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Street art: OZMO – Di Daniela Larentis

Artista di fama nazionale e internazionale, è uno degli indiscussi pionieri della Street art italiana – L’intervista

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OZMO, Untitled - San Francisco 2016 ©.
 
Ozmo, artista di fama nazionale e internazionale, è uno degli indiscussi pionieri della Street art italiana.
Per quanto riguarda la sua formazione, Gionata Gesi studia all’Accademia di Belle Arti di Firenze e dai primi anni Novanta, dopo un esordio nel mondo del fumetto, si concentra sulla pittura e sul writing. Nel 2001 si trasferisce a Milano, dove oltre all’attività in galleria lavora nello spazio pubblico come Ozmo.

In occasione della mostra Assab One curata da Roberto Pinto nel 2004, è uno dei primi street artist italiani a comparire in un contesto istituzionale e tra i primi in Italia a documentare con immagini, fotografie e parole la Street Art made in Italy con il libro Milano, guida alternativa, pubblicato in occasione della prima personale dell’artista nella galleria Astuni di Pietrasanta, Lucca.
Sempre a Milano firma interventi monumentali in centri sociali e spazi alternativi, tra cui il Leoncavallo, dove realizza una delle sue opere murali più famose.
 

OZMO, Chinese Still Live, Chinatown - San Francisco 2015.
 
Sarà proprio quel lavoro qualche anno dopo a essere definito «la Cappella Sistina della contemporaneità» e ad essere scelto come copertina del libro «I graffiti del Leoncavalloedito» da Skira.
«Street Art Sweet Art» è la mostra collettiva al Padiglione di Arte Contemporanea (che nel 2007 richiama l’artista in Italia, dopo un periodo di lavoro negli USA e in Messico).
Seguiranno mostre in galleria tra Milano e Londra e un passaggio in asta da Christie’s nel milanese Palazzo Clerici.
 
Absolut sceglierà Ozmo come primo artista per i progetti Absolut Wallpaper e Absolut Wall, due imponenti wall painting realizzati alle Colonne di San Lorenzo a Milano e all’Ex Mattatoio al Testaccio di Roma. Quest’ultima installazione verrà ripresa e documentata anche oltreoceano in un articolo pubblicato nell’edizione online del New York Times.
Moltissimi i progetti e le mostre al suo attivo sia in Italia che all’estero. Nel 2014 la prestigiosa enciclopedia TRECCANI gli dedica una pagina.
Ad oggi Ozmo ha realizzato murales e interventi pubblici in importanti città italiane e in diverse metropoli in America, in Asia, in Europa, fra le quali Chicago, Miami, Shanghai, Chengdu, New York, Parigi e altre.
Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo via Skype, porgendogli alcune domande.
 

OZMO, Apocalypse, acrylic on recycled pvc and wall ambiental dimensions, 2008 Museo del 900 - Milan 2012 ©
 
Partiamo dal suo nome d’arte: perché ha scelto lo pseudonimo OZMO?
«Questo pseudonimo può essere letto in molte maniere, alcuni significati sono stati attribuiti a posteriori. Per esempio l’acronimo OZMO sta per one, zero, minus one, quindi uno, zero, meno uno, e potrebbe rappresentare la retta inclinata di quarantacinque gradi passante per l’origine (la retta che passa per punti (1,1), (0,0), (-1, -1); mi ha dato inoltre la possibilità di utilizzare le due O, estremità funzionali a contenere inserti figurativi.
Le O e le I assieme alle L e alle D sono lettere solitamente disprezzate dai graffitari perché non si possono muovere. Se si muove una O diventa qualcosa d’altro: se si apre diventa una V, se si gira diventa una D e così via. Le due O mi hanno quindi permesso di inserire elementi figurativi all’interno di un graffito, composto dalla Z e dalla M.
Già 25 anni fa ero interessato all’aspetto figurativo, ero una mosca bianca, in quanto al tempo dei graffiti si realizzavano solo cose astratte, anche per questo vengo considerato uno dei pionieri della Street art.»
 
