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Luca Mercalli: timeout, emergenza pianeta – Di Daniela Larentis

Nel saggio «Il clima che cambia» il noto climatologo parla di riscaldamento globale. Uno spunto per riflettere al tempo del Coronavirus – L’intervista

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«Il clima che cambia – Perché il riscaldamento globale è un problema vero, e come fare per fermarlo», edito da BUR Rizzoli, è un saggio scritto dal noto meteorologo e climatologo Luca Mercalli, presidente della Società meteorologica italiana, accademico e divulgatore scientifico, conosciuto dal pubblico televisivo anche per la partecipazione alla popolare trasmissione «Che tempo che fa».
Uscito alla fine del 2019, è stato completamente revisionato alla luce dei molteplici aggiornamenti dal mondo della ricerca e dei negoziati internazionali (la prima edizione risale al 2009).
Il volume offre molti spunti di riflessione sottolineando i rischi che ci troveremo ad affrontare nel futuro, proponendo alcune accortezze da adottare subito per cercare di correre ai ripari prima che sia troppo tardi.
Già nelle prime pagine introduttive il lettore viene messo in guardia sul pericolo che stiamo correndo: se non verranno ridotte le emissioni le temperature medie globali aumenteranno entro la fine di questo secolo di oltre 4°C con conseguenze catastrofiche per l’intero pianeta.
 
Da moltissimi anni Luca Mercalli partecipa a meeting e parla, anche attraverso le sue pubblicazioni, dei cambiamenti climatici e di sviluppo sostenibile, della necessità di consumare meno e meglio, richiamando i lettori alla responsabilità individuale, nella convinzione che ogni persona possa fare la differenza per far fronte a un’emergenza che minaccia il nostro benessere e quello delle generazioni future (ricordiamo che nel 2017, nell’ambito della terza edizione del Festival della Meteorologia di Rovereto, ha tenuto un’importante conferenza promossa su iniziativa del Lions Club Rovereto Host).

Luca Mercalli, il clima che cambia.

Il cambiamento climatico rappresenta un’emergenza assoluta di cui si parla molto.
L’Accordo di Parigi, che risale al dicembre 2015 ed è parte integrante dell’Agenda 2030, ha stabilito la necessità di contenere l’incremento della temperatura media globale al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, prefiggendosi di abbassarlo a 1,5°C.
Per riuscire nell’ambizioso intento saranno necessari profondi cambiamenti del modello di sviluppo globale e dei singoli paesi, occorrerà investire nella green economy e ridurre massicciamente il consumo di combustibili fossili. Per fare tutto ciò è necessaria una volontà politica, le parole devono diventare fatti.
 
In piena emergenza Coronavirus, approfittiamo per spendere una riflessione su un’altra emergenza planetaria, il cambiamento climatico, la più urgente crisi ambientale, invitando i politici di ogni credo a impegnarsi al massimo affinché le buone intenzioni, e le belle parole, si possano realmente concretizzare.
Sembra peraltro che alcuni, oltreoceano, perseverino nel sottostimare i danni causati dall’inquinamento al pianeta, è notizia recente che Trump abbia annunciato su Twitter la cancellazione dei limiti alle emissioni inquinanti delle auto fissati da Obama.
Un fatto grave che si commenta da solo.
 
Se il mondo intero si è giustamente mobilitato investendo energie e risorse per bloccare la diffusione del virus, non sarebbe altrettanto sensato fare di più di quel che si è fatto fino ad ora per cercare di preservare la biosfera minacciata, attuando delle contromisure prima che sia troppo tardi?
Possibile che i decisori politici, coloro che dovrebbero responsabilmente tutelare gli interessi di tutti, siano così sordi e ciechi?
Abbiamo avuto il piacere di intervistare telefonicamente Luca Mercalli.


 
Da più di vent’anni lei cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di ridurre gli sprechi, di consumare meno e meglio. A che punto siamo nella lotta contro il cambiamento climatico?
«Purtroppo, direi che siamo un po’ a un punto morto proprio perché da 20 anni conosciamo l’esigenza di ridurre l’impatto delle attività umane sul pianeta e non ci sono a tutt’oggi dei provvedimenti concreti.
«Forse il recente annuncio della nuova Commissione europea del dicembre 2019 con il Green Deal aveva iniziato ad aprire delle prospettive un po’ più concrete su un pacchetto di misure ambientali; poi però è arrivato il Coronavirus che ha bloccato tutto e adesso c’è un grande punto interrogativo sul futuro, quindi sul fatto che effettivamente l’Unione europea abbia la forza di mettere in atto un’economia che riduca concretamente le emissioni, l’inquinamento, i rifiuti e così via.
«La faccenda virus in un modo o nell’altro sarà determinante: da un lato ha mostrato come provvedimenti drastici possono ridurre i consumi, soprattutto sui trasporti, dall’altro c’è il rischio che per compensare le perdite economiche di questi mesi si riparta esattamente come prima, ignorando le misure ambientali giudicate poi troppo costose per l’economia.
«Quindi, io direi che abbiamo acquisito in questi 20 anni una conoscenza scientifica sempre più elevata sui temi climatici, organizzati tantissimi incontri internazionali, le conferenze delle Nazioni Unite tutti gli anni, l’accordo di Parigi del 2015, ma sono rimaste tutte parole.
«Possiamo dire che ha fatto di più il virus in poco tempo che 30 anni di politica climatica.»
 
