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Associazione Castelli del Trentino – Di Daniela Larentis

«Incontri del giovedì»: Gustavo Corni, docente di Storia contemporanea all’Università di Trento, il 20 dicembre parlerà di «storia della Germania, fra continuità e fratture»

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Il ciclo di serate predisposte dall’Associazione Castelli del Trentino denominato «Gli incontri del giovedì», organizzato dal presidente Bruno Kaisermann e dal vicepresidente, il giornalista, storico e critico d’arte Pietro Marsilli, prosegue con l’appuntamento di giovedì 20 dicembre 2018.
Titolo della conferenza: «Considerazioni sulla storia della Germania, fra continuità e fratture».
L’incontro si terrà alle 20.30 a Mezzolombardo in Sala Spaur, Piazza Erbe, e avrà come protagonista Gustavo Corni, professore di Storia contemporanea all’Università di Trento, un relatore che non ha certo bisogno di presentazioni e che ha pubblicato ampiamente sulla storia moderna tedesca, in particolare sul nazionalsocialismo in un contesto comparativo.
Davvero lungo l’elenco delle sue pubblicazioni: ha scritto volumi sulla storia comparata delle dittature del Novecento, sulla storia dei due conflitti mondiali, su Adolf Hitler e molto altro.
Fra le più recenti citiamo: «L’esodo degli italiani da Istria e Dalmazia» (2014); «Breve storia del nazismo: 1920-1945» (2015); «Il Trentino e i trentini nella Grande guerra: nuove prospettive di ricerca» (2017); «Storia della Germania da Bismarck a Merkel» (2017).
Abbiamo avuto l’onore di porgergli qualche domanda, in vista dell’incontro di giovedì prossimo.


 
Quando è nata l’idea di scrivere un libro sulla storia della Germania?
«L’idea di pubblicare il volume è nata all’inizio degli anni ’90, dopo la riunificazione. Il motivo principale era che sul mercato librario italiano non esistevano volumi di sintesi così aggiornati.»
 
Quali sono le novità principali presentate nel volume intitolato «Storia della Germania - Da Bismarck a Merkel» rispetto alle precedenti edizioni?
«La riedizione del 2017 propone un ultimo capitolo, scritto quasi completamente ex novo rispetto all’originale del 1995; capitolo che ricostruisce con maggiore ampiezza le vicende della Germania riunificata fino all’estate del 2017, ovvero fino alla vigilia delle elezioni.»
 
Bismarck ha segnato la vita politica, sociale e istituzionale della Germania ed è passato alla storia per essere stato uno dei politici più abili nel campo della diplomazia, assumendo un ruolo fondamentale nella formazione geopolitica dell’Europa. Qual è stato, secondo lei, il merito più grande del «Cancelliere di ferro»?
«A mio parere i meriti fondamentali di Bismarck sono due: in primo luogo ha saputo convincere il variegato movimento liberale tedesco, sostenitore fino al 1848 di un’unificazione nazionale su basi democratiche, che la soluzione del dilemma nazionale era quello di assecondare gli obiettivi di potere della Prussia, lo stato che Bismarck serviva con assoluta dedizione.
«Quindi, portare i liberali (il che significa il mondo borghese, degli imprenditori e delle libere professioni, ma anche degli intellettuali) a sostenere il progetto di uno stato sostanzialmente illiberale e autoritario come la Prussia.
«Il secondo merito, dopo l’unificazione ottenuta con il ferro e con il fuoco, Bismarck è riuscito a costruire una fitta rete di accordi internazionali, in modo da far accettare questa radicale novità storica: una potente Germania unificata al centro del continente.
«La sua cura è stata quella di equilibrare, di moderare, di temperare, cercando di evitare i contraccolpi politici e militari che ci si sarebbe potuto aspettare dalla riunificazione, soprattutto da parte della Francia e della Russia zarista.»
 
Lei è autore di importanti monografie sul nazismo. Storicamente il nazismo ha rappresentato non solo l’archetipo di un regime totalitario ma anche la più aberrante ideologia politica mai esistita. Tutta l’autorità del partito nazista era concentrata nella figura di Hitler, il leader che come politica estera aveva scelto l’aggressione da un lato e la persecuzione degli ebrei dall’altro. Come spiega, in estrema sintesi, il consenso che ebbero Hitler e l’ideologia nazionalsocialista?
«Il consenso ottenuto dal nazionalsocialismo non può essere disgiunto dalla profonda crisi economica e sociale, scoppiata in Germania all’inizio degli anni ’30 come contraccolpo per la crisi economica generale originata negli USA. Una crisi che ha esasperato e accentuato gli elementi di instabilità e di debolezza presenti nella repubblica parlamentare, meglio nota come repubblica di Weimar.
«Ma questo non implica che la repubblica fosse destinata a crollare. Grazie al suo carisma personale, alla capillare organizzazione del movimento nazionalsocialista e a un programma molto radicale, seducente, Hitler ha fatto meglio di tutti gli altri partiti sulla scena, vecchi e nuovi.
«Ma non dimentichiamo che in nessun momento (fino alla presa del potere nel gennaio 1933) questo consenso è stato plebiscitario. Persino alle elezioni – in parte truccate del marzo 1933 – il partito nazionalsocialista è rimasto ben lontano dalla soglia del 50%.»
 