Potrebbe accennare alla sua evoluzione artistica?
«Sono passato dall’Accademia di Belle Arti all’interesse nella cultura alternativa; al tempo si passava dagli spazi occupati, dai centri sociali, mi sono dedicato ai graffiti, al fumetto.
«Tutti questi strumenti li ho sempre utilizzati insieme, nelle mie opere si possono trovare elementi di arte contemporanea, elementi di storia dell’arte, elementi di cultura hip hop, di cultura underground, il mio interesse per la grafica o anche per un certo tipo di tradizione esoterica-magica, tutto questo mischiato.
«Sono stati i miei interessi e i miei riferimenti culturali, probabilmente, ad avermi dato un indirizzo che poi ho condensato nella ricerca che porto avanti come Ozmo.»
 

OZMO, Grab this cock, the RAW project - Miami 2016 ©.
 
Molti street artist non vogliono che le loro opere siano esposte nei musei o nelle gallerie. Cosa ne pensa?
«Ognuno fa le scelte che desidera. Se uno non vuole che le proprie opere siano esposte in galleria basta evitare quei contesti, basta semplicemente non vendere le opere. Spesso e volentieri ci sono artisti che utilizzano certi temi più che altro per ottenere visibilità, per arrivare ad essere famosi, piuttosto che per non entrare nel contesto artistico.
«O magari perché il contesto artistico li ha già rifiutati. Io dico che il mondo è bello perché è vario, se uno non vuole entrare in un museo semplicemente non vende le proprie opere. Allora non faccia mostre! È un problema che non esiste per me, un problema che non dovrebbe esistere per nessuno dotato di buonsenso.»
 
Quali sono i soggetti da cui trae maggiormente ispirazione?
«Sicuramente la storia dell’arte, le grandi narrazioni, le grandi opere. Possono essere letterarie, artistiche o mitologiche.»
 
Che tecniche utilizza nella realizzazione delle sue opere?
«In realtà qualsiasi tecnica, dipende dal contesto. Ho dipinto per tanti anni ad olio, ad acrilico, ho disegnato per tanti anni con i pennarelli, a matita, forse quella che sento meno mia è la tecnica dell’acquarello.»
 

OZMO, Colors way of Life, Nippon Paint charity project - Shanghai 2017 ©.
 
C’è qualche artista del passato che le piace in particolare?
«A me piace molto Leonardo Da Vinci, un artista geniale ed estremamente ambiguo; in termini di pratica, in quanto era uno scienziato straordinario ma era anche un artista eccezionale, in termini sessuali, perché era omosessuale, si dice che la Gioconda fosse il suo autoritratto, credo che questa ambiguità sia un po’ il segreto del suo successo e lo renda un po’ quel mito che è entrato nell’immaginario collettivo. Il passato per me è sempre un punto di riferimento.»
 
C’è un particolare messaggio che lei ama trasmettere attraverso le sue opere?
«Io non credo nell’arte che veicola messaggi, perché qualsiasi arte che veicola messaggi diventa arte retorica e diventa vecchia; un messaggio che viene veicolato oggi non è un messaggio sensato domani. Quindi, è la pratica artistica ad essere centrale, il presupposto dell’avanguardia era proprio quello di interrogarsi sulla pratica e sul significato dell’arte, sui mezzi dell’arte, con il rischio che poi diventasse un qualcosa di autoreferenziale. La ricetta per me è un po’ cercare di stare in equilibrio fra questi due ambiti contrapposti, per non fare un’arte retorica o didascalica, ma al tempo stesso evitare l’autoreferenzialità di tanta arte contemporanea, arte che non riesce più a parlare all’uomo comune»
 