Ogni anno la comunità scientifica internazionale realizza migliaia di ricerche che confermano i danni causati dalle attività umane al pianeta. Nel volume «Il clima che cambia» lei spiega che non c’è più tempo da perdere. È un’emergenza da mettere in secondo piano rispetto ad altre?
«I problemi climatici in genere nella loro prima fase sono temporanei e intermittenti, uno può avere un’annata molto calda, secca, manca l’acqua per qualche mese, dopo piove e apparentemente i problemi vengono risolti.
«Un’alluvione può distruggere tutto, causando gravi danni, però poi un po’ alla volta la situazione torna normale e ci si dimentica di tutto. Quello che intendo dire è che, rispetto all’attuale emergenza sanitaria, il problema climatico è percepito come un qualcosa di più distante.
«E allora non si prendono provvedimenti immediati. C’è una differenza rispetto al virus, l’epidemia passerà e invece i problemi climatici andranno via via aumentando nei prossimi decenni fino a diventare irreversibili. Allora non sarà più possibile risolverli.
«Saranno troppo grandi e troppo duraturi, dureranno per secoli, per millenni. È questa la grande differenza. Un’emergenza come il virus ci terrà impegnati per sei mesi, per un anno, anche di più, ma ne usciremo, l’emergenza climatica se non verrà affrontata avrà effetti a lunghissimo termine.»
 
C’è l’impellente necessità di ridurre le emissioni di CO2 fossile. È notizia di questi giorni che Trump abbia annunciato la cancellazione dei limiti alle emissioni inquinanti delle auto fissati da Obama. Può fare un commento a riguardo?
«Purtroppo non riusciamo a utilizzare l’informazione della scienza per fare la giusta prevenzione a lungo termine. Se uno guarda gli interessi del momento, come fa Trump, non ha il minimo rispetto per le condizioni di vita dei nostri figli e delle generazioni future.
«Ovvio che le emissioni di CO2 di oggi non sono percepite come così nocive, se non per l’inquinamento magari delle città, ma non per il clima, è certo che fra 30-50 anni lo saranno.
«Trump non ci sarà più e i nostri figli e nipoti si troveranno a vivere in un pianeta ostile. Continuiamo a non capire la dimensione del problema ambientale…»
 
La storia del clima delle Alpi è uno dei suoi ambiti di ricerca. Quanto si sono ritirati i ghiacciai negli ultimi 10 anni nell’arco alpino?
«Negli ultimi dieci anni si sono ritirati molto rapidamente, ora non dispongo di un numero perché le misurazioni su interi ghiacciai alpini non vengono fatte a data fissa.
«Quindi, negli ultimi dieci anni non ho un valore medio per le Alpi, possiamo però fare un confronto con l’arretramento dell’ultimo secolo. Dai primi anni del Novecento ad ora abbiamo perduto il 60%. della loro copertura.»
 
Una delle soluzioni di cui lei parla per tentare di correre ai ripari risparmiando energia è per esempio quella di promuovere una economia circolare che massimizzi il riuso degli oggetti e il riciclo dei materiali. In estrema sintesi, come si può tutelare la salute del pianeta anche attraverso piccoli gesti quotidiani?
«Quelle da me proposte non sono idee naturalmente soltanto mie, la mia è sempre una sintesi della comunità scientifica. Detto questo, l’economia circolare riguarda soprattutto l’uso delle materie prime e il loro riciclo, dopo che gli oggetti hanno fatto la loro vita; siccome le materie prime non sono infinite e provocano poi dei danni se non vengono correttamente riciclate, la plastica è il simbolo di tutto questo quando finisce negli oceani, allora è importante che si usino meno materie prime cercando di riciclarle tutte a fine vita.
«In breve questa è l’economia circolare, contemplata tra l’altro nel famoso Green Deal dell’Unione Europea. Una delle grandi soluzioni per risolvere il problema ambientale è proprio l’economia circolare.
«Questo però secondo me va affiancato anche a una visione filosofica che non è quindi soltanto tecnologica: possiamo vivere abbattendo il superfluo e garantendoci il necessario? Quante delle cose che facciamo producono uno spreco, un consumo inutile di energia e di materiali, rifiuti che sarebbero evitabili?
«C’è un concetto di base, occorre interrogarsi su dove possano spingersi i nostri desideri.»
 
