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«Pass dopo Pass» di Lilia Slomp Ferrari – Di Daniela Larentis

La silloge poetica in lingua dialettale della scrittrice e poetessa trentina è un omaggio alla sua terra e alla sua gente – L’intervista

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«Pass dopo pass» è una silloge poetica in lingua dialettale della stimata scrittrice e poetessa trentina Lilia Slomp Ferrari, edito da Biblioteca dei Leoni (2019).
Nella prefazione, Nadia Scappini sottolinea come il dialetto non sia per l’autrice «un’opzione secondaria rispetto alla lingua italiana, ma la lingua matria, quella capace di far riaffiorare radici sepolte, di nominare le cose attraverso parole che risuonano nel mistero di un’antica sacralità, quella da usare come un respiro per gli affondi del cuore
Abbiamo molto apprezzato questa bella raccolta di poesie per varie ragioni, innanzitutto per la bellezza e la musicalità dei componimenti, per il loro significato, essi rimandano alla tradizione e a un mondo distante dai ritmi frenetici della contemporaneità, dove lo stare insieme e il modo di relazionarsi delle persone aveva un sapore del tutto diverso.
 
Le poesie di Lilia Slomp Ferrari rivelano una grande sensibilità nel cogliere con velato rimpianto la necessità di rivalutare uno stile di vita più sobrio, di un ritorno alla tradizione, alla cooperazione, valori più che mai necessari. Ci pare di cogliere un messaggio fra la bellezza dei suoi versi, il pensiero che lo scopo ultimo della vita non sia produrre e consumare, ma vivere in relazione con il prossimo, riscoprendo l’importanza di ciò che ci accomuna.
 
 Alcune note biografiche prima di passare all’intervista 
Nata a Trento dove vive da sempre, solo verso i quarant’anni decide di sottoporre le sue liriche al giudizio della critica, dapprima partecipando a numerosi concorsi e in seguito rivolgendosi attraverso le pubblicazioni a un pubblico più vasto e a un giudizio mirato.
Lilia Slomp Ferrari è vicepresidente del Gruppo «Il Cenacolo trentino di Cultura dialettale» diretto da Elio Fox, segretaria della Pro Cultura di Trento.
Sia in dialetto che in lingua ha conseguito importanti premi. In prosa, suoi racconti in dialetto e in italiano sono stati pubblicati su varie riviste.
Fra le numerose pubblicazioni citiamo: «En zerca de aquiloni (1987), Schiramele» (1990), «Nonostante tutto» (1991), «Controcanto» (1993), «Amor porét» (1995), «Leggenda» (1998), «Striarìa» (2002), «All’ombra delle nuove lune» (2005), «Come goccia di vetrata» (2008), «Ombrìe» (2012); «Pagine sul filo sottile del tempo» (2017).
«È inoltre presente in antologie nazionali e sue poesie in dialetto trentino sono state incluse e tradotte in inglese nell’antologia Dialect Poetry of Northern and Central Italy, Legas New York, 2001.
 
 Abbiamo avuto il piacere di rivolgerle alcune domande 
Quando nasce l’idea di questa pubblicazione?
«In questi ultimi tre anni ho scritto molto, la musica del sonetto continuava a stregarmi, nel senso che le rime si rincorrevano, quasi senza che le cercassi.
«Questo componimento, il cui nome deriva dal provenzale sonét (piccolo suono), è la più antica struttura poetica italiana originale nata verso la metà del Duecento, attribuita a Giacomo Lentini, poeta della Scuola siciliana, diffuso poi in tutto il mondo e tramandata fino a noi da molti grandi poeti.
«Il suo fascino mi aveva catturata fin da bambina, da quando avevo iniziato a scrivere poesie, ma ho salvato molto poco, nel tempo, di questa mia scrittura.
«Scrivevo su foglietti sparsi che poi stracciavo, preferivo i versi liberi, sfuggendo così a quella gabbia in versi rigorosamente da rispettare (ho inserito qualche sonetto nelle varie raccolte precedenti, quasi in sordina). Scrivevo, strappavo e scrivevo nuovamente, finché ho iniziato a raccogliere queste mie composizioni conservandole in una scatola.
Sono seguiti tre anni di immersione poetica unicamente nel sonetto, perché così voleva cantare la mia anima, non in italiano, ma nella lingua dei padri.
L'idea della pubblicazione è nata soprattutto dall'esigenza di salvare questo momento magico che conservavo nel cuore. In primavera, aprendo la scatola ho iniziato a contare i foglietti, erano moltissimi! Ho selezionato quelli che ho pensato di sottoporre a un giudizio critico mirato, anche al di fuori del Trentino.»
 
