In particolare, visto che l'arte contemporanea si gioca quasi esclusivamente dove c'è mercato ed una economia forte, sono paragonabili artisti che vengano dalle ricche metropoli perché le caratteristiche architettoniche, le dinamiche sociali ed urbane possono essere spesso comparabili anche se le città sono situate in punti opposti del globo.»
 

Matteo Boato, I MESI - trittico, olio su tela, 360x150cm, 2017.
 
Che cosa rappresenta artisticamente per lei il bosco?
«Percepisco gli alberi come i capelli del mondo, come il collegamento diretto e privilegiato tra terra e cielo e, metaforicamente, tra materia e spirito, tra mente e pensiero, tra noto e ignoto (anche se l'universo nel quale viviamo non è per nulla noto per la stessa fisica contemporanea e offre solo la certezza che c'è molto di più della semplice materia tridimensionale).
«Pure noi, come gli alberi, siamo delle antenne, dei collegamenti diretti tra terra e cielo: il nostro fisico accoglie, processa, combina, come succede per le piante, elementi primari, carbonio, ossigeno, idrogeno ed energia solare. Solo in sintonia, in vibrazione con questi due mondi siamo vitali e i nostri pensieri possono davvero volare.
«Il bosco è anche uno specchio di altri mondi. Immerso in un bosco osservo le sequenze di tronchi senza capo né coda. Questa visione mi ricorda il disegno di alcune cortecce e può rimandare al mondo subcellulare, ai mitocondri, gli organuli cellulari di cui è provvisto anche l’uomo e che curiosamente sono proprio addetti alla respirazione cellulare, come i boschi sono addetti alla respirazione terrestre. Micro e macro mondo che si avvicinano, che si assomigliano. Il bosco rappresenta artisticamente una parte di noi.»
 
Negli anni ci ha abituati a vedute aeree di piazze e luoghi urbani, ora ha dipinto gli alberi dal basso verso l’alto: da che pensiero trae origine questo cambio di prospettiva?
«Solitamente prediligo il punto di vista dall’alto nel dipingere piazze, luoghi urbani e persone. La visione aerea mi permette di allontanarmi e osservare meglio, non i dettagli certamente, ma le dinamiche complessive.
«Dal mio vascello in volo riesco a cogliere più serenamente la realtà, a raccontare l’umanità in modo distaccato, con la consapevolezza che la specie Homo Sapiens e la sua breve storia di qualche centinaio di migliaia di anni è un frammento infinitesimale, quasi trascurabile, rispetto alla lunga e turbolenta vita della Terra.
«Il cambiamento di prospettiva scelto, cioè il punto di vista da sotto, per la lettura di questi alberi (in realtà un albero in evoluzione), è essenziale per mettere me stesso, e chi guarda i lavori, a confronto diretto con la Natura.
«L'albero, dominante, quasi irraggiungibile, ci ricorda che su questa terra siamo tutti parte di una grande famiglia, ma ci ricorda anche che l'umanità che si crede onnipotente in realtà è debole se non vive in sintonia con l'ambiente e il globo che la ospita.»
 

La città in cammino.
 
Di che cosa si sta occupando attualmente, ha progetti per il futuro di cui vorrebbe darci qualche anticipazione?
«Ho tre progetti che vorrei portare a termine nel 2019 e su cui sto vivacemente lavorando. Il primo è una o più esposizioni sulla e forse anche nella città di Riga, proprio sull’architettura urbana che ho dipinto per 6 mesi circa dopo una mostra in terra lettone durata da dicembre 2017 ad agosto 2018. I quadri saranno pronti verso primavera 2019 per cui da lì cercherò spazi espositivi adeguati anche in Italia.
«Il secondo è un progetto espositivo legato al bosco che però sarà contenitore di un'esperienza sonora/musicale, la si potrebbe chiamare installazione visivo/sonora, e in questo preciso momento è in fase di ideazione (con gli artisti Carlo Casillo e Mariano Detassis).
«Un altro progetto, questa volta teatrale, è legato sempre alla tematica del bosco, una scenografia che definirei in cammino si sviluppa mano a mano che lo spettacolo passando da cornice ad ambiente scenico finale (con Mirko Corradini, Teatro di Villazzano).
«Nutro grande interesse nel far parlare arti tra di loro, questo è un principio e un leit motiv che intendo d’ora in poi adottare.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it


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