È un concetto riconducibile anche a quello che dice Serge Latouche nel volume «La scommessa della decrescita»…
«Sì, ma questo termine purtroppo non è piaciuto e crea subito un allontanamento, quindi io non uso mai la parola decrescita. A parte il fatto che la decrescita, come vediamo in questi giorni spesso ci può essere imposta dalle situazioni, io lo ricondurrei a qualcosa ancora di più vasto della proposta di Latouche, per esempio all’Enciclica Laudato si' di papa Francesco, una riflessione ancora più ampia, dove abbiamo una richiesta di rispetto per la nostra casa comune che per me è la biosfera, ognuno la chiami come vuole, attraverso il concetto della sobrietà e della sufficienza.
«Penso che sia importante garantire a ognuno le cose fondamentali per la dignità umana, il cibo, la casa, i bisogni primari più il welfare: lo vediamo in questi giorni quanto è importante uno stato sociale.
«Abbiamo bisogno di una sanità pubblica, abbiamo bisogno di istruzione pubblica, della cultura, ecc., tutto ciò deve essere garantito; da qui a farsi le vacanze alle Maldive in aereo, invece, ne possiamo parlare…
«Ci sono delle cose che la pubblicità o il confronto sociale hanno fatto diventare necessarie, ma non lo sono, sono superflue.»
 
In Italia, a suo avviso, si sta facendo abbastanza per promuovere nuovi modelli di sviluppo sostenibile?
«No. In Italia ci sono tante belle esperienze ma sono tutte piccole, locali, ridotte, manca un’importante riflessione a livello istituzionale. Non pretendo che l’obiettivo possa essere raggiunto in una notte, per il virus in una notte abbiamo cambiato il mondo con la firma di un decreto.
«Sarebbe opportuno riconoscere lo stesso livello di gravità anche per il clima e l’ambiente avendo a disposizione non poche ore ma dieci anni per adottare una nuova strategia: sfruttando la conoscenza in ambito scientifico che abbiamo, in Italia come all’estero, in due o tre anni si potrebbe mettere insieme un nuovo modello teorico, lo si potrebbe applicare, prima gradualmente fino alla sostituzione.
«Lo si farebbe mediante un processo negoziato con una serenità e una programmazione, quindi non verrebbe bloccata l’economia in una notte con una firma su un decreto, giungendo però allo stesso risultato, altrimenti continueremo a fare le conferenze del clima ogni anno e ogni anno le emissioni di CO2 cresceranno.
«Un nuovo modello economico è proprio quello che ci serve ma nessuno ci sta investendo. Speriamo che dopo questa esperienza ci sia la volontà di riflettere e di usarla come una lezione utile per risolvere gli altri problemi.»
 
In una sua recente pubblicazione accenna al fatto che l’inarrestabile flusso dei migranti sia dovuto anche ai cambiamenti climatici in atto. Come influisce il cambiamento climatico sulla mobilità?
«Lo vediamo dai dati, purtroppo il clima si riflette sulla disponibilità di cibo, basta una siccità in un paese povero per provocare degli effetti sulla mobilità.
«In futuro la mobilità sarà sempre più frequente con l’aumento del livello del mare. Più il mare aumenta, perché i ghiacciai fondendo ne aumentano il livello, e più ci sarà gente che scapperà dalle zone costiere.
«Adesso è ancora minimo questo problema, riguarda solo gli abitanti degli atolli corallini, nel Pacifico, ma fra qualche decina di anni investirà milioni e milioni di persone delle città costiere, compresa l’Italia.»
 
Siamo nel pieno dell’emergenza Coronavirus. Il diffondersi dell’infezione può essere, a suo avviso, legata anche alle caratteristiche climatiche dei paesi coinvolti?
«Questa è una minuscola ipotesi fra le tante che si sono fatte, teniamola d’occhio senza per ora farne una verità, nel senso che ce lo diranno i prossimi mesi se, effettivamente, via via che il tempo passa soprattutto i paesi caldi non vedranno esplodere l’epidemia o se invece è solo una questione di ritardo.»
 
Progetti editoriali futuri?
«Sto lavorando a un progetto che ha proprio a che vedere con la migrazione relativa al clima, in questo caso il migrante sono io stesso, ho deciso di trasferirmi in alta montagna.
«Il libro uscirà per Einaudi presumibilmente in autunno ed è il racconto di come ho scelto di andare a vivere per gran parte dell’anno in una baita a 1650 metri. L’idea è quella di recuperare le borgate disabitate e di rivitalizzare le zone alpine proprio in relazione al clima: in futuro, d’estate, le nostre città diventeranno invivibili per il caldo.
«E allora penso che ci sarà molta gente che tornerà a vivere in montagna per fuggire alla calura delle città. A vivere, non a passare una vacanza, riscoprendo l’agricoltura e svolgendo anche altre professioni.
«Bisognerà naturalmente agevolare questo recupero. Per esempio io andrò a fare il mio lavoro in montagna e grazie a internet potrò continuare a fare ricerca scientifica.»

Daniela Larentis - d.larentis@ladigetto.it

Il progetto di Luca Mercalli è visualizzabile a questo link.

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