Lei ha firmato l’installazione «Still Death», un’opera innovativa dipinta su pvc trasparente realizzata alla Fabbrica del Vapore di Milano, in occasione del lancio italiano del dvd di Banksy Exit thru the gift shop…
«Io cerco sempre di lavorare in site-specific, lavorare cioè tenendo conto del contesto, creando una comunicazione fra quello che è il soggetto, il contesto o l’osservatore. Lo faccio a vari livelli e in vario modo.
«Nel 2011 ho realizzato un’opera innovativa dipinta su pvc trasparente realizzata alla Fabbrica del Vapore di Milano, fra l’altro davanti a un centro sociale al quale io sono stato molto legato.
«C’era all’epoca proprio in quello spazio una grande mostra di Anish Kapoor, artista indiano di fama internazionale, ho creato quest’opera davanti alla sua installazione. In quel momento la Feltrinelli stava lanciando il dvd di Banksy.»
 

OZMO, Portrait of a Black Man Open Walls Baltimore 2 - Baltimore, USA 2014 ©.
 
Nel 2012 ha esposto a Milano, negli spazi del Museo del Novecento, «Il Pre-Giudizio Universale». Potrebbe condividere qualche pensiero a riguardo?
«Ho sempre lavorato molto con i simboli, anche con le parole che alla fine sono esse stesse dei simboli. L’ambiguità e anche una certa ironia è stata realizzata anche in tante avanguardie storiche.
«Allora, quello che cerco di fare è mettere insieme tutti questi ingredienti e giocare proprio assecondando questa attitudine.
«Il pregiudizio culturale rappresentato in questa mostra, in un contesto così importante come il Museo del Novecento a Milano, si poteva interpretare in molti modi, a partire dalla mia passione per le simbologie apocalittiche per certo tipo di grandi narrazioni: quale grande narrazione migliore della Bibbia?
«Al tempo stesso c’è questo gioco linguistico tra il Giudizio Universale e il Pre-Giudizio Universale che poteva riferirsi appunto alla Street art e all’arte contemporanea.
«L’arte contemporanea ha un certo tipo di pregiudizio rispetto alla Street art, ma è anche vero il contrario. Poi, l’interpretazione come al solito nelle mie opere è aperta…»
 
Lei dal 2015 è direttore artistico della manifestazione internazionale di muralismo «Wall in Art». Di che evento si tratta?
«Invitiamo due artisti internazionali ogni anno a dipingere in un contesto che è quello della Valle Camonica, generalmente un artista nazionale e un artista non italiano.
«È interessante perché è una tradizione di segni e di graffiti preistorici e quindi culturalmente affonda le radici in un passato lontanissimo e al tempo stesso è anche una sfida, in quanto si interviene in un contesto montano dove non abbiamo molti muri metropolitani a disposizione. È anche difficile intervenire in un contesto di montagna dove le persone sono notoriamente molto chiuse, è un luogo difficile da raggiungere, perciò riuscire a portare un certo tipo di arte o comunque lavorare in contesti di quel tipo, così chiusi, così delicati ma anche ricchissimi di tradizioni e di stimoli, è stata una grande sfida. Speriamo di poter continuare a proporla.»
 

OZMO, Tondall’s Vision 6,5x4,5 m - Turin, 2015 ©.
 
Progetti futuri?
«Durante l’emergenza Coronavirus ho lavorato molto nel mio studio di Parigi dove attualmente vivo, molti dei miei progetti, la maggior parte, soprattutto quelli più grandi, sono stati rimandati, li riprenderò appena possibile.»
 
Dove lavora principalmente?
«Io lavoro ovunque, ho lo studio ancora a Milano, ho un piccolo studio a Parigi, dipingo qui, dipingo a Milano, dipingo dove mi si chiama, sono sempre in giro; è molto stressante ma anche molto stimolante ed è anche un qualcosa che mi permette di uscire un po’ da determinate logiche provinciali che ci sono un po’ ovunque, che esistono nella testa di ognuno di noi.»
 
Daniela Larentis – d.larentis@ladigetto.it

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