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«Nel nome di Alice», di Corrado Campestrini – Di Daniela Larentis

Un thriller appassionante, edito da Curcu Genovese, che è ambientato in Trentino. Intervista all’autore

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«Nel nome di Alice» (2018), edito da Curcu Genovese, è un avvincente romanzo di Corrado Campestrini.
Ambientato in Trentino, il thriller narra le intriganti vicende legate al rapimento di tre bambini e alle indagini condotte per svelare il mistero della loro scomparsa.
Già alla sua seconda edizione, ha recentemente partecipato al III Premio Internazionale Cumani Quasimodo nella categoria Narrativa, ricevendo una «menzione al merito».
Nato a Trento nel 1969, Corrado Campestrini vive con la moglie e i due figli a Pressano, sobborgo del Comune di Lavis.
Laureato in Giurisprudenza all’Università di Trento, lavora presso la Cassa Rurale di Lavis-Mezzocorona-Valle di Cembra.
Abbiamo avuto il piacere di porgergli alcune domande.


 
Dove affonda le radici l’idea di questo libro e, in genere, quando nasce in lei la passione per la scrittura?
«La mia passione per la scrittura è una diretta conseguenza di un’altra grande passione, quella per la lettura. Fin da piccolo ho sempre amato immergermi nei libri, lasciandomi rapire dalle storie che leggevo, immedesimandomi nei personaggi, facendomi trasportare dalla fantasia e dall’immaginazione all’interno della trama del racconto, quasi per provare a viverla in prima persona.
«Fantasia ed immaginazione che ho iniziato a coltivare fin dalle scuole elementari, grazie allo straordinario lavoro del nostro maestro di allora, Flavio Vadagnini, che ci spronava, in modi sempre diversi, ad esprimerci usando creatività ed inventiva. Lì è nata in me una propensione più umanistica che scientifica, che mi ha accompagnato per tutta la vita.
«Ad un certo punto, circa all’epoca delle superiori, questa passione per la lettura è sfociata nella necessità di cimentarmi anche nella stesura di racconti. È di quell’epoca la mia prima opera letteraria, se così si può chiamare. Si trattava di un romanzetto giallo (indubbiamente influenzato dalla lettura della maestra di questo genere, ossia Agatha Christie) che io amo definire acerbo in quanto in esso risulta evidente tutta la mia inesperienza di scrittore.
«Poi, circa dieci anni fa, ecco il mio primo vero romanzo di un certo peso, sia in termini di pagine (oltre 400) che in termini di sostanza. Questo romanzo non è però mai stato pubblicato ed è ancora riposto nel cassetto per via di alcuni difetti strutturali mai sistemati, in quanto, nel frattempo, avevo iniziato a scrivere Nel nome di Alice, il romanzo pubblicato lo scorso dicembre da CurcuGenovese, di cui sono estremamente orgoglioso e soddisfatto.»
 
Lei è vice responsabile area crediti di un noto istituto bancario locale, che cosa rappresenta per lei scrivere?
«Sì, io lavoro in banca (Cassa Rurale Lavis – Mezzocorona – Valle di Cembra) da circa 22 anni. Un lavoro che, nell’immaginario collettivo, sembrerebbe poco congruente con una passione per la scrittura. E forse lo è. Come spesso accade, la vita ti porta spesso su strade che non avresti mai pensato di percorrere e così è successo anche a me, quando, dopo aver terminato gli studi universitari (giurisprudenza) ho ricevuto un’inaspettata proposta di lavoro dalla Banca Popolare del Trentino.
«Ho subito accettato, in attesa che potesse concretizzarsi qualche altra occasione lavorativa più inerente agli studi che avevo appena concluso. Occasione che non si è mai presentata. Per cui quel lavoro bancario che pensavo davvero potesse essere occasionale e di breve durata è diventato la professione della mia vita.
«Mi sono così introdotto in un mondo totalmente sconosciuto e anche complicato, che al tempo stesso mi ha però anche permesso di affinare e migliorare quella parte tecnica di me che, in gioventù, era stata soppiantata dalla prevaricante propensione umanistica. In tutti questi anni, quindi, razionalità tecnica (presente durante la giornata lavorativa) e attitudine umanistica (riemergente nel tempo libero) sono convissute serenamente, permettendomi di diventare una sorta di bancario-scrittore.
«Scrivere è quindi per me un modo per dare linfa vitale a quella propensione letteraria nata tra i banchi di scuola ormai tanti anni fa.»
 