Uno degli aspetti del regime nazista è costituito dal suo radicale razzismo. In «Storia della Germania» scrive nel V paragrafo del VI capitolo che Hitler «era convinto che la massa fosse plagiabile a piacimento, se solo si fosse potuto allestire un apparato propagandistico adeguato». Sorge spontaneo chiedersi come abbia potuto un popolo colto e progredito come quello tedesco accogliere un’ideologia antisemita, accettando una politica di sterminio. Che idea si è fatto a riguardo?
«L’antisemitismo è un fenomeno internazionale, molto forte in tanti paesi (pensiamo alla Francia, all’Europa dell’Est) e non solo in Germania. Anche lo sterminio degli ebrei d’Europa, seppure indiscutibilmente concepito e portato avanti dal regime hitleriano e sostenuto attivamente da molti cittadini tedeschi, non è un fenomeno isolabile alla sola Germania, ma un fenomeno europeo, che si spiega solo se teniamo presente la devastante guerra scatenata dalla Germania.»
 
Nel libro lei accenna al Processo di Norimberga. Hannah Arendt nel celebre saggio «La banalità del male» trasmette l’idea che il male perpetrato da Eichmann non fosse dovuto alla sua natura particolarmente maligna, l’autrice traccia di lui un profilo di uomo mediocre, esecutore di ordini dati dall’alto, un uomo che non rifletteva sul contenuto delle regole ma le applicava incondizionatamente.
Il razzismo hitleriano fu un’opera di «ingegneria sociale» dove ogni anello della catena non si sentiva in realtà responsabile della distruzione di massa?
«Alla luce delle ricerche più recenti (ma sicuramente ancora non esaustive), lo sterminio è un fenomeno molto complesso, spiegabile solo analizzando complicate processi burocratici, in parte di natura accumulativa, segnato da tentativi e da errori (try and error) prima di individuare le modalità più razionali e meno devastanti per gli stessi esecutori.
«Si pensi alla radicale diversità dello sterminio di centinaia di migliaia di ebrei sovietici, massacrati spesso individualmente con fucili e mitragliatrici e sepolti in fosse comuni, da quanto messo in atto dal 1942 nelle fabbriche della morte.
«Qui la morte di massa era ormai diventata un procedimento industriale, quasi asettico, in cui i perpetratori avevano il minimo possibile di contatti con le proprie vittime.»
 
Per descrivere la società tedesca dopo la sconfitta, nel secondo dopoguerra, gli storici hanno impiegato i concetti di «ora zero» e «società del crollo». Potrebbe spiegarci che cosa intendevano sottolineare attraverso l’utilizzo di queste due espressioni?
«Entrambe le definizioni richiamano l’idea di un nuovo inizio, quasi dal nulla. Una visione, che non manca di fondamenti storici, ma che si diffuse dai primi anni ’50 per sottolineare anche l’innocenza dei tedeschi rispetto al loro passato prossimo. In realtà, i legami fra il passato e il presente post-bellico ci sono e sono forti.
«Si pensi alle continuità in molte parti delle nuove élites germaniche, alle continuità di natura sociale ed economica, alle radicate e diffuse difficoltà nel fare i conti (sul terreno giudiziario, ma anche storico) con i perpetratori, con i carnefici e con i loro complici.
«Ma è innegabile che le due Germanie (ciascuna a modo suo) dopo il 1945 abbiano davvero compiuto un’opera di profondo rinnovamento interiore, interrogandosi in modo radicale sulle proprie colpe e responsabilità. Un’attenzione che ancora oggi è molto forte in Germania, soprattutto se facciamo un confronto con quanto avvenuto nello stesso secondo dopoguerra in Italia.»
 
Nell’ottavo capitolo lei scrive che «un fattore di grande instabilità nella società tedesca del dopoguerra è rappresentato dai profughi. Milioni di tedeschi, talora portandosi dietro null’altro che una valigia, abbandonarono le loro zone di residenza a Oriente sotto l’incalzare delle truppe sovietiche, desiderose di vendetta e di bottino. «Questa gigantesca migrazione - sottolinea - fu determinata anche dalla politica di espulsione dei tedeschi attuata dai governi in Polonia e in Cecoslovacchia».
Quanti furono i tedeschi che in quegli anni abbandonarono le loro case e le loro radici culturali? Come potrebbe descrivere questa migrazione tedesca?
«I profughi sono stati circa dodici milioni; di essi, forse due milioni non sono arrivati in patria, uccisi dal freddo, dalla fatica, dalle violenze delle truppe sovietiche.
«Una migrazione forzata di dimensioni spaventose, che – superate non poche difficoltà iniziali – è riuscita gradualmente a integrarsi, finendo per arricchire e fortificare la società della Repubblica Federale, dove la grande maggioranza dei profughi finì per recarsi.»
 
