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Il 20 novembre dei bambini in povertà educativa – Di G. Maiolo

Lo psicologo: «Vanno ripensate totalmente le azioni educative e gli incontri con i piccoli alunni della primaria per contrastare qualsiasi violenza»

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Ancora una volta l’Atlante dell’infanzia a rischio presentato qualche giorno fa da Save the Children Italia che è alla 12ª edizione, racconta di un’Italia più vecchia e più povera.
In quasi due anni di pandemia soprattutto i minori, bambini e adolescenti, hanno visto peggiorare le loro condizioni economiche ma in particolare quelle educative.
Secondo Save the Children nel 2020 «Un milione e trecentomila sono i minori che vivono in povertà assoluta ovvero senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente e uno su sette non ha accesso a beni e servizi essenziali» e dove la DAD ha messo a dura prova bambini e adolescenti, soprattutto quelli più svantaggiati.
 
Colpisce però in modo particolare l’aumento della povertà educativa e relazionale che si traduce in perdita di opportunità di crescita prodotta per lo più dalla disattenzione e dalla trascuratezza affettiva degli adulti di riferimento.
Al report di Save the Children si affiancano altre ricerche che confermano quanto siano in aumento tra gli adolescenti alcune pratiche al «limite» come quello dell’abuso di alcol.
Ad esempio secondo il Ministero della Salute e la Società Italiana di Alcologia (SIA) nel 2020 c’è stato un incremento del 23,6% per i maschi e del 9,7% per le femmine.
E sorprende non poco il dato che tra consumatori a rischio nella fascia 14-17 anni, le ragazze per la prima volta siano in numero maggiore dei maschi.
 
Ovviamente preoccupa l’aumento della pratica del «binge drinking», cioè la sbronza alcolica data dall’assunzione rapida di quantità consistenti di alcol, che porta ancora al Pronto soccorso il 10% dei giovani consumatori di alcol al di sotto dei 18 anni.
Un comportamento già ampiamente diffuso prima del Covid, che adesso inizia a 11 anni, con i genitori sempre all’oscuro.
Eppure sono anni che scuola e organizzazioni per la prevenzione fanno campagne di sensibilizzazione e producono quintalate di dépliant informativi.
Questo, come altri comportamenti, ci deve far riflettere sul fatto che non servono tanto gli «interventi spot», fatti di incontri informativi e prediche che spesso lasciano il tempo che trovano.
 
Vanno ripensate totalmente le azioni educative e promossi progetti nuovi di sviluppo di competenze necessarie per rendere i minori precocemente consapevoli dei rischi che corrono quotidianamente.
Incontro di continuo e ovunque piccoli alunni della primaria che, nonostante gli sforzi per contrastare la violenza in tutte le sue forme, continuano a pensare che ci si difende da soli nei confronti dei bulli a scuola e sul web.
Lo fanno perché hanno capito che gli adulti, a parte i sermoni, non li sanno proteggere perché distratti e trascuranti.
E poi perché hanno respirato le tossine dei «grandi» che predicano concetti come «forza», «dominanza», «prestanza maschile» e «capacità di arrangiarsi».
 
La famiglia e la scuola che insistono su un’educazione competitiva e non di cooperazione, che occupano poco spazio formativo per ascoltare le emozioni o esercitare la tolleranza e la gentilezza, offrono poco tempo all’ascolto e alla narrazione affettiva e stanno facendo aumentare, anno dopo anno, la povertà educativa.

Giuseppe Maiolo - Psicoanalista
Università di Trento - www.officina-benessere.it

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