 
Quali sono i romanzi e gli autori che predilige?
«Le mie letture preferite sono, ovviamente, quelle dei libri gialli o thriller. Come ho già detto, da ragazzo divoravo i gialli di Agatha Christie, con quei meravigliosi finali in cui il geniale Hercule Poirot radunava tutti i sospettati in un salotto e, usando le sue famose cellule grigie, smascherava inesorabilmente il colpevole.
«A partire da un’età più adulta la mia preferenza si è invece rivolta soprattutto ai libri di Dan Brown, Stephen King e Ken Follet. Tra gli autori italiani mi affascina molto lo stile di Niccolò Ammaniti, nonostante il suo genere non sia quello in cui mi sono cimentato.»
 
Il romanzo è un thriller ambientato in Trentino, parla del rapimento di tre bambini e delle indagini condotte per svelare il mistero della loro scomparsa. Perché ha scelto proprio questo genere letterario?
«Prima di tutto perché il thriller è il genere che preferisco leggere e che, di conseguenza, più mi ha influenzato.
«In secondo luogo perché, se scritto bene, questo è un genere letterario che ti assorbe completamente, ti trascina nella trama, ti obbliga a rimanere sveglio fino tarda ora per scoprire quello che accadrà nelle pagine successive, ti inietta adrenalina e genera suspense, insomma ti rapisce come un libro dovrebbe sempre riuscire a fare. Io ce l’ho messa tutta per cercare di raggiungere questo ambizioso risultato e i tanti consensi finora ricevuti mi hanno reso molto soddisfatto e felice.
«La scelta di ambientare questa storia in Trentino è poi motivata sia dalla volontà di descrivere e valorizzare il nostro territorio, sia dalla voglia di dimostrare (e questa è stata una sorta di sfida che spero di aver vinto), che un romanzo thriller può essere credibile anche se l’ambientazione è quella delle nostre splendide valli e montagne e della nostra piccola ma affascinante città di Trento.»
 
Fra i personaggi da lei ritratti ce n’è per caso uno a cui lei, per qualche motivo, è più «affezionato» ed eventualmente perché?
«In realtà i personaggi a cui mi sento particolarmente legato sono due. Il poliziotto Matteo e la studentessa Anna. Matteo rappresenta quello che ogni uomo vorrebbe probabilmente essere, sia dal punto di vista estetico che da quello interiore. È una figura estremamente positiva, rassicurante, corretta, perspicace, insomma quasi perfetta. Ma nella vita, si sa, la perfezione non esiste…
«Anna, invece, è forse l’unico personaggio del romanzo che rimane cristallino ed integro dall’inizio alla fine. Non perfetto, ma coerente e sincero nel suo modo di essere. Anna è la dimostrazione che, nonostante le storture e le brutture della vita, sia comunque possibile rimanere sempre belle persone. Ed è proprio da una sua intuizione che si arriverà alla svolta fondamentale della storia, tanto per attestare, come se ce ne fosse la necessità, che le ragazze hanno spesso una marcia in più».
 

 
Definirebbe il suo libro più un giallo d’azione o un giallo psicologico?
«Indubbiamente lo definirei più un giallo d’azione, anche se in alcune parti la trama si ingarbuglia e occorre andare a sondare alcuni aspetti psicologici dei personaggi per comprendere l’evolversi del racconto.
«Però principalmente si tratta di un romanzo che pone le sue basi sul continuo accadimento di fatti, colpi di scena e situazioni impreviste.»
 
È anche una storia d’amore…
«Sì, è anche una storia d’amore. Non dirò se a lieto fine oppure no, perché voglio lasciare al lettore il piacere di scoprirlo da sé, assieme alla scoperta della soluzione della drammatica vicenda narrata nel libro.
«In questo racconto ho cercato di far compenetrare un po’ tutti gli aspetti della vita reale, dalla quotidianità del lavoro al dramma di un evento così terribile come il rapimento di tre bambini, dalla suspense per i tanti colpi di scena alla romantica storia d’amore tra due personaggi, condita anche da alcune scene piccanti.
«Nella realtà coesistono spesso situazioni diverse ed eterogenee, che ho provato a far coesistere anche in questo romanzo.»
 
Dove è stato presentato il libro?
«Finora ho avuto il piacere di fare ben nove presentazioni del libro. La prima è stata presso la biblioteca di Mezzocorona, dove ho rotto il ghiaccio, essendo per me una novità assoluta.
«Poi, a seguire, ho presentato il libro a S. Donà, ospite del Comitato Quartiere, alla libreria Ubik a Trento, presso il circolo ACLI di Gardolo, poi alle biblioteche di Lavis, Terlago, Meano ed Aldeno ed infine anche alla libreria Athena di Pergine Valsugana. Senza tralasciare il piacevole incontro con gli studenti dell’Istituto Artigianelli di Trento.
«Tutte queste presentazioni hanno costituito dei momenti molto piacevoli ed appaganti, dove ho avuto modo di parlare di me e del mio romanzo e per questo ringrazio ancora tutte le associazioni, biblioteche e librerie che mi hanno ospitato e che mi hanno dato modo di farmi conoscere.
«Altre due esperienze molto gratificanti sono state due interviste: una a dicembre 2018 trasmessa da Radio Italia Anni 60 nella trasmissione denominata Il libro della settimana e l’altra andata in onda nel mese di febbraio su Telepace Trento nel corso della trasmissione Filotea. Si è trattato di due momenti davvero emozionanti e di grande soddisfazione. Ovviamente cercherò di non fermarmi qui…»
 

 
A cosa sta lavorando attualmente, ha dei sogni nel cassetto, progetti che vorrebbe realizzare?
«Sull’onda dell’entusiasmo per la pubblicazione di Nel nome di Alice ho ripreso in mano il primo romanzo scritto, quello mai pubblicato e chiuso da tempo nel cassetto, con l’obiettivo di rivederlo e sistemarlo, perché l’idea di fondo era ed è, a mio avviso, sicuramente buona.
«Ma ora è prematuro parlarne. Quel che è certo è che adesso il computer, la sera, è tornato a rimanere spesso acceso fino tarda ora. Il sogno nel cassetto l’ho già realizzato: vedere il mio romanzo sugli scaffali di una libreria.
«Ora spero che il sogno non si interrompa, ma questo non dipende solo da me. Io farò il possibile affinché ciò non avvenga.»
 
Un’ultima domanda: si augura che scrivere gialli diventi il suo unico lavoro, come le piace immaginare il suo futuro?
«Beh, non posso certo negare che diventare uno scrittore professionista sarebbe una cosa fantastica. Ma bisogna fare i conti con la realtà e rimanere con i piedi ben saldi per terra. Per vivere di libri servirebbe, oltre all’eventuale talento, anche tanta tanta fortuna.
«Per cui, al momento, è meglio non pensarci e continuare a scrivere solo per passione, come sto facendo anche in questo momento. Ben sapendo però che, adesso che questa porta si è leggermente aperta, dovrò rimanere sempre attento e pronto a cogliere anche la più piccola opportunità per riuscire a spalancarla del tutto.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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