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Matteo Boato, piazze vuote al tempo del Covid-19 – Di Daniela Larentis

«L’artista delle piazze» sogna il momento in cui si potrà, una volta terminata l’emergenza Coronavirus, scendere nuovamente in piazza – L’intervista

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Matteo Boato, Padova, 100x70 cm, olio su tela, 2003.
 
Strade deserte, piazze spopolate, serrande abbassate, locali chiusi e chiese vuote, lo spazio urbano ha cambiato volto dall’inizio dell’emergenza Coronavirus.
La bella notizia è che prima o poi tutto questo sarà solo un brutto ricordo anche se dovremo pazientare ancora per tornare alla vita di prima, per quanto riguarda l’effetto economico di una chiusura delle attività così prolungata non potrà che essere pesante, ci sono e ci saranno tutta una serie di problematiche da affrontare.
 
Mentre ci si interroga su ciò che sta accadendo, per ora da dentro le case non resta che scrutare il cielo azzurro, confidando nell’agognato ritorno alla cosiddetta normalità.
Se la distanza di sicurezza che si dovrà mantenere nei prossimi mesi avrà o meno importanti ricadute sul piano psicologico ce lo diranno gli esperti a tempo debito, quello che è certo è che ora come ora quel senso di smarrimento che aleggia nell’aria tocca un po’ tutti e sono specialmente gli anziani ad accusare il colpo, coloro che già in tempi non sospetti avvertivano più d’altri il peso dell’isolamento.
 

Matteo Boato, «Virus?», pastelli ad olio, 42x30 cm, 2020.
 
Chi ha affrontato artisticamente negli anni il tema della casa e della piazza, centro privilegiato della relazione umana nel contesto urbano, è Matteo Boato, un pittore trentino che non ha bisogno di presentazioni, molto apprezzato sia a livello nazionale che internazionale.
Fra le innumerevoli mostre al suo attivo ne ricordiamo solo un paio allestite nella nostra città: la personale organizzata nel 2017 al Muse, lo splendido museo delle scienze di Trento, e quella intitolata «Luoghi trentini» del 2016, con l’esposizione di una trentina di opere nella splendida location di Torre Mirana, senza dimenticare il percorso espositivo a cielo aperto di via Belenzani, predisposto nell’autunno del 2018 nel cuore cittadino, in occasione del Premio di Poesia Città di Trento; del 2019, citiamo anche la personale allestita presso la Casa della Cultura a Caldonazzo, Trento, curata da Waimer Perinelli, presidente del Centro d’Arte La Fonte.
 
Per Matteo Boato la piazza è un luogo affascinante e misterioso; come lui stesso afferma «anche quando è vuota custodisce la memoria di ogni passaggio e proprio per questo è un crocevia unificante per tutta la cittadinanza».
Le sue piazze ritraggono luoghi di incontro e socializzazione, luoghi identitari, luoghi della memoria, spazi che pullulano di vita di cui abbiamo tutti una grande nostalgia.
Lo abbiamo raggiunto telefonicamente porgendogli alcune domande.
 

Matteo Boato, «Virus?», pastelli ad olio, 20x30 cm, 2020.
 
L’Italia è bloccata da settimane dall’emergenza Coronavirus. Da artista come sta vivendo questa situazione?
«Anzitutto chiedo scusa per la franchezza con cui rispondo a domande inerenti all’emergenza Coronavirus. Devo ammettere che la mia reazione alle decisioni di governo e successivi decreti presidenziali, pur sapendo che la Costituzione può, in caso di emergenze che mettano a rischio la salute e la sicurezza della popolazione, impedire ai cittadini di circolare liberamente, è stata fin da subito di sentirmi agli arresti domiciliari, dovendo subire una limitazione della libertà personale di cui non comprendo appieno le ragioni profonde e, da non giurista, chiedendomi se sia stata più legale che legittima.
«Pur non dubitando dell’aggressività del virus (riposino in pace tutte le persone decedute in questo periodo a causa sua e un grazie sincero a chi si trova in prima linea a gestire il problema) ho avuto e continuo ad avere la sensazione netta che ci sia qualcosa di torbido e davvero poco chiaro dietro all’intera faccenda, spero naturalmente di sbagliarmi.
«Ci si potrebbe per esempio chiedere se esistano altre ragioni che possano giustificare la diffusione dell’epidemia nonché la gestione della stessa anche in termini di panico sociale, a livello mondiale e non italiano ovviamente, visto che l’emergenza è planetaria; il sospetto è che dietro alla pandemia si possano nascondere forti interessi.
«Nel corso della quarantena obbligatoria ho tentato di esternare in più modi il mio malessere non solo per la restrizione di libertà imposta alla maggior parte della popolazione, con il bene placido di quasi tutti i cittadini convinti da tv e media che quella fosse l'unica strada percorribile, ma anche per le mie oggettive difficoltà di sostentamento.
«Un terzo del mio lavoro annuale è stato mano a mano che piovevano i decreti cancellato in modo definitivo. Mi sono ovviamente adeguato alle regole, ma con la convinzione personale, che mi deriva dalla mia formazione anche in ambito scientifico, essendo io ingegnere, che siamo di fatto entrati nell'era di una nuova religione mondiale dominante: la scienza che è, e sempre sarà, un insieme di teorie (e non verità!) per leggere e interpretare la realtà, e invece diviene diktat indiscutibile e inconfutabile.»
 

