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Con Piotta al Lido di San Cristoforo – Di Sandra Matuella

Intervista al pioniere dell’hip hop italiano che sabato notte si è esibito a San Cristoforo

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Piotta, il pioniere dell’hip hop italiano, sabato notte si è esibito con la sua band al Lido di San Cristoforo, nell’ambito della maratona musicale organizzata da Marcella «Bomborasklat», che è la più grande organizzatrice di eventi legati alla musica reggae della nostra regione: ad aprire questa lunga notte musicale sono stati i Rebel Rootz, il gruppo trentino di reggae che si sta affermando alla grande in tutta Italia, al punto che ha già conquistato la copertina della storica rivista Rasta Snob.
Presentatore d’eccezione della serata era Steve Giant responsabile di Rasta Snob; hanno collaborato all’evanto anche la combattiva Radio Sherwood di Padova, e Roby P. I.
Questa bella festa musicale ha richiamato al Lido di San Cristoforo centinaia di giovani che hanno sfidato le intemperie e l’alto rischio di allagamento del locale, scongiurato con passerelle di legno e sacchi di sabbia: Piotta è salito sulla pedana del Lido all’una di notte circa, e ha suonato fino alle due passate: sia prima che dopo la sua esibizione è rimasto nel locale per parlare con la crew di Bomborasklat e con i suoi fan.
 
Tommaso Zanello, in arte Piotta, classe 1974, studi al liceo Giulio Cesare, lo stesso frequentato da Antonello Venditti, negli anni Novanta giocava a fare il «super cafone» con un gusto matto per la provocazione e tanta lungimiranza nel denunciare le contraddizioni e i disagi della sua Roma, ad iniziare dai problemi legati all’immigrazione, oggi più che mai attuali.
Nel 1998 esce il suo primo album «Comunque Vada Sarà un Successo», che presenta i singoli «Dimmi qual è il nome» e «Supercafone».
Il cd vincerà il disco di platino.
Dai centri sociali Piotta è entrato così nei circuiti ufficiali, culminati Nel 2004, con la partecipazione al Festival di Sanremo condotto da Simona Ventura e diretto da Tony Renis, dove si classificò al fatidico ultimo posto.
Insofferente ai compromessi e alle logiche commerciali, Piotta si è tirato fuori dalle pastoie del mercato discografico e fonda La Grande Onda, la sua etichetta discografica indipendente, con cui fa operazioni musicali più di sostanza che di immagine.

Ad aprile 2012 esce «Odio Gli Indifferent», che sale sul podio della classifica rap di iTunes. Con lui nel disco Pierpaolo Capovilla dal Teatro degli Orrori, Bunna Africa Unite, il compianto Francesco di Giacomo del Banco del Mutuo Soccorso con i giovani Bud Spencer Blues Explosion e Rancore.
Un anno dopo esce il suo primo album live dal titolo provocatorio «senza Er» che contiene 21 tracce tra classici e brani più recenti incisi con tutta la sua band ai concerti di Caracalla, del Teatro Valle Occupato e del Festival Roma Incontra il Mondo a Villa Ada.
Da gennaio a maggio 2014 infine, Tommaso Piotta è in tournée teatrale con il giudice simbolo di Mani pulite Gherardo Colombo: in scena hanno portato «Freedom», spettacolo dedicato alla Costituzione italiana.
Per L’Adigetto.it Piotta ripercorre la sua carriera artistica, iniziata quasi per divertimento.
 

 
«Ho iniziato a suonare l’hip hop negli anni novanta, in tempi non sospetti quando questa musica non era ancora un fenomeno di massa, ma eravamo in quattro gatti in tutta Italia a proporla, ricordo ad esempio, gli Assalti Frontali, le 99 Posse, Frankie Hi-Nrg, Neffa, Sangue Misto e e La Pina.
«Mi sono formato all’interno del centro sociale Forte Predestino, attivissimo tutt’ora, e la mia musica è stata accolta bene fin da subito perché toccavo questioni delicate come la guerra in Iraq e l’immigrazione, un tema questo che è sempre stato molto caldo, anche se i nostri politici sembrano accorgersene solo adesso.
«Ho scoperto l’hip hop grazie a Jovanotti: con la sua musica ho realizzato che si poteva fare un buon rap anche con la lingua italiana, e raccontare così il mio quotidiano, il mio quartiere, la mia città, la nazione e in pratica, una intera generazione.»
 
