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«Dolcetto o scherzetto?» – Di Giuseppe Maiolo, psicoanalista

Hallowen: può sembrarci una festa inventata che non ci appartiene, ma in fondo rappresenta uno dei riti di passaggio che ha a che fare con il cambiamento

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«Dolcetto o scherzetto?» il tormentone di questi giorni, è il motto globalizzato di Hallowen che ormai è ricorrenza accreditata anche da noi.
Può sembrarci una festa inventata che non ci appartiene, e in gran parte lo è, ma in fondo, nella tradizione da cui deriva, rappresenta uno dei riti di passaggio che ha a che fare con il cambiamento.
Di provenienza celtica, Hallowen serviva a rappresentare il momento angosciante della perdita e il passaggio dalla vita alla morte che, in questo periodo autunnale, la natura mostra vistosamente con la fine dell’estate e l’inizio dell’inverno dove alla ricchezza si sostituisce la carenza delle risorse e la mancanza dei prodotti della terra.
È proprio in questo momento che la psiche incontra in maniera ravvicinata la morte, ne percepisce il contatto e si confronta con l’angoscia.
 
Non a caso la religione cristiana ha sostituito nello stesso periodo il culto dei morti e la festa dei santi.
Così i riti, anche quelli leggeri e scherzosi di questa tradizione, possono avere un senso se hanno la funzione di affrontare simbolicamente la morte e la paura ma anche di spiegarle e esorcizzarle.
Le tante zucche svuotate in forma di teschio che circolano servono proprio a ridurre la paura di questo avvicinamento che secondo i Celti proprio in questo momento dell’anno metteva il mondo dei vivi a contatto con quello dei morti.
Buona lezione questa. Soprattutto se usata come strumento educativo capace di permettere a grandi e piccini di fare i conti con le angosce della perdita e la necessità di trovare una linea di continuità tra passato e futuro.
 
Probabilmente il valore di Hallowen stava però nella narrazione che accompagnava il rito, nel raccontare antiche leggende popolari come quella di Jack, il fabbro ubriacone che in Irlanda ha ispirato la festa divenuta popolarissima negli Stati Uniti da dove l’abbiamo importata.
Storia, come tante altre, che serviva per parlare ai bambini del bene, del male e della vita che cambia.
Narrazioni che purtroppo oggi si sono perse.
Perché non si raccontano più storie di nessun tipo, e di questa in particolare è rimasto solo il gioco e lo scherzo, la struttura commerciale e quel tormentoso ritornello svuotato di ogni valore simbolico.
 
Resta una festa che travolge l’infanzia con la follia del mascheramento e coinvolge gli adulti solo come osservatori distratti e inconsapevoli, quando invece dovrebbero essere educatori capaci di narrare ai figli storie di vita passata che i bambini non conoscono e racconti di persone scomparse a cui dobbiamo memoria per ciò che hanno rappresentato.
Altrimenti la morte resta fuori dal ciclo dell’esistenza e non ci appartiene più.
Soprattutto chi si trova a crescere in questo momento storico rischia di cogliere solo gli aspetti spettacolarizzati o banalizzati dalla cultura dei videogiochi.

Giuseppe Maiolo
Università di Trento
www.officina-benessere.it

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