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Bulli e disimpegno morale – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Il bullo trova nei comportamenti delle vittime stesse le ragioni che giustificano le sue azioni offensive intenzionali e non casuali

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Di bulli ce ne sono tanti. Troppi sicuramente e distribuiti un po’ dappertutto, non solo nei luoghi tradizionali come la scuola o il parco pubblico e ora il web dove è più facile spargere i semi dell’intolleranza e della violenza. Li puoi incontrare nella quotidianità di quelle relazioni in cui prevale il bisogno di affermare il proprio potere e quando i gesti di prevaricazione e prepotenza sono tollerati e soprattutto giustificati.

Naturalmente penso al bullismo come comportamento aggressivo tra pari, intenzionale e persistente.
Quello che ritengo essere una violenza orizzontale che si manifesta tra i minori con una disparità di potere e interessa gli adolescenti ma anche i bambini.
Oggi sempre di più piccoli bulli crescono, anzi piccolissimi, e sviluppano azioni bulle con il compiacimento di chi guarda e non dice nulla.
Ma poi ci sono anche grandi bulli cresciuti che sono giovani adulti o adulti veri e propri i quali, al di là degli anni e del ruolo che rivestono (magari sono genitori, educatori o soggetti con responsabilità pubbliche), mantengono nel tempo modi e comportamenti di prevaricazione.
 
Intendo dire che il bullismo sembra essere divenuto una condizione comportamentale e un modo di agire non solo dei minori, che ha come scopo quello di prevaricare e spadroneggiare sugli altri per dimostrare il proprio potere.
Così riconosci subito anche nei grandi questi atteggiamenti perché sono comportamenti simili a quelli dei giovani babbuini tutti protesi a stabilire gerarchie di dominanza all’interno del gruppo di appartenenza.
I «bulli in carriera» ad ogni età utilizzano strategie volte a definire la loro posizione sociale e aumentare la propria popolarità per essere il più possibile visibili ad un pubblico sempre più vasto. Perché il bullo non esiste senza spettatori!
 
In questo senso il bullismo è allora un comportamento caratterizzato dalla prevalente tendenza ad usare ogni mezzo e ogni situazione per affermare il proprio ruolo di leader e la propria superiorità.
I bulli dominanti sono irrispettosi e sprezzanti degli altri e vantano sicurezza e determinazione, anche se non sempre è così realmente.
Sicuramente hanno una buona dose di autostima e di presunzione che li spinge verso atteggiamenti più di sfida che di confronto.
La spregiudicatezza con cui essi presentano le loro determinazioni è quasi sempre espressione del potere che cercano e di un innaturale bisogno di sottomettere insieme a una evidente incapacità a mettersi nei panni degli altri.

Per questo il bullo non rispetta i bisogni altrui e quella sua eccessiva auto-centratura non gli permette di cogliere la sofferenza delle vittime né avvertire la colpa per le offese che arreca.
Manca di senso morale, il che lo conduce a dissociare la propria azione dalla valutazione che si può dare, sottraendosi così alle personali responsabilità le quali, viceversa, vengono attribuite ad altri.
Del resto maggiore è il disimpegno morale e minore è il senso di colpa.
 
Il meccanismo, chiamato «dislocazione delle responsabilità», consente al bullo di trovare nei comportamenti delle vittime stesse, le ragioni che giustificano le sue azioni offensive intenzionali e non casuali.
Capita così che egli arrivi a sostenere la necessità del proprio agire per cause superiori come può essere quella della difesa di valori morali più elevati o dei diritti del gruppo di appartenenza.
Se poi quel disimpegno è di dimensioni consistenti, la «deumanizzazione» della vittima è un ulteriore meccanismo che gli consente di vederla come soggetto meno umano, che in fondo si merita quel trattamento perché privo di dignità.
E questo, alla fine, è ciò che capita quando il bullismo diventa razzismo.
 
Giuseppe Maiolo
Psicologia dello sviluppo – Università di Trento
www.officina-benessere.it

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