Matteo Boato, «Virus?», pastelli ad olio, 30x42 cm, 2020.
 
Nel ciclo «Chi è il virus?» i personaggi ritratti hanno tutti la mascherina…
«Sì, sono le persone che si vedono circolare nelle città italiane ora e che hanno l’obbligo di indossarle. Sottolineo italiane, in quanto in altri paesi hanno sostenuto misure anti diffusione del virus molto più intelligenti, a mio avviso, permettendo per esempio di circolare all'aria aperta e di fare sport da soli ma serenamente, insomma di curarsi dall'immobilità lavorativa e sociale in modo umano (tra gli altri si veda Belgio, Svizzera, Svezia, Giappone).
«La richiesta dei governi di compiere un sacrificio così grande stando confinati tra le mura domestiche per settimane e mesi ha per me il sapore della dittatura. Tra l'altro, questi decreti hanno alimentato un disgustoso atteggiamento moralistico e paternalistico (la polizia tante volte in Italia è stata allertata da vicini di casa che, presumendo di essere moralmente superiori al corridore solitario avvistato sulla spiaggia deserta, avvisavano loro stessi le autorità) sorprendentemente simile alla sottomissione irragionevole di molte religioni.
«Così la mascherina raffigurata è più una benda che impedisce alle persone di dire la loro, di esprimere la loro idea magari in contrasto pieno con le imposizioni normative, perché in questa pandemia, dove i cani erano più protetti dei bambini, è anche diventato indecente se non incivile dire la propria opinione senza passare per un egoista.
«Chi è il virus? però insinua un dubbio, invitando a una riflessione: nel lavoro pittorico il virus (questo virus che sappiamo essere scarto di RNA, un essere che non si può neppure scientificamente definire vivo) è il Coronavirus o invece è l'individuo con la mascherina che si riproduce a dismisura, inquina tutto, aria, acqua, suolo, e utilizza la terra come organismo ospitante (come fanno appunto i virus) fino a ucciderla per passare oltre?
«Fra le due scelte possibili io propendo per la seconda. L'uomo si comporta come un virus a tutti gli effetti, più di sette miliardi e mezzo di individui che popolano il pianeta andando avanti di questo passo soffocheranno l'ambiente dove vivono, già in piena agonia.»
 

Matteo Boato, «Chi è il virus?», 26x36 cm, china su scatola riciclata, 2020.
 
Le piazze da vivaci luoghi di incontro si sono trasformate per l’epidemia di Coronavirus in spazi vuoti. Torneranno ad essere luoghi di socializzazione o cambierà anche psicologicamente il nostro modo di relazionarci dovendo rispettare il distanziamento sociale? Da «artista delle piazze» qual è il suo pensiero a riguardo?
«I comportamenti sociali saranno molto diversi dopo questa quarantena. Le persone si fideranno poco l'una dell'altra e vi sarà un periodo difficile di riavvicinamento. Sono due mesi che non abbraccio mia madre e mia sorella, tra l'altro tutti noi siamo appena usciti da un lutto famigliare.
«Le piazze italiane in questo contesto storico saranno fantastici luoghi di ritrovo, ovvero luoghi dove ritrovare la propria dimensione umana e le proprie relazioni sociali. Non vedo l'ora, come tutti immagino, di tornare in piazza Duomo, salutare gli amici, prendere un caffè e stare a guardare il passaggio discreto della gente.»
 