La Germania del secondo dopoguerra era anche abitata da molti stranieri, come lei racconta spiegando la complessa situazione sociale della Germania di quel periodo.
Chi erano e perché si trovavano in Germania?
«Il boom economico degli anni ’50-60 ha determinato una forte domanda di manodopera straniera, rapidamente crescente. Sono così arrivati a ondate successive italiani, jugoslavi, turchi, in grande numero.
«Grazie alla favorevole congiuntura economica, che garantiva a tutti un solido benessere, queste masse di immigrati sono state gradatamente integrate. Una storia di successo, sia per i migranti tedescofoni che per gli stranieri, seppure con non poche ombre.»
 
Quali sono state, a suo avviso, alcune delle più importanti conseguenze della riunificazione del 1990 all’interno della Germania e a livello internazionale?
«Le conseguenze sono state molto importanti. Su scala internazionale la Germania unificata è diventata gradualmente una delle grandi potenze internazionali, attiva in politica estera su scala globale (si pensi alla crisi Ucraina, alla guerra civile in Siria), consolidando il proprio ruolo di colonna portante dell’Unione Europea.
«Su scala interna i cambiamenti sono stati radicali, anche se il processo di inglobamento della popolazione vivente a Est è tutt’altro che concluso.»
 
Come lei sottolinea nel dodicesimo capitolo, dopo l’ascesa della Merkel anche all’interno dell’Unione Europea il peso della Germania è notevolmente cresciuto, grazie anche all’influenza assunta dalla cancelliera, la quale governa con fermezza da tredici anni dimostrando una grande abilità politica.
Quali sono le qualità personali che le hanno permesso di emergere e di assumere un ruolo cruciale anche su scala europea?
«Merkel ha avuto una grande capacità di mediazione, ma allo stesso tempo una capacità dolce di decidere. Questo ha avuto vantaggi, ma anche svantaggi. All’interno del suo partito non ci sono possibili successori.
Collegato alla parallela profonda crisi della socialdemocrazia e all’ascesa di movimenti populisti di destra, oggi la Germania è davvero di fronte a una situazione politica difficile, senza forti candidati nell’area moderata, su cui Merkel ha dominato per quasi un ventennio.»
 
Lei accenna inoltre alla «sostanziale sottomissione della Commissione europea ai voleri dei due stati politicamente più forti, Germania e Francia».
Potrebbe spiegarci in estrema sintesi le ragioni storiche per le quali, di fatto, la Germania ha assunto funzioni di guida all’interno dell’U.E., imponendo le sue regole di bilancio e di comportamento nelle politiche economiche?
«Da un lato la forza economica e la solidità di bilancio, dall’altro il fatto che – con la Gran Bretagna sempre tiepida nella sua adesione all’UE – il condominio franco-tedesco non aveva rivali. L’Italia? Certamente no per la sua forte instabilità politica.»
 
In che senso, secondo lei, la geopolitica aiuta a fornire una visione più complessa dei fenomeni politici?
«Io credo che i fattori geografici, territoriali, assieme a quelli economici e delle risorse, siano molto importanti nel condizionare una linea politica di un paese, o una costellazione internazionale. Sono utili, ma senza esagerare e senza volervi cercare delle risposte deterministiche.»
 
A proposito del fenomeno migratorio, dal dopoguerra si assiste a un capovolgimento storico a causa del quale non sono più gli europei a migrare verso gli altri continenti, ma sono i paesi più ricchi, fra cui l’Europa, a divenire approdo delle migrazioni di molti stranieri che si spostano dai loro paesi in cerca di una vita migliore.
Come immagina il futuro dell’Europa?
«In questo momento non ho davvero alcuna visione sufficientemente chiara di quello che potrà essere il futuro dell’Europa. Molto dipenderà dall’esito delle prossime elezioni per il Parlamento di Strasburgo.
«Infine, io sono uno storico, analizzo il passato, ma senza la pretesa che in tal modo io sia in grado di prefigurare meglio di altri quale sarà il futuro. La storia è infatti costituita da innumerevoli dinamiche, individuali e collettive, strutturali e contingenti. Troppe sono le incognite. Lo storico deve arrendersi!»
 
Ricordiamo che tutti gli incontri in programma godono del patrocinio della Regione Trentino Alto-Adige, della Provincia Autonoma Trento, della Comunità Rotaliana, del Comune di Mezzolombardo; inoltre, della collaborazione dell’Accademia degli Agiati di Rovereto, della Società di Studi Trentini di Scienze Storiche, del Museo degli Usi e Costumi della gente Trentina e della Fondazione Museo Storico del Trentino.
Sono riconosciuti da IPRASE e validi ai fini dell’aggiornamento del personale docente della Provincia Autonoma di Trento.

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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