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Alberto Pattini, omaggio alla sua terra – Di Daniela Larentis

«Fiume che cammina - transumanza patrimonio dell'umanità» è il suo libro poetico e fotografico dedicato a un aspetto importante della nostra cultura – L’intervista

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Marco Demattio, detto Scota, a San Michele all'Adige - Foto di ©Alberto Pattini.
 
Il libro poetico e fotografico dal titolo «Fiume che cammina - transumanza patrimonio dell'umanità» di Alberto Pattini è stato presentato innanzi a un folto pubblico lo scorso novembre a Trento, presso la sala conferenze della Caritro di Via Calepina (una prima presentazione a cui ne sono seguite e ne seguiranno altre).
Moderatrice dell’evento la prof.ssa Marta Villa, antropologa culturale alpina, docente dell’Università degli Studi di Trento, ricercatrice presso l’Università della Svizzera Italiana e Presidente Club per l’UNESCO di Trento.
 
Il volume è impreziosito oltre che dall’introduzione dell’autore, dalla prefazione di Marta Villa e da quella di Annibale Salsa, antropologo culturale alpino, Presidente del Comitato scientifico di Tsm/Step - Scuola per il Governo del Territorio e del Paesaggio di Trento, Presidente del Comitato scientifico del Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige, esperto di cultura alpina nel consiglio dell’Università della Valle d’Aosta, già docente di Antropologia filosofica e culturale presso l’Università di Genova, nonché già Presidente generale del Club Alpino italiano (CAI).
 

Agnellini nati in trasferimento e trasportati dall'asina. Loc Piccoli - Lavarone - Foto ©Alberto Pattini.
 
La cultura pastorale è oggi un importante valore da tutelare. Ricordiamo che l’Unesco ha da poco proclamato la transumanza patrimonio culturale immateriale dell’umanità, una decisione presa per proteggere una pratica ancora oggi molto diffusa, quella della migrazione stagionale del bestiame.
L’antropologa evidenzia come sia necessario imparare dai pastori «prima di tutto una modalità di relazione con il mondo pacifica, incapace di manifestazioni distruttive, paziente, accudente».
I pastori possiedono, scrive, «un’abilità dimenticata dall’uomo sedentario, sanno quasi istintivamente utilizzare in maniera precisa i due emisferi di cui è composto il cervello umano: quello sinistro che permette di calcolare e superare difficoltà e situazioni pericolose con lucidità, e quello destro, femminile, capace di intuire e relazionarsi attraverso il linguaggio non verbale con chi non sa parlare, gli animali del gregge per l’appunto, riuscendo sempre a carpirne i messaggi».
 

Angela Laner a Celado nel Tesino - Foto di ©Alberto Pattini.
 
Alberto Pattini con grande sensibilità poetica ha saputo ancora una volta stupire, decantando tutta la meraviglia di una terra dai mille volti, il Trentino, raccontando attraverso emozionanti versi e straordinari scatti fotografici una pratica antica, espressione di una cultura alpina radicata. Attraverso questo aspetto peculiare della nostra cultura, l’uomo rinsalda le antiche consuetudini vivendo in totale comunione con l’ambiente.
È un fenomeno dai significati profondi che ha ispirato nei secoli poeti e scrittori. Specie in passato, ai tempi in cui comunicare non era così facile e immediato, la transumanza era occasione di preziosi incontri fra persone che vivevano in luoghi lontani, difficilmente raggiungibili.
Ancora oggi racchiude in sé un grande fascino: quel procedere assieme agli animali, prendendosene cura, mette in luce un rapporto con l’ambiente naturale senza mediazioni e di osservanza dei suoi ritmi e delle sue leggi.
 
Non si può non riconoscere ad Alberto Pattini un grande merito, quello di aver vissuto in prima persona ciò di cui ha scritto, ciò che ha personalmente documentato attraverso la potenza delle immagini (non ha composto dei versi standosene comodamente alla scrivania e ispirandosi idealmente a quel mondo, lui è andato fra i pastori, ha parlato con loro, ha vissuto delle emozioni autentiche che poi ha cercato di trasmettere, riuscendoci peraltro con grande forza); ogni pagina del suo libro testimonia l’amore per il territorio, il rispetto per le tradizioni, il desiderio di un ritorno a una vita più semplice; da osservatore attento si è calato in una realtà spesso dimenticata a cui ha voluto dare valore.
 

Alberto Pattini.
 
Nato a Trento, amante della poesia e studioso di storia del territorio e dell’arte, Alberto Pattini è autore di 31 libri e di numerosi articoli giornalistici d’attualità in testate locali e nazionali.
È stato ricercatore alacre e divulgatore di biochimica e alimentazione dello sport, pubblicando in riviste internazionali del settore. Ha vinto alcuni concorsi nazionali e internazionali di poesia; ha pubblicato le sue liriche in diversi volumi (fra i quali ricordiamo «Il Trentino dei sentimenti» e «Il cuore delle Alpi-Sulle ali del Trentino»).
È stato direttore artistico del Concorso Nazionale di Poesia «Il lago nel cuore».
Nel 2016 ha dato alle stampe il libro con 105 liriche dal titolo «Poesia del Trentino – La melodia della Grande Madre».
Nel 2017 ha realizzato come regista il film documentario «Pastori erranti sotto le stelle – dall’Adriatico al Lagorai» e nel 2018 «Suoni vaganti in Trentino».
Tra il 2017 e il 2018 ha esposto la mostra poetica e fotografica «Il fiume che cammina» con grande successo di pubblico al Muse di Trento, al Museo geologico delle Dolomiti di Predazzo, all’Icering di Miola di Pinè e in molte altre località del Trentino.
Nel 2019 ha allestito la mostra fotografica e poetica «Lacrime di resina – foreste ferite in Trentino» a Trento in loc. Candriai e Borgo Valsugana.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo.
 