Perché non si è inserito nel filone cantautorale che proprio a Roma ha una delle sue scuole più consolidate, ad iniziare da Venditti con cui condivide gli stessi studi liceali, e che si avvale di un linguaggio più poetico rispetto a quello dell’hip hop?.
«Ho preferito sporcarmi le mani con lo slang romano e con la musica hip hop e reggae, per arrivare a tutti: i miei natali sono romani, ma anche veneziani e la mia lettura del quotidiano che mescola umorismo e ilarità, momenti malinconici e crepuscolari con quelli più sarcastici e caciaroni, è propria di queste due grandi città.
«Del resto ho iniziato a suonare per divertimento, per passione e per l’esigenza di comunicare, nata da una mia naturale timidezza: nella vita sono calmo e riservato mentre quando suono divento un animale da palcoscenico.»
 
E perché un artista così alternativo e anticonformista come lei, è finito su un palco tradizionale come quello del festival di Sanremo?
«Questa scelta è legata a un periodo drammatico della mia vita: accettai di partecipare al festival per rassicurare mia madre, scomparsa prematuramente poco tempo dopo. Per lei Sanremo rappresentava il coronamento della carriera di un artista e infatti mi disse: “Adesso sono serena perché quello della musica è il tuo lavoro per la vita”. La sua scomparsa mi ha drasticamente aperto gli occhi sul mistero della vita e mi ha fatto capire che nella vita bisogna vivere il momento. Con questo spirito ho iniziato a cercare anche il mio suono e infatti è arrivato: si tratta di una sonorità rock-rap con un pizzico di reggae.»
 
Lei non frequenta tanto la televisione.
«Le poche volte che sono andato in televisione, ho capito che è molto lontana dalla mia sensibilità e ogni volta ne uscivo snaturato, perché ha dei tempi incalzanti e un modo becero e superficiale di riassumere l’umanità di una persona, senza mai andare a fondo.
«Invece amo molto la radio, proprio perché consente di approfondire e di raccontare bene l’umanità.»
 
Ha scelto di fondare una sua etichetta indipendente, La Grande Onda, ma per lei non era meglio rimanere dentro una grande casa discografica?
«No perché la logica che mi appartiene è più vicina a quella di una bottega artigianale che non all’industria: la casa discografica è il mio negozio, dove sono libero di decidere e di gestire il mio tempo, e dove il rapporto con gli artisti e con il pubblico è diretto e basato sulla fiducia.»
 
Cosa direbbe ai giovani cantanti che sognano di andare in televisione, specie nei vari talent o reality, per avere successo velocemente?
«Più il successo è veloce e più passa in fretta; la carriera va costruita con passione e senza scorciatoie, solo così il pubblico si affeziona a ciò che fai e non ti molla più, e solo così puoi mostrare anche la tua fragilità e il tuo lato umano, dove c’è la persona, mentre in televisione proliferano i personaggi di plastica, costruiti artificialmente per venire usati e gettati.»
 
Lei e il giudice Gherardo Colombo in scena: eravate proprio una strana coppia.
«Sì e la Promomusic che ha organizzato questo evento, ha scelto me per conferire alla rappresentazione di Gherardo un approccio più popolare: nonostante le molte differenze, ho scoperto però di avere con Gherardo Colombo quelle affinità elettive di cui parlava Goethe, nell’approccio appassionato e aperto alla vita.»
 
Sono vent’anni che lei canta i disagi romani legati all’immigrazione: cosa pensa dei gravi scontri di questi giorni a Tor Sapienza? Non si è mai sentito un profeta inascoltato? 
«Ho dato voce a un malcontento che c’è sempre stato e che adesso si fa sentire in tutta la sua gravità. Siamo arrivati a un punto di non ritorno per cui dobbiamo scegliere se rifiutare il modo con cui il mondo va avanti, oppure di adattarci ai fatti storici: personalmente sono per la ricerca di un nuovo adattamento alla realtà perché credo che il suo rifiuto, alla fine, sarebbe doloroso per tutti.»

Sandra Matuella- s.matuella@ladigetto.it

 

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