Partiamo dal titolo «Pass dopo pass». Perché lo ha scelto per rappresentare la raccolta poetica?
«Ho scelto questo titolo perché il mio è stato un cammino lungo iniziato nell'infanzia, percorso passo dopo passo, con incanto e disincanto sul sentiero arduo della poesia espressa sia in italiano, sia in dialetto.»
 
Lei è spesso in dialogo con la natura. Quali sono i soggetti da cui trae maggior ispirazione nel componimento poetico?
«Ho sempre colto la magia della natura in ogni sua manifestazione, anche nella sua furia, le ho sempre attribuito un'anima. Ne ho letto i messaggi nel vento, nel rincorrersi delle stagioni, nei temporali improvvisi, nella magnificenza dei fiori, perfino nei terremoti.
«Dialogavo con gli alberi, li abbracciavo per carpire la loro linfa vitale fin dalle radici, mi uniformavo al passo dei ciottoli e dell'erba, mi lasciavo trasportare in alto dai soffioni, diventavo coperta di neve per riscaldarmi il cuore e farfalla bianca per dialogare con chi non c'è più.
«Sono affascinata dal mistero della natura che per me diventa salvamento e filosofia di vita. In me è ancora vivido il ricordo, all’epoca avevo circa quattro anni, di quando osservai sul palmo della mano di mio padre il boccio di un papavero divenire miracolosamente ballerina Degas, incurante del fiordaliso spezzato dal peso della guazza notturna che mi aveva fatta piangere.
«Mi disse: Ricordati sempre che per un fiore che balla ce n'è un altro che piange. La mia prima lezione poetica
 
In «Filò» svela la suggestione di un tempo lontano in cui nelle veglie contadine le persone stavano insieme dialogando. Qual è il messaggio che ha voluto trasmettere?
«Questo sonetto vuole essere una pennellata di dolce malinconia, una pausa riflessiva, non di nostalgia del buon tempo andato, ma un quadretto da appendere alle pareti del cuore per chi ha vissuto in un ambiente contadino, per chi ne ha solo sentito narrare nei libri o nelle storie immaginate che non ha potuto ascoltare.
«Per chi percepisce ancora gli antichi odori di uomini e animali, di paglia e di fieno, ricordando antiche suggestioni.»
 
Lei dedica la poesia «Dialet» a una lingua ormai quasi scomparsa, simbolo della nostra tradizione. Potrebbe condividere con noi qualche pensiero a riguardo?
«Per me scrivere in dialetto è ricordare la lingua dei padri, quella lingua succhiata dal latte materno, capace di trasformare questo tempo di frenesia totale, nel quale siamo costretti a vivere, stagione dopo stagione, senza nemmeno un momento di contemplazione, in un tempo più umano. Tutto scorre a una velocità frenetica, stiamo cancellando sui nostri telefonini persino le parole italiane, inventiamo simboli, quasi non servisse più parlare.
«Non ci guardiamo più in faccia e comunichiamo servendoci di un oggetto che è divenuto ormai indispensabile a tutti. Quello che mi colpisce maggiormente sono i ragazzi per strada che paiono robot telecomandati, camminano senza sapere su cosa stiano pestando.
«Hanno lo sguardo fisso, non sorridono e parlano o digitano sulla tastiera del cellulare. Mi fa paura tutto questo. Forse scrivere in dialetto è riappropriarsi di un dialogo, cercare di fermare la memoria, le tradizioni. Io e mio marito conversiamo in dialetto fra di noi (e davanti ai nostri nipotini come facevamo davanti alle nostre figliole, pur parlando loro in italiano). Sono cresciute perfettamente bilingui.
«Anche la mia poesia ha bisogno di esprimersi sia in dialetto sia in italiano, due lingue importanti; come mi è capitato più volte di sottolineare, è la poesia stessa a scegliere il proprio vestito, a seconda delle situazioni.
«Tutti i dialetti d'Italia sono un patrimonio da salvaguardare perché in essi (anche nei vocaboli ormai in disuso) c'è la nostra storia con le sue mille sfumature.
«Esemplare l’importante ricerca condotta dallo studioso Elio Fox, il quale nel 2014 ha pubblicato un vocabolario straordinario che raccoglie modi di dire, poesie, proverbi, teatro, toponomastica, nomenclatura, note di storia su fatti, luoghi e personaggi di Trento.
«Si continua a parlare della scomparsa dei dialetti. Io sono d’accordo con il pensiero di uno studioso ascoltato durante un convegno, secondo il quale “i dialetti sono come i poveri, non scompaiono mai
 
Progetti futuri?
«Se avrò vita, scrivere, scrivere, scrivere poesia in italiano e in dialetto sui miei foglietti a quadretti, mettendoli in una scatola a riposare. Trovare il coraggio di non strapparli perché la poesia è la mia anima, il mio testamento spirituale.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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