La copertina del libro «Fiume che cammina».
 
Il volume «Fiume che cammina» propone immagini e versi che ripercorrono la vita dei pastori e i luoghi attraversati dal loro gregge. Quando è nata l’idea di scriverlo?
«La mia vicinanza con il mondo pastorale e con la pastorizia è iniziato nel 2015 in Val dei Mocheni, quando ho conosciuto la famiglia Laner, composta dai genitori e dai tre figli. Sono rimasto affascinato dai quei giovani, dalla loro allegria, dalla loro capacità di immedesimarsi in un territorio con la consapevolezza di vivere la libertà.
«Mi ha colpito molto questo loro modo di essere isolati e di vivere la bellezza della natura, delle montagne, di vivere senza timbrare mai il cartellino. Il loro è un mondo lento che cozza contro la chiassosità del mondo dei sedentari. Il mondo che cammina è un mondo libero, il più naturale possibile.
«Il libro nasce dopo un percorso durato quattro anni in cui ho cercato di valorizzare questo mondo, un mondo non visibile a tutti, in cui mi sono impegnato attraverso una serie di mostre fotografiche e poetiche (dal Muse al Museo geologico di Predazzo ecc.) e la produzione di due film.»
 
Che cosa le ha donato questa esperienza?
«Mi ha donato la consapevolezza di come le piccole cose contino moltissimo nella vita, dell’importanza dell’umiltà. Questa esperienza mi ha reso consapevole di quanto un modo di vivere più lento sia un valore enorme, ha rappresentato un percorso significativo della mia esistenza.»
 

Passo Manghen, Chiara Trettel - Foto di ©Alberto Pattini.
 
Nell’introduzione del libro lei cita fra l’altro un pastore di Cavalese, il cui soprannome è Scota. In breve, potrebbe condividere con noi un pensiero riguardo a lui e alla sua scelta di vita?
«Il suo vero nome è Marco Demattio, detto Scota. È un pastore unico con un’esperienza in questo campo quarantennale. È un personaggio molto amato da tutti, dove passa lascia sempre un buon ricordo di sé. È l’espressione della serenità, della tranquillità, possiede la consapevolezza di essere un uomo che da questo lavoro acquisisce dei grandi valori. È un uomo molto umile, si pone come un amico, è molto socievole, sempre scherzoso, come ho detto è molto amato.
«Quando passa Scotta tutti vanno a vederlo, tutti cercano di dargli un piccolo sostegno. È un personaggio dal sapore antico, nel senso che dormiva e dorme ancora sopra un telo per terra, sopra le foglie, coprendosi con le pelli di pecora. Vive la sua vita completamente a contatto con la natura. Scotta è buono dentro ed è una persona che dona moltissimo a chi lo incontra.»
 

Il filmato «Suoni vaganti in Trentino.»
 
Da un punto di vista valoriale che cosa può rappresentare oggi, in un mondo veloce e tecnologico come quello in cui viviamo, l’attraversare il territorio con il gregge, scegliendo di diventare pastore?
«Diciamo, innanzitutto, che fare il pastore è un lavoro che si fa per vivere, per guadagnarsi il pane quotidiano. Il pastore è un essere umano che fa questo lavoro con grande passione: possiede una passione immensa per gli animali, ha un grande desiderio di vivere in proprio, questa passione gli viene tramandata dai genitori oppure la vive perché è attratto da questo mondo particolare; un mondo lavorativo difficilissimo, pieno di difficoltà, di asperità, in cui sicuramente ci sono momenti in cui viene portato all’estremo, in cui viene temprato ma, soprattutto, viene ripagato dal sentirsi parte di un territorio che giudica meraviglioso e da cui trae la sua forza vitale. Il fatto di vivere più lentamente lo rende molto più umano e sensibile alle piccole cose.»
 

Gregge Laner a Canezza - Valle dei Mòcheni - Foto di ©Alberto Pattini.
 
I versi di «Lontano» rimandano a una vita autentica distante dagli «applausi» e dai «fragili e assetati inchini». Qual è il messaggio che ha voluto trasmettere attraverso questa poesia?
«I versi di Lontano racchiudono il significato di quello che ho portato via con me da questo mondo, trasmettono il significato della mia esperienza; l’essere lontani da quello che è la vita convulsa, lontani dagli applausi, dal mondo cosiddetto normale, fa scoprire un mondo che è completamente diverso, più umano, più vivibile, un mondo che si vive nella contemplazione, traendone una forza vitale.
«I versi trasmettono l’importanza di certi valori che non sono sicuramente la scalata, l’arrivismo, il sopraffare gli altri, o dimenticare qual è la propria dignità di uomo che è su questa terra e che vive per questa terra.»
 
Progetti futuri?
«Mi piacerebbe molto contribuire a realizzare un centro della transumanza, un centro culturale che possa essere testimonianza della cultura legata a questo modo di vivere.
«Il mondo della transumanza ha diecimila anni, nasce nel Neolitico con la rivoluzione culturale dell’uomo che da cacciatore diventa agricoltore e allevatore.
«Quindi è una tradizione lunghissima, la cultura pastorale è antichissima, un centro della transumanza vorrebbe dire per me valutare ulteriormente il nostro territorio, la nostra identità, la nostra capacità di continuare a vivere ricordando le nostre radici.
«È chiaro che questo obiettivo non è semplice da realizzare, andrebbe seguito anche da parte delle istituzioni provinciali, vedremo…»

Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it

Leo, il cane pastore di Chiara, con l'agnellino a Pampeago in Val di Fiemme - Foto di @Alberto Pattini.

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