Matteo Boato, «Chi è il virus?», 20x35 cm, china su scatola riciclata, 2020.
 
Esistono categorie meno tutelate rispetto ad altre in presenza di eventi straordinari come quello che stiamo vivendo, per esempio gli artisti che vivono unicamente del loro lavoro sentono particolarmente la pesantezza di questa situazione. Secondo lei l’artista è una figura sufficientemente riconosciuta nel nostro Paese?
«È una categoria per nulla riconosciuta in Italia, paradossalmente patria di opere d'arte apprezzate a livello mondiale ma dove non esiste neppure una cassa previdenziale per gli artisti (che non siano dello spettacolo). Non solo fare l'artista non è considerato un lavoro nel nostro Paese, ma non esiste un minimo di sussistenza (in Nord Europa e nei Paesi germanici invece è una realtà). L’Italia è piena di artisti che non possono lavorare di sola arte, lo fanno la domenica, hanno un lavoro stabile per sostentarsi. Ma vivere solo del proprio lavoro, nel bene e nel male, è altra cosa.
«E pensare che l'arte ha sempre anticipato la realtà dei fatti, ha sempre visto oltre e rovesciato paradigmi, mostrato il mondo da punti di vista nuovi. L'arte arricchisce la mente e lo spirito ed è l'unica visione fantastica non vincolata da regole di alcuna forma della realtà. Peraltro della realtà non sappiamo quasi nulla neppure dal punto di vista prettamente fisico/scientifico (basti pensare che abbiamo pensato il mondo reale passando da tre dimensioni, più il tempo nelle teorie di Galileo o Einstein, a undici nella teoria fisica attuale e stiamo viaggiando verso le infinite dimensioni a mio modo di vedere, assumendo la prospettiva dell’artista che può permettersi di viaggiare con l'immaginazione).
«L'artista è una persona libera che prova a mostrare ciò che il mondo non vede, interpreta la realtà in modo non convenzionale, magari sbagliando tutto ma con una propria individualità.
«Per quanto riguarda la mia piccola esperienza personale, ho perso in due mesi, dal 24 febbraio, un terzo delle entrate annuali per la gestione di questa pandemia e sto guardando al futuro valutando seriamente l'ipotesi di integrare il lavoro con altra attività da settembre.
«Una famiglia da sostenere non mi permette più di sperare che in tempi brevi le persone possano nuovamente tornare a investire nell’arte, probabilmente impegnate economicamente a dare spazio ad altre priorità.
«E quando verranno liberate dalla loro attuale prigionia, quelle almeno che avranno avuto la fortuna di poter contare in questi mesi su uno stipendio, vorranno solamente ritornare al lavoro ed eventualmente evadere con viaggi e altre distrazioni. I quadri aspetteranno parecchio…»
 

Matteo Boato, «Chi è il virus?», 22x26 cm, china su scatola riciclata, 2020.
 
Se potesse lanciare un appello a chiunque a chi sceglierebbe di lanciarlo e cosa gli direbbe?
«L'appello lo lancerei ai governi di tutti gli stati mondiali, per sfruttare in modo inatteso questa pandemia: ridare alla Natura il respiro necessario per rendere la vita su questa terra veramente più autentica, favorendo in modo spinto le piccole economie locali e rigenerando attività lavorativa e produttiva di qualità, non certo scendendo al ricatto delle case farmaceutiche nell’obbligare tutta la popolazione mondiale a un vaccino anti Covid che credo sia inutile, dannoso, ma soprattutto immensamente proficuo per le loro casse.»
 

Matteo Boato, «Chi è il virus?», 22x30 cm, china su scatola riciclata, 2020.
 
A cosa sta lavorando?
«Sto lavorando a personaggi mascherati di cui ho parlato prima. Preparo con l'aiuto delle mie figlie dei video tutorial che accompagnino lunghi
laboratori per bambini, i soggetti più delicati in questo periodo, e le loro
famiglie, e che saranno pubblicati dalla Federazione delle Scuole Materne (vedi).
«Sto raccontando il famigerato virus con olii su carta. Studio inoltre antropologia per mio diletto.»
 
Sogni nel cassetto?
«Poter tornare a viaggiare e a farmi portare in giro dai miei quadri.»
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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