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Verdini, la bontà, la rabbia e la nostalgia – Di Daniela Larentis

La mostra dell’artista, inaugurata lo scorso giugno al Centro D’Arte «La Fonte», sarà visitabile fino al 1° agosto a Caldonazzo – Intervista al curatore Waimer Perinelli

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A Caldonazzo, Trento, è tuttora in corso una bella mostra dedicata a un apprezzato artista, Pietro Verdini, considerato uno dei protagonisti più originali e interessanti del panorama pittorico trentino contemporaneo.
L’esposizione dal titolo «Verdini, la bontà, la rabbia e la nostalgia», curata dallo stimato giornalista e critico d’arte Waimer Perinelli, è stata inaugurata lo scorso giugno ma è ancora visitabile fino al 1° agosto presso il Centro d’Arte La Fonte (di cui il curatore è presidente).
Pietro Verdini nasce in un paesino in provincia di Massa Carrara ottantadue anni fa.
Alla prematura morte del padre, viene affidato ai nonni materni; entra in un collegio francescano a studiare, circa a metà degli anni cinquanta lascia il convento e si arruola nella Guardia di Finanza.
 
Agli inizi degli anni sessanta viene trasferito in Alto Adige dove poi conosce l’artista Conrad Peter Bergmann, diventando suo allievo. Circa a metà degli anni sessanta è a Trento, dove frequenta il gruppo Arti Visuali e la Galleria Fogolino, diretti da Mariano Fracalossi, e le Gallerie Il Castello e La Tavolozza, del pittore Gino Castelli.
Si sposa, si trasferisce a Pergine, lasciando la Guardia di Finanza per dedicarsi completamente alla pittura. Realizza nel tempo importanti esposizioni, sia in prestigiose sedi istituzionali che in gallerie private.
 
È lo stesso Waimer Perinelli a descriverlo: «Pietro Verdini è un artista anzi, Kunstler, come gli disse Conrad Peter Bergmann, il maestro tedesco liberandolo dalle pastoie scolastiche e invitandolo a volare libero.
«E Pietro lo ha fatto aiutato dall’intelligenza critica ed equilibrio della moglie, ed oggi è completo ma non compiuto perché come scrive Rinaldo Sandri è un ribelle instancabile.
«Nella sua pittura fatta di morbide colline, mare mosso, foreste impenetrabili, domina il nero tempesta e minaccia di caos, moderato, contenuto dal blu.
«A Caldonazzo, nella sede della Fonte, espone immagini di Natura quella fisica e la filosofica custodi della memoria, ma di pittore contro com’è descritto da Bernhard in Minetti, ritratto di un artista vecchio.
«A 82 anni è un artista contro le ingiustizie, arrabbiato, buono e generoso.»
 

Il curatore della mostra Waimer Perinelli innanzi alle opere di Pietro Verdini.
 
I quadri di Verdini sono opere di grande suggestione: indugiamo di fronte a quello che ritrae un bosco, in attesa di porgere a Waimer Perinelli alcune domande.
Quegli alberi blu dall’atmosfera lunare sembrano condurci dentro mondi possibili, possono essere letti come un invito ad entrare in uno spazio psicologico dove poter riscoprire noi stessi, ritornare i bambini che siamo stati, con i nostri timori, le nostre gigantesche paure, ma anche il nostro immenso coraggio.
E se quei tronchi non fossero un confine che ci separa da noi stessi? Osservando il dipinto pensiamo che non sia riducibile alle sole parti che lo compongono, per arrivare a comprenderlo dobbiamo spostare l’attenzione dai singoli tronchi all’insieme, abbandonando un’urgenza classificatoria che ci porterebbe lontani.
La prima immagine che ci viene in mente è una fiaba tedesca dei fratelli Grimm. Ed eccoci bambini, dentro il buio della nostra stanza, a cercare di rendere visibile l’invisibile.
È una sorta di autoconsapevolezza quella che avvertiamo innanzi a quest’opera, qualsiasi cosa sia non ha a ogni modo nulla a che spartire con il sentimentalismo. Questo è semplicemente un dipinto che suscita in noi una grande emozione.
 
Curiosi di saperne di più, abbiamo avuto il piacere di porgere a Waimer Peribelli alcune domande.
 

Opere di Pietro Verdini.
 
Quante opere di Verdini sono esposte?
«La sede del Centro d’Arte La Fonte è «piccola ma adatta a noi», accoglie otto opere di Pietro Verdini. Nel selezionarle abbiamo cercato di seguire un percorso, siamo partiti dalla Maternità, un pastello di grandi dimensioni che è d’ispirazione giottesca; in realtà questa donna con bambino, che potrebbe essere una maternità divina, è anche una maternità laica, almeno così è vista da me.
«Otto quadri, la maggior parte su tavola, sei a colori e due pastelli. I colori ad olio sono più impegnativi, fra questi c’è il dipinto del mare e quello che ritrae la bambina con le guance rosse e con una palla in mano.
«È immersa nella natura, sullo sfondo è tuttavia visibile la città. Il bosco è una tavola molto grande, i colori sono quelli suoi abituali, il blu, il nero macchiato di bianco. Questo bosco anticipa di qualche anno l’immagine legata alla manifestazione Arte Sella in Valsugana, è un invito ad entrare in questo bosco, uno spazio che Verdini considera mentale.
«Un altro quadro bellissimo è quello che ritrae una selva attraversata dalla cascata d’acqua, in Toscana; sul monte de La Verna San Francesco ricevette le stimmate, in basso, sulla sinistra, si può scorgere il Santuario. Pietro Verdini all’età di 11 anni entra in seminario, poco dopo diventa Fra Ettore (non prenderà i voti, è un personaggio ribelle, un personaggio scomodo, infatti a 20 anni abbandona la vita monastica).
«L’opera a fianco, un quadro ad olio, ritrae la sua cella situata nel celebre convento francescano de La Verna. È emblematica la finestrella raffaelliana che si scorge in alto a sinistra, attraverso la quale si intravede il paesaggio, e la stufa collocata dietro la figura ripiegata su sé stessa, in primo piano. Il quadro collocato all’entrata sul cavalletto ritrae invece un viso d’angelo.»
 
