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Stare con gli occhi appesi al soffitto – Di G. Maiolo, psicoanalista

Adolescenti senza sogni e con la paura di crescere. Si sono azzerati i desideri ed è impoverita la spinta a oltrepassare il confine per esplorare il mondo

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L’epoca che stiamo vivendo, fa pensare ad un crescere del disagio giovanile. Di certo la pandemia con il suo carico pesante di angoscia e isolamento sociale ha prodotto un ampliamento di quella zona grigia che ogni giovane deve attraversare per diventare adulto. Che si tratti di un allungamento dei tempi di percorrenza o un’estensione delle complessità relazionali da affrontare durante la crescita, poco cambia.

Anzi entrambe le due prospettive sembrano squisitamente connesse con le fatiche di oggi per diventare adulti.
Quello che è rilevante, al di là del disagio targato covid, è il rischio per i nuovi adolescenti di restare fermi oltre il cosiddetto «tempo massimo» nel laboratorio domestico in cui si sperimentano eccitanti accelerazioni, brusche frenate ma anche inimmaginabili regressioni.
Il pericolo di rimanere ai blocchi di partenza come eterni adolescenti, è concreto e diffuso. Scrive con maestria Judith Viorst che «un adolescente normale non è un adolescente normale se si comporta in modo normale».
Alludeva alla necessità di diventare se stessi anche grazie alla rappresentazioni delle parti trasgressive e anomale che si devono attraversare nel periodo delle massime trasformazioni.

Invece è sempre più alto il rischio di stare sospesi sul confine o camminare in bilico davanti al vuoto rischiando in ogni istante di scivolare.
Personalmente penso che il fenomeno del ritiro sociale che appartiene ai nuovi giovani, non rappresenti un aspetto patologico ma, nella maggior parte dei casi, sia un comportamento di fuga e il tentativo estremo di riempire un vuoto incombente spesso fatto di attrezzature mancanti e di accompagnatori assenti.
Per salire in montagna servono scarpe adatte, capaci di garantire aderenza al terreno, ma anche una buona guida in grado di indicare il percorso e sostenere nei passaggi più esposti.
In fondo la crescita ha sempre scatenato aggressività e conflitti, di solito alimentati dallo scontro generazionale, dalla sfiducia e dalla rivalità che si respira solitamente quando si trovano nuove e vecchie generazioni.

«La gioventù di oggi è corrotta nell’anima, malvagia e infingarda, e non potrà mai essere la gioventù di una volta né conservare la nostra cultura» – recitava l’iscrizione di una tavoletta Assiro-babilonese 1.000 anni prima di Cristo.
E la citazione dimostra che il tono dell’invettiva è rimasto immutato, quello di sempre, anche se adesso c’è dell’altro.
Un mio giovane paziente di diciassette anni un giorno mi dice: «Io questi giovani non li capisco più» e parlava di suo fratello che ne aveva 14.
Per dire che le generazioni del nostro tempo superveloce corrono a fianco ma faticano enormemente a capirsi.

Allora viene da domandare: come facciamo a comprenderli noi?
E quanto è diventato difficile attraversare quest’epoca di continue e veloci mutazioni?
nterrogativi aperti ma che possono farci capire perché è diventato più facile fermarsi o rimanere in disparte per paura di crescere.

E poi se nessuno sa più stare «con gli occhi appesi al soffitto» come scriveva al liceo un mio compagno di classe intendendo il tempo del fantasticare, nessuno sa più sognare ad occhi aperti.
In mancanza di questo si sono azzerati i desideri ed è impoverita la spinta a oltrepassare il confine per esplorare il mondo.

Giuseppe Maiolo – psicoanalista
Università di Trento - www.officina-benessere.it

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