Umanamente che idea si è fatto di Verdini come uomo?
«Pietro Verdini è una persona profondamente buona. E’ altrettanto profondamente collerico, da buon toscano (lui nasce a Gragnola, uno splendido paesino in provincia di Massa Carrara). È istintivo e irruento, però è buono, è generoso, è sincero. Non ha mai fatto del male a nessuno.
«Non è una persona interessata, attaccata al lato materiale della vita. Ricordo un aneddoto che risale a una ventina di anni fa, quando ancora c’erano le lire.
«Un giorno, un signore inglese volle comprare un suo quadro: lo vide e ne chiese il prezzo. Prese il quadro, tornò in Inghilterra e gli mandò un assegno di una cifra ben superiore a quanto stabilito (pensando che il prezzo fosse in lire sterline pagò molto di più). Pietro Verdini allora realizzò per lui un altro quadro e glielo spedì, non approfittandosi della situazione anche se avrebbe potuto farlo. Il signore inglese capì quanto era successo e da allora ciclicamente gli commissiona un quadro, apprezza molto la sua arte anche come forma di investimento (ogni due anni, infatti, Verdini gli invia in Inghilterra una nuova opera).
«Potrei aggiungere in tono scherzoso, in conclusione, che se fossimo impegnati in una scalata non lo nominerei certo capocordata, avrei paura che in uno scatto di rabbia potesse andar via, lasciandomi solo in parete. Come amico, invece, è davvero una persona speciale, assolutamente affidabile, una persona leale con cui è bello condividere delle emozioni, anche banali.
«Lui spesso ricorda un comune amico, Rinaldo Sandri, giornalista responsabile della pagina spettacoli dell’Adige, scomparso agli inizi degli anni Novanta, una persona correttissima, rispettosa del lavoro degli altri.»
 

Opera di Pietro Verdini.
 
Potrebbe anticipare qualche informazione sui prossimi eventi in agenda?
«Sabato 20 alle 18.00 ci sarà l’inaugurazione di una mostra di Matteo Boato nella Casa della Cultura, a Caldonazzo. Rimarrà aperta al pubblico fino al 30 luglio. Ci sarà poi un’esposizione di Cristina Moggio, un’artista che vive fra Borgo Valsugana e il Veneto, la cui pittura è coloratissima.
«Sempre alla Casa della Cultura il 14 agosto verrà inaugurata una collettiva di dodici artisti, fra cui il pittore austriaco Rudolf Haas, amico di Aldo Pancheri, lo stesso Pancheri, poi Matteo Boato, Pietro Verdini e Cristina Moggio (ogni artista lascerà due opere da inserire nella collettiva) e diversi altri.»
 
Un’ultima domanda: molte persone desiderano che il Palazzo delle Albere possa tornare ad essere un museo d’arte. Brevemente, che cosa pensa a riguardo?
«Penso che Corrado Bungaro, assessore alla cultura del Comune di Trento, abbia detto una cosa giusta: Trento capoluogo ha bisogno di un centro d’arte, magari sull’esempio della Haus der Kultur di stampo tedesco, una casa che sia polo multiculturale.
«Al centro della questione c’è un palazzo del Cinquecento, Il Palazzo delle Albere, e c’è la necessità del Mart di avere un ampio spazio in cui poter ospitare le opere lasciate a suo tempo in deposito, con il vincolo che venissero esposte, secondo gli impegni presi qualche decennio fa con alcuni parenti di artisti ed eredi di artisti (parlo di Moggioli, di Garbari ecc.).
«Trento ha bisogno di un luogo dove esporre dignitosamente le opere di questi grandi pittori del Novecento trentino, fra i quali possiamo citare anche Bezzi e non solo.»
 
Fra questi possiamo includere anche Eugenio Prati?
Ha toccato un punto dolente. Eugenio Prati è di Caldonazzo (1842-1907), è un paesaggista, un ottimo pittore. Il Mart ha alcune opere di un altro Prati, Romualdo Prati, nato nel 1874 e morto nel 1930, il quale ha vissuto per un lungo periodo a Parigi.
«Cito due suoi quadri molto belli, uno è Il Moschettiere, affidato da un privato al Mart per valorizzarlo, l’altro è un Pescatore a Venezia, un quadro che io amo molto. Ho conosciuto una signora di Milano che ha una delle tele più belle di Romualdo Prati, il quadro intitolato Donna nel prato.
«Un altro quadro meraviglioso è Abbeveratoio, un olio su tela che ritrae una contadinella appoggiata a una mucca che beve alla fontana. Il Centro d’Arte La Fonte gli ha dedicato anni fa una mostra a 80 anni dalla